New York Times e il podio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite accusano Israele di apartheid

Daniel Levy
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 PHILIP WEISS  

28 agosto 2022, Mondoweiss

Peter Beinart sul New York Times: le influenti organizzazioni ebraiche che denunciano come antisemiti i rapporti che accusano Israele di praticare l’apartheid sono una “minaccia alla libertà”.

Va da sé che nel dibattito pubblico degli Stati Uniti in merito alla questione israeliana le voci ebraiche abbiano un grosso peso e le voci sioniste un peso ancora maggiore. Ebbene, questa settimana, giovedì e venerdì, due influenti ex sionisti ebrei hanno dato il loro sostegno alle accuse di apartheid contro Israele – sul New York Times e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – ed entrambe le dichiarazioni hanno avuto ampia risonanza.

L’ex negoziatore israeliano Daniel Levy [presidente del US/Middle East Project, con sede a Londra e New York; ndt.] ha tenuto un discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esortando le principali potenze a rendersi conto del fatto che la loro ipotesi di partizione è defunta. E “l’insieme sempre più consistente di accademici, giuristi e dell’opinione pubblica che accusa Israele di perpetrare l’apartheid nei territori sotto il suo controllo” sta guadagnando terreno tra le Nazioni di tutto il mondo.

E Peter Beinart [noto editorialista, giornalista e commentatore politico progressista statunitense, ndt.] ha pubblicato un editoriale sul New York Times che accoglie quasi completamente la definizione di apartheid data da Human Rights Watch e Amnesty International. L’articolo è un attacco alle organizzazioni ebraiche “influenti” che denunciano quei rapporti come presunti antisemiti, organizzazioni che rappresenterebbero una “minaccia alla libertà”. Beinart ha affermato che l’American Jewish Committee [dal 1906 una delle più antiche organizzazioni filosioniste degli USA, ndt.] e l’Anti-Defamation League [organizzazione mondiale nella lotta all’antisemitismo, ndt.] – e Deborah Lipstadt, incaricata di occuparsi di antisemitismo sotto Biden – stanno abbandonando il tradizionale impegno nei diritti umani per un cieco sostegno a Israele e si stanno schierando con i dittatori arabi per giustificare i crimini di Israele.

Entrambe le affermazioni hanno avuto un grande impatto. “Quando gli ex negoziatori israeliani come Daniel Levy parlano pubblicamente dell’apartheid in Israele non è forse ora che il Canada, che ha svolto un ruolo di primo piano a livello internazionale contro l’apartheid sudafricano, si alzi dalla panchina filo-israeliana e difenda i diritti umani in Israele e Palestina?” scrive un ex ambasciatore canadese.

I sionisti liberali sono infuriati e spingono per i due Stati. Independent Jewish Voices [rappresentanza degli ebrei canadesi impegnati per la giustizia sociale e i diritti umani, ndt.] stila una lunga lista di quanti sostengono l’accusa di apartheid. Khaled Elgindy [direttore del Programmma Palestina e Affari Israelo-Palestinesi del Middle East Institute di Washington, ndt.] dice dell’analisi di Levy secondo cui Israele non potrà mai raggiungere la sicurezza espropriando e opprimendo i palestinesi: “Che qualcosa di così ovvio e sensato debba essere affermato in modo così esplicito e ripetuto è sia sconcertante che inquietante”. J Street [associazione liberal americana che promuove la soluzione a due Stati, ndt.] sembra ignorare entrambe le affermazioni.

Questa la sezione centrale del monito di Levy. C’è solo uno Stato, ed è l’apartheid. Il futuro di Israele è a rischio. Sono notizie vecchie, ma nuove per il Consiglio di Sicurezza:

Sappiamo che alcuni sviluppi possono essere allo stesso tempo politicamente scomodi e politicamente rilevanti. L’insieme sempre più rilevante dell’opinione accademica, giuridica e pubblica che accusa Israele di perpetrare l’apartheid nei territori sotto il suo controllo è esattamente uno sviluppo di quel tipo.

La definizione data da studiosi e istituti palestinesi, successivamente esaminata e approvata dalla comunità israeliana per i diritti umani guidata da B’Tselem, è ora diventata la definizione legale per Human Rights Watch e quest’anno anche per Amnesty International. Ecco cosa risulta dall’incapacità di riconoscere le responsabilità e di lavorare per i due Stati.
Per quanto sia scomodo per alcuni, esorto quest’aula a non sottovalutare il significato a lungo termine e la direzione di ciò che sta accadendo. Lo scorso marzo a Ginevra agli incontri del Consiglio per i Diritti Umani, tutti gli Stati rappresentati nel gruppo africano, nel gruppo arabo e nel gruppo OIC [Organizzazione per la Cooperazione Islamica intergovernativa fondata nel 1969 da 57 Stati, ndt.], hanno fatto riferimento a questa situazione di apartheid.

Non sorprende che tutto ciò abbia eco e risonanza in quelle parti del mondo che hanno sperimentato l’apartheid e il colonialismo di insediamento e poi affrontato la decolonizzazione…

Deve essere un richiamo a reagire. Settantacinque anni fa le Nazioni Unite proposero la partizione come paradigma politico per la Terra Santa. Oggi quella terra è di fatto unita sotto un unico potere. In assenza di un’inedita azione di vasta portata per essere conseguenti con la partizione, i nostri successori in quest’aula dovranno discutere del compito di raggiungere l’uguaglianza in una realtà indivisa.

Ecco ora l’inizio dell’editoriale di Peter Beinart sul New York Times riguardo all’uso improprio dell’accusa di antisemitismo per difendere Israele. Israele è solo un altro governo “repressivo” che cerca di screditare i diritti umani.

Lo scorso aprile, quando Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto accusando Israele di “crimini di apartheid e persecuzione”, l’American Jewish Committee ha affermato che le argomentazioni del rapporto “a volte rasentano l’antisemitismo”. A gennaio, quando Amnesty International ha pubblicato il proprio studio in cui si afferma che Israele pratica l’apartheid, l’Anti-Defamation League ha predetto che “probabilmente porterà a un aumento dell’antisemitismo”. L’AJC e l’ADL hanno anche reso pubblica una dichiarazione insieme ad altri quattro noti gruppi ebraici americani che non solo hanno accusato il rapporto di essere parziale e impreciso, ma anche affermato che il rapporto di Amnesty “alimenta quegli antisemiti che in tutto il mondo cercano di minare l’unico Paese ebraico sulla Terra”.

I difensori dei governi repressivi spesso cercano di screditare le associazioni per i diritti umani che li criticano.

Il discorso di Beinart è degno di nota perché segna fino a che punto le organizzazioni ebraiche si sono dedicate ai diritti civili nel periodo precedente alla guerra del 1967. Da allora hanno abbandonato quell’impegno, nell’era di Israele militante e mentre la comunità ebraica organizzata è diventata sempre più conservatrice.

Ecco gli incisivi paragrafi sulle organizzazioni ebraiche che rappresentano una “minaccia alla libertà”.

Ora che qualsiasi critica allo Stato ebraico viene accolta con accuse di fanatismo anti-ebraico, importanti organizzazioni ebraiche americane e i loro alleati nel governo degli Stati Uniti hanno trasformato la lotta contro l’antisemitismo in mezzo non per difendere i diritti umani ma per negarli. La maggior parte dei palestinesi vive come cittadini di seconda classe all’interno dei confini di Israele o come non cittadini apolidi nei territori occupati da Israele nel 1967 o oltre i confini di Israele perché loro o i loro discendenti sono stati espulsi o fuggiti e non gli è stato permesso di tornare. Ma secondo la definizione di antisemitismo promossa dall’Anti-Defamation League, dall’American Jewish Committee e dal Dipartimento di Stato, i palestinesi sono antisemiti se chiedono la sostituzione di uno Stato che favorisce gli ebrei con uno che non discrimini in base all’etnia o alla religione.

Con amara ironia, la campagna contro “l’antisemitismo” condotta da influenti gruppi ebraici e dal governo degli Stati Uniti è diventata una minaccia alla libertà. Viene utilizzata come arma contro le organizzazioni per i diritti umani più rispettate al mondo e come scudo per alcuni dei regimi più repressivi del mondo. Abbiamo bisogno di un’altra lotta contro l’antisemitismo. Dovrebbe perseguire l’uguaglianza degli ebrei, non la supremazia ebraica, e includere la causa dei diritti degli ebrei in un movimento per i diritti umani in generale. Nello sforzo di difendere l’indifendibile in Israele, l’establishment ebraico americano ha abbandonato quei principi.

Beinart scredita anche Deborah Lipstadt come lacchè nelle relazioni di normalizzazione fra Israele e alcune dittature repressive.

A giugno la signora Lipstadt ha incontrato l’ambasciatore saudita a Washington e inneggiato a “i nostri obiettivi condivisi di superare l’intolleranza e l’odio”. Da lì è volata in Arabia Saudita, dove ha incontrato il Ministro degli Affari Islamici e ha riaffermato “i nostri obiettivi condivisi di promuovere la tolleranza e combattere l’odio”. Negli Emirati Arabi Uniti si è incontrata con il Ministro degli Esteri, che ha definito un “sincero partner nei nostri obiettivi condivisi” – avrete indovinato – “di promuovere la tolleranza e combattere l’odio”.

Tutto ciò non ha senso.

Il discorso di Levy è notevole perché ha messo in evidenza le recenti atrocità commesse da Israele, le uccisioni di bambini palestinesi e della giornalista Shireen Abu Akleh, e le incursioni fasciste contro sette organizzazioni palestinesi per i diritti umani con un pretesto infondato.

Dopo lo shock manifestato lo scorso anno dal Segretario Generale Guterres per il numero di bambini palestinesi uccisi e mutilati dalle forze israeliane, questo mese continuiamo a vedere la stessa tendenza e la sofferenza tra i giovanissimi a Gaza. Abbiamo assistito all’uccisione di chi riferisce e denuncia questi crimini, e Shireen Abu Akleh è stata l’ultima giornalista a pagare con la vita.

E ora questo attacco a coloro che documentano gli abusi e difendono i diritti umani, così come a chi fornisce servizi alla comunità, con le operazioni di Israele contro sei importanti organizzazioni della società civile palestinese… In seguito alla definizione da parte delle autorità israeliane delle sei ONG come terroriste, un certo numero di Paesi ha dichiarato che non erano state loro fornite prove convincenti. La scorsa settimana, gli uffici di quelle organizzazioni sono stati perquisiti e chiusi e i loro operatori interrogati.

Sono (come al solito) speranzoso che queste due affermazioni rappresentino un segno che l’establishment statunitense si stia finalmente rendendo conto della morte della soluzione dei due Stati e che il BDS guadagnerà prestigio politico. Come ha commentato insieme a me Donald Johnson, “Le cose sono cambiate a sufficienza perché i crimini israeliani non possano essere sempre cancellati o istericamente negati”.

(traduzione dallinglese di Luciana Galliano)