Amos Goldberg e Alon Confino
21 maggio 2024 – +972 Magazine
Il contenuto delle istigazioni attribuite da Israele e dai suoi sostenitori ai palestinesi viene apertamente affermato dai politici israeliani e attuato dall‘esercito israeliano.
Sulla scia della proliferazione di accampamenti studenteschi filo-palestinesi nei campus universitari americani, le accuse di antisemitismo sono tornate al centro del discorso politico statunitense e globale. Indubbiamente, come hanno sottolineato Peter Beinart e altri, in alcune di queste proteste sono apparse espressioni di antisemitismo, ma la loro prevalenza è stata notevolmente esagerata. In effetti, influenti personaggi ebrei e non ebrei nei media e nella politica hanno deliberatamente cercato di creare un panico morale pubblico confondendo le dure critiche a Israele e al sionismo con l’antisemitismo.
Questa fusione è il risultato di una campagna decennale condotta da Israele e dai suoi sostenitori in tutto il mondo per ostacolare l’opposizione alle violente politiche statali di occupazione, apartheid e dominio sui palestinesi, che negli ultimi sette mesi hanno assunto proporzioni immense e plausibilmente genocide.
Questa strategia non è solo cinica, ipocrita e dannosa per la lotta essenziale contro il vero antisemitismo. Permette anche a Israele e ai suoi sostenitori, come qui sosterremo, di negare i crimini e il discorso violento di Israele invertendoli e proiettandoli sui palestinesi e sui loro sostenitori, e chiamando ciò antisemitismo.
Questo meccanismo psico-discorsivo di inversione e proiezione è alla base del documento fondamentale della cosiddetta “lotta contro l’antisemitismo”: la definizione di antisemitismo dell’ International Holocaust Remembrance Alliance [Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto] (IHRA), che Israele e i suoi alleati promuovono aggressivamente in tutto il mondo.
In risposta alle proteste studentesche la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha recentemente approvato un disegno di legge che, se approvato dal Senato, trasformerebbe in legge questa definizione, nonostante il fatto che la stessa IHRA la descriva come una “definizione operativa giuridicamente non vincolante.”
Inversione e proiezione attraverso una definizione
L’IHRA è un’influente organizzazione internazionale composta da 35 Stati membri principalmente del Nord del mondo (compresi Israele e l’Europa orientale). Nel 2016 l’organizzazione ha adottato una definizione operativa di antisemitismo che include una vaga connessione dell’antisemitismo all’ “odio verso gli ebrei” insieme a 11 esempi che pretendono di illustrarlo; sette di questi si concentrano su Israele, equiparando essenzialmente all’antisemitismo la critica a Israele e l’opposizione al sionismo. Ciò ha quindi scatenato enormi polemiche nel mondo ebraico e non solo, nonostante la sua adozione da parte di decine di Paesi e centinaia di organizzazioni, da università a società calcistiche.
Nel corso degli anni sono stati registrati infiniti esempi che dimostrano come questa definizione serva a frenare la libertà di parola, a mettere a tacere le critiche nei confronti di Israele perseguendo chiunque le muova. Tanto che Kenneth Stern, che è stato il principale estensore della definizione, ne è diventato il principale oppositore. Definizioni alternative come la Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo (tra i cui promotori e redattori figurano gli autori di questo articolo) sono state suggerite come strumenti più accurati e meno politicamente distorti da utilizzare per scopi educativi nella lotta all’antisemitismo.
Fondamentalmente, la definizione dell’IHRA è una manifestazione del meccanismo di inversione e proiezione attraverso il quale Israele e i suoi sostenitori negano i crimini di Israele e li attribuiscono ai palestinesi. Uno degli esempi della definizione afferma, ad esempio, che “negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione” è antisemita. Eppure la politica ufficiale di Israele di insediamento coloniale, occupazione e annessione negli ultimi decenni ha negato al popolo palestinese il diritto all’autodeterminazione.
Questa politica è stata intensificata sotto Benjamin Netanyahu, che nel gennaio 2024 ha pubblicamente promesso di opporsi a qualsiasi tentativo di creare uno Stato palestinese. Inoltre, facendo eco alla Legge sullo Stato-Nazione ebraico del 2018, i principi guida fondamentali della coalizione di governo dichiarano che “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e inalienabile su tutte le aree della Terra di Israele”. Mentre Israele ostacola attivamente l’autodeterminazione palestinese, la definizione dell’IHRA inverte questa affermazione e la proietta sugli stessi palestinesi, definendola antisemitismo.
Secondo la definizione dell’IHRA “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella nazista” è un altro esempio di antisemitismo. Anche qui il modello di inversione e proiezione è evidente, poiché Israele e i suoi sostenitori collegano continuamente gli arabi e soprattutto i palestinesi ai nazisti.
Questo è un discorso profondamente radicato e molto popolare in Israele. Parte da David Ben-Gurion, il primo presidente del consiglio israeliano, che vedeva gli arabi che combattevano Israele come i successori dei nazisti e giunge fino a Benjamin Netanyahu, che sostiene che Hamas è il nuovo nazismo e al ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha recentemente affermato che ci sono 2 milioni di nazisti nella Cisgiordania occupata.
Alla luce di queste ipocrisie, l’affermazione contenuta nella definizione dell’IHRA secondo cui “applicare doppi standard” nei giudizi morali su Israele è antisemita è un ulteriore esempio di questo meccanismo di inversione e proiezione. La stessa definizione dell’IHRA utilizza doppi standard: mentre a Israele è consentito negare ai palestinesi il diritto all’autodeterminazione e paragonarli ai nazisti, la definizione afferma che negare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione e tracciare collegamenti tra la politica israeliana e quella nazista è antisemita.
In difesa del genocidio
Come rilevato durante la recente audizione al Congresso degli Stati Uniti di tre rettrici di università americane d’élite, questo meccanismo psico-discorsivo va oltre la definizione dell’IHRA. Un momento chiave ha fatto seguito alla domanda della deputata repubblicana Elise Stefanik alle rettrici se le loro istituzioni avrebbero tollerato le denunce riguardanti il genocidio contro gli ebrei.
“Presumo che lei abbia familiarità con il termine intifada, giusto?” ha chiesto Stefanik a Claudine Gay, rettrice dell’Università di Harvard. “E lei comprende,” ha continuato, “che l’uso del termine intifada nel contesto del conflitto arabo-israeliano è effettivamente un appello alla resistenza armata violenta contro lo Stato di Israele, compresa la violenza contro i civili e il genocidio degli ebrei. Ne è a consapevole?”
Questa equazione tra intifada e genocidio è infondata: intifada è la parola araba per una rivolta popolare contro l’oppressione e per la liberazione e la libertà (il verbo intafad انتفاض significa letteralmente “scrollarsi di dosso”). Si tratta di un appello all’emancipazione ripetuto più volte nel mondo arabo contro i regimi oppressivi, e non solo contro Israele. Un’intifada può essere violenta, come lo è stata la Seconda Intifada in Israele-Palestina tra il 2000 e il 2005, o non violenta, come lo è stata in larga misura la Prima Intifada tra il 1987 e il 1991, o l’“Intifada di WhatsApp” in Libano nel 2019. Detto questo, l’unica traccia di genocidio risiede nell’immaginazione di Stefanik e dei suoi pari. Questo è stato un momento fatale: Stefanik ha teso una trappola a Gay e Gay ci è caduta.
Un altro esempio di falsa e insidiosa accusa è l’affermazione di Israele e dei suoi sostenitori secondo cui lo slogan di liberazione palestinese “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” sarebbe genocida e antisemita. Come hanno sostenuto gli storici Maha Nasser, Rashid Khalidi e altri, la stragrande maggioranza dei palestinesi e dei loro sostenitori che scandiscono questo slogan vuole semplicemente dire che la terra della Palestina storica sarà liberata politicamente – nel ripudio assoluto dell’attuale realtà della mancanza di libertà sotto varie forme per i palestinesi che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Ciò potrebbe assumere la forma di uno Stato con uguali diritti per tutti, di due Stati nazionali completamente indipendenti o di una sorta di accordo binazionale o confederale.
In entrambi questi casi, Israele e i suoi sostenitori trovano un appello al genocidio contro gli ebrei laddove questo non esiste. Eppure in Israele, dopo i massacri e le atrocità del 7 ottobre, solo nei primi tre mesi molti leader israeliani, ministri del gabinetto di guerra, politici, giornalisti e rabbini hanno invocato esplicitamente e apertamente un genocidio a Gaza in più di 500 casi documentati, alcuni dei quali nel corso di programmi televisivi in prima serata. Ciò è stato evidenziato in modo scioccante davanti agli occhi del mondo intero nella causa che il Sud Africa ha presentato contro Israele a dicembre presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ).
Tra di loro, ad esempio, il presidente Isaac Herzog, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu. Più recentemente, l’influente rabbino Eliyahu Mali ha esortato l’esercito israeliano a uccidere tutti i bambini e le donne a Gaza, mentre [il ministro delle Finanze] Smotrich ha chiesto l’annientamento totale delle città di Rafah, Deir al-Balah e Nuseirat. Tali voci rappresentano un’ampia fascia dell’opinione pubblica israeliana e corrispondono a ciò che sta realmente accadendo sul campo.
Il 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso una sentenza provvisoria in cui dichiara che esiste un “rischio plausibile” che il diritto dei palestinesi ad essere protetti dal genocidio venga violato. Da allora la situazione è ulteriormente peggiorata, con Israele che ha esteso la sua invasione a Rafah e ha deliberatamente affamato la popolazione di Gaza di 2,3 milioni di persone.
Molti studiosi di genocidio – tra cui Raz Segal, Omer Bartov, Ronald Grigor Suny, Marion Kaplan, Amos Goldberg e Victoria Sanford – sono giunti più o meno alla stessa conclusione della Corte Internazionale di Giustizia. Anche la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, nel suo recente rapporto “Anatomia di un genocidio”, ha affermato che “ci sono ragionevoli motivi per ritenere che la soglia che indica che Israele abbia commesso un genocidio sia stata raggiunta”.
Pertanto funzionari e personaggi pubblici israeliani dichiarano esplicitamente e apertamente, e l’esercito israeliano mette in atto, i contenuti delle accuse di istigazione rivolte da Israele e dai suoi sostenitori contro i palestinesi. E mentre i palestinesi e i loro sostenitori inneggiano alla liberazione “dal fiume al mare”, Israele sta rafforzando la supremazia ebraica “dal fiume al mare” sotto forma di occupazione, annessione e apartheid.
Suggeriamo quindi di interpretare questa inversione e proiezione non solo come un classico caso di doppi standard ipocriti contro i palestinesi, ma anche – come spesso accade con i processi di proiezione – come un meccanismo di difesa attraverso la negazione. Israele e i suoi sostenitori non possono smentire l’oppressiva struttura dell’apartheid dello Stato, la delegittimazione dei palestinesi, o la retorica e i crimini genocidi, quindi distorcono queste accuse e le trasferiscono sui palestinesi.
La cosiddetta “lotta contro l’antisemitismo” che Israele e i suoi sostenitori stanno conducendo, fondata sulla definizione di antisemitismo dell’IHRA, dovrebbe quindi essere vista come l’ennesimo mezzo utilizzato da uno Stato potente per negare i suoi atti criminali e le atrocità di massa. Il governo degli Stati Uniti deve assolutamente respingerlo.
Amos Goldberg è un docente di storia dell’Olocausto. I suoi libri più recenti sono “Trauma in First Person: Diary Writing during l’Olocausto” [Trauma in prima persona: note di diario durante l’Olocausto] e un libro co-edito con Bashir Bashir, “The Holocaust and the Nakba: A New Grammar of Trauma and History.” [ed. italiana: “Olocausto e Nakba”, Zikkaron]
Alon Confino è titolare della cattedra Pen Tishkach di studi sull’Olocausto presso l’Università del Massachusetts, Amherst. Il suo libro più recente è “A World Without Jews: The Nazi Imagination from Persecution to Genocide” [ed. Italiana: “Un mondo senza ebrei. L’immaginario nazista dalla persecuzione al genocidio”, Mondadori].
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)