90 organizzazioni sollecitano la Commissione Indipendente Internazionale di Indagine sulla Palestina dell’ONU a riconoscere e affrontare il colonialismo sionista di insediamento e l’apartheid quali cause alla radice delle continue violazioni di Israele.

Shawan Jabarin responsabile di Al-Haq Foto:(AP Photo/Majdi Mohammed, File)
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Al Haq

28 giugno 2022 – Al-Haq, Defending Human Rights

Il 31 maggio 2022 Al-Haq e 90 organizzazioni palestinesi e internazionali hanno inviato alla Commissione Internazionale Indipendente di Indagine sulla Palestina delle Nazioni Unite (CoI) una richiesta congiunta di esame del colonialismo sionista di insediamento e dell’apartheid come cause alla radice delle perduranti violazioni dei diritti inalienabili del popolo palestinese. La richiesta congiunta è una risposta al mandato unico assegnato alla CoI istituita (dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, ndtr.) nel maggio 2021, il primo ente investigativo dell’ONU incaricato di esaminare le cause profonde alla radice della sistematica discriminazione e repressione dell’intera Palestina colonizzata, consentendo così di riconoscere che le violazioni israeliane in Palestina sono radicate nel progetto coloniale di insediamento storico e attuale e di considerare il popolo e il territorio palestinese come un insieme che si autodetermina, invece di un popolo e un territorio frammentati.

Le organizzazioni richiedenti riconoscono che lo specifico mandato della CoI è principalmente relativo alla popolazione palestinese sul campo che nel maggio 2021 si è mobilitata in una lotta collettiva di resistenza popolare. Questa resistenza popolare è una sfida a 73 anni di frammentazione imposta dalla colonizzazione israeliana di insediamento e apartheid con quella che è nota come Intifada/Rivolta dell’Unità.

Prima di analizzare il regime di colonialismo sionista di insediamento e di apartheid come cause alla radice delle perduranti violazioni di Israele, il documento spiega la necessità che sta dietro a questa impostazione, alternativa alla narrativa egemone riguardo alla Palestina, che dipinge ancora la situazione come “conflitto israelo-palestinese”, incentrato ‘solo’ sull’occupazione a partire dal 1967. Adottare l’impostazione basata sul colonialismo di insediamento e sull’apartheid consente di considerare la condizione del popolo palestinese nella sua complessità. Ciò sposta il discorso da un focus sulle cosiddette soluzioni politiche alla lotta per l’autodeterminazione, finalizzata a smantellare il regime israeliano di colonialismo di insediamento, invece di perseguire “modifiche” alle condizioni di vita sotto il dominio del sionismo, o una “uguaglianza liberale”.

Il documento congiunto approfondisce poi la storia del movimento sionista di colonialismo di insediamento, intendendo lo Stato coloniale israeliano come un prodotto di tale movimento. Il documento si occupa della nascita del movimento sionista alla fine del XIX secolo e di come esso abbia adottato insieme le ideologie di autoidentificazione razziale delle persone di fede ebraica e di colonialismo di insediamento, che comporta l’eliminazione della popolazione nativa e l’annessione delle sue terre a beneficio del gruppo razziale colonizzatore costituito ex-novo.

Le organizzazioni sottolineano come il movimento sionista abbia utilizzato un apparato proto-statale e sia stato complice delle potenze imperialiste per “creare una patria in Palestina garantita dal diritto pubblico per il popolo ebraico”. Il documento rileva il ruolo illegittimo della Gran Bretagna nel facilitare la colonizzazione sionista in Palestina, in violazione della Convenzione della Lega delle Nazioni che prevedeva il riconoscimento provvisorio dell’indipendenza del popolo palestinese ed il suo diritto all’autodeterminazione, e in violazione dell’obbligo della potenza mandataria di amministrare il territorio nell’interesse del popolo autoctono palestinese.

Inoltre il documento prende in esame la pianificazione del trasferimento e ricollocazione del popolo palestinese prima della Nakba da parte del movimento sionista di colonialismo di insediamento, analizzando il “Piano Dalet” [piano militare messo a punto dalla dirigenza sionista per espellere i palestinesi dal loro territorio, ndtr.) e la sua attuazione, che portò alla distruzione di almeno 531 villaggi palestinesi e all’espulsione della loro popolazione indigena, cosa che trasformò l’80% dei palestinesi in rifugiati e sfollati interni nel loro stesso Paese.(1) Quindi la creazione dello Stato di Israele sul 77% della Palestina fu il culmine del movimento sionista di colonialismo di insediamento, ma non ne fu la fine. Lo Stato coloniale israeliano adottò l’ideologia sionista del trasferimento e reinsediamento della popolazione palestinese autoctona, instaurò ed istituzionalizzò un regime di dominazione razziale ebraica e di oppressione del popolo palestinese che configura il crimine di apartheid.

Il documento esamina poi il regime di apartheid di Israele, prendendo in considerazione la serie di leggi e di politiche sviluppate da Israele fin dalla sua creazione, in particolare negli ambiti della terra, della pianificazione urbanistica, della nazionalità, residenza e immigrazione, operando una netta separazione tra la popolazione palestinese indigena e gli ebrei israeliani, in modo da legalizzare e legittimare i crimini commessi prima della Nakba e garantire la continuità dei trasferimenti e spoliazioni. Il documento spiega come queste politiche e piani di apartheid proseguano dopo l’occupazione bellica, per mantenere il dominio e la sottomissione dei palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde [confini stabiliti dagli accordi di armistizio del 1949 tra Israele e i Paesi arabi, ndtr.).

Viene poi presa in esame la frammentazione strategica del popolo palestinese da parte di Israele, come strumento per consolidare il proprio regime di apartheid mediante il diniego ai rifugiati palestinesi del diritto al ritorno, l’imposizione di restrizioni alla libertà di movimento, alla residenza e all’ingresso e la negazione della vita familiare.

Il documento analizza l’intenzione di Israele di mantenere il proprio regime di apartheid annientando la resistenza palestinese attraverso il governo militare, le uccisioni deliberate, la repressione delle manifestazioni, la detenzione arbitraria, la tortura ed altri abusi e punizioni collettive, come anche tramite campagne diffamatorie contro associazioni e individui difensori dei diritti umani che cercano di sfidare il regime di apartheid.

In conclusione, le organizzazioni denunciano l’impunità di Israele ed il ruolo della comunità internazionale nel rendere possibile la colonizzazione della Palestina. Le organizzazioni apprezzano la CoI come promettente opportunità di riconoscere la situazione nella Palestina colonizzata per ciò che è e di agire in prospettiva della decolonizzazione, di una vera giustizia e di risarcimenti al popolo palestinese. 

    1. Ilan Pappe, The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld, 2007 [La pulizia etnica in Palestina, Fazi, 2008].

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)