Arthur Neslen
23 ottobre 2024 – The Intercept
Una recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia richiede ai Paesi di porre fine a ogni sostegno all’occupazione israeliana, ma non secondo il parere legale dell’UE.
Secondo un documento di valutazione trapelato, il responsabile legale degli Affari Esteri dell’Unione Europea ha informato un alto funzionario del dipartimento che la nuova risoluzione dei giudici dell’Aia non richiede agli Stati dell’UE di vietare l’importazione dei prodotti dalle colonie israeliane.
Esperti legali hanno affermato che tale valutazione contraddice la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, o CIG, secondo cui gli Stati dovrebbero porre fine a ogni sostegno all’occupazione israeliana della Palestina, inclusa la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.
In un promemoria di sette pagine Frank Hoffmeister, direttore del dipartimento legale degli Affari Esteri dell’UE, ha sostenuto che dal momento che una legge europea richiede l’etichettatura dei prodotti delle colonie il divieto alla loro importazione e vendita sarebbe quindi opinabile.
“La legge dell’UE richiede un’etichettatura che indichi da dove provengono i prodotti alimentari: dalla Cisgiordania o dalle colonie”, afferma la valutazione legale di Hoffmeister. “Un eventuale riesame delle norme europee nei confronti dell’importazione dei prodotti delle colonie è materia di ulteriore valutazione politica”.
Il parere legale, riprodotto integralmente di seguito, è stato inviato al capo della politica estera dell’UE Josep Borrell il 22 luglio, tre giorni dopo che la CIG aveva deciso che gli Stati non devono “fornire aiuto o assistenza nel mantenimento” dell’occupazione illegale di Israele.
Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, ha dichiarato a The Intercept che l’atteggiamento dell’UE nei confronti della risoluzione della CIG è “giuridicamente erroneo, politicamente dannoso e moralmente pericoloso“.
“L’UE sta trascurando la sua responsabilità di rispettare il diritto internazionale”, ha affermato. “Questa violazione delle regole per convenienza politica erode la credibilità della politica estera dell’UE e tradisce la fiducia delle persone anche a prescindere dalla Palestina”.
“La condotta della UE stabilisce anche un pericoloso precedente in quanto tratta i suoi obblighi ai sensi del parere consultivo della CIG come facoltativi, soprattutto nel contesto delle atrocità in corso”, ha dichiarato Albanese. “Ciò implica che il rispetto del diritto internazionale è discrezionale e mina la fiducia nel sistema giuridico internazionale”.
Daniel Levy, ex negoziatore di pace israeliano e presidente del Progetto Stati Uniti/Medio Oriente, ha fatto eco alle critiche, descrivendo il parere di Hoffmeister come “un’interpretazione molto fallace e facilmente confutabile”.
Pete Stano, portavoce principale per gli affari esteri e i servizi di sicurezza della Commissione Europea, ha affermato in una dichiarazione a The Intercept: “Come regola generale non commentiamo le fughe di notizie di presunti documenti interni”.
Studiosi di diritto internazionale hanno detto a The Intercept che l’interpretazione di Hoffmeister non è corretta: [in realtà] l’apposita etichettatura prevista per i prodotti provenienti dalle colonie illegali di Israele non soddisfa la richiesta della CIG di non riconoscere l’occupazione di Israele.
“La Corte Internazionale di Giustizia ha chiarito che ‘tutti gli aiuti e l’assistenza’ di qualsiasi tipo da parte di tutti gli Stati al progetto di colonizzazione devono cessare. “La mia valutazione è che ciò richieda all’UE di rivedere la propria politica per porre fine a qualsiasi commercio, finanziamento o altra assistenza che in qualsiasi modo sostenga l’occupazione israeliana”, ha affermato Susan Akram, direttrice dell’International Human Rights Clinic della Boston University School of Law. “La politica attuale non è conforme al parere della CIG e non c’è nessun motivo, come afferma il parere dell’UE, ‘di un’ulteriore valutazione politica se riesaminare le norme europee“.
Akram ha affermato che il parere legale ha erroneamente equiparato la richiesta della CIG relativa al non riconoscimento dell’occupazione alla politica dell’UE di lavorare “con partner internazionali per rivitalizzare un processo politico” in vista di una soluzione a due Stati.
“Questo non è ciò che la Corte ha richiesto”, ha detto Akram. La Corte sostiene che l’intera occupazione è illegale e deve cessare il più rapidamente possibile. Ciò non dipende da negoziati, che si tratti di una soluzione a due Stati o di altro tipo”.
Il parere legale di Hoffmeister ha anche avvertito l’UE di aspettarsi “ulteriori contenziosi dinnanzi ai tribunali nazionali in relazione alle vendite di armi o ad altre forme di assistenza a Israele”.
Miliardi di investimenti europei
La CIG è il massimo organo giuridico al mondo per la valutazione di controversie tra Stati e i suoi pareri, pur non essendo vincolanti, hanno “grande peso giuridico e autorità morale” e sono considerati il massimo riferimento nel diritto internazionale. A settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha risposto alla sentenza della CIG affermando che Israele dovrebbe porre fine alla sua occupazione di 57 anni entro 12 mesi.
Hoffmeister, autore della nota legale dell’UE, è anche direttore del gruppo di lavoro con sede a Bruxelles sulla politica estera e di sicurezza del Partito Liberal Democratico Tedesco [FDP], forte sostenitore della guerra di Israele a Gaza. L’FDP, del quale in precedenza Hoffmeister è stato vicepresidente a Bruxelles, ha chiesto il congelamento dei fondi dell’UE e della Germania alle istituzioni e ai programmi palestinesi fino a quando uno speciale accertamento non avrà garantito che nessuna somma vada “a finanziare il terrorismo islamista”.
Per oltre 100 anni i Paesi europei hanno svolto un ruolo centrale nel sostenere la colonizzazione ebraica nelle terre tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. Dalla creazione di Israele nel 1948 e dalla sua conquista dei territori occupati nel 1967 il loro sostegno commerciale e politico ha rafforzato il controllo israeliano sull’area.
Tra il 2020 e l’agosto 2023 gli investitori europei hanno erogato oltre 151 miliardi di euro in prestiti e garanzie per le aziende “attivamente coinvolte” negli insediamenti coloniali israeliani e hanno investito oltre 133 miliardi di euro in azioni e obbligazioni nelle stesse aziende, secondo la stima di una coalizione di organizzazioni contrarie agli investimenti europei nelle colonie.
La maggior parte del mondo considera gli insediamenti coloniali di civili israeliani nei territori palestinesi occupati illegali secondo il diritto internazionale. Ma oggi il progetto di colonizzazione sembra accelerare, con nuovi avamposti costruiti in Cisgiordania e pianificati nella Striscia di Gaza.
La dissonanza di queste azioni sullo sfondo di quello che alcuni chiamano “il primo genocidio trasmesso in streaming” ha portato Paesi come l’Irlanda a rilanciare una proposta di legge che vieta il commercio con le colonie israeliane, in precedenza accantonata per timore che violasse le norme dell’UE.
In una lettera pubblicata martedì sui progressi nel cammino procedurale della legge il vice primo ministro irlandese ha avvertito che se l’UE non fosse intervenuta, alcune nazioni avrebbero potuto agire autonomamente per vietare il commercio in conformità con la CIG.
“Il commercio è competenza esclusiva dell’UE e quindi l’attenzione del governo si è concentrata sul raggiungimento di un’azione a livello UE”, ha scritto Tánaiste Micheál Martin, che è anche ministro degli Affari Esteri dell’Irlanda. “Ho ripetutamente chiesto all’UE di rivedere in modo completo la relazione UE-Israele alla luce del parere consultivo. Il procuratore generale ha chiarito che se ciò non è possibile ci sono basi nel diritto UE che consentono agli Stati di agire a livello nazionale”.
Il 17 ottobre anche il governo norvegese ha invitato le sue aziende ad evitare scambi commerciali che rafforzino la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati.
Lo stesso giorno un gruppo trasversale di 30 membri del Parlamento europeo ha sottoposto una domanda scritta alla Commissione Europea chiedendo se ora, in seguito alla sentenza della CIG, avrebbe “rispettato i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale e vietato urgentemente ogni commercio con le colonie illegali israeliane”.
L’anno scorso lo stesso Hoffmeister ha chiesto agli Stati di conformarsi alle decisioni della CIG e ha deplorato la Russia per non avervi ottemperato riguardo all’Ucraina.
Per quanto riguarda Gaza e la Cisgiordania, tuttavia, la sua valutazione è stata che il blocco era già “in conformità” con il dovere di non riconoscere la legittimità dell’occupazione, lasciando la questione delle colonie israeliane al processo di pace a due Stati.
Secondo Akram, professore di giurisprudenza alla Boston University, questo è anche in contrasto con la richiesta della CIG che tutti i coloni vengano rimossi immediatamente dal territorio occupato. “Non concede agli Stati discrezionalità sul consentire che questa questione sia soggetta a negoziati”, ha affermato.
Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha affermato che l’immagine di sé dell’UE come mediatrice per la Palestina è stata offuscata dalla sua riluttanza a parlare delle violazioni israeliane del diritto internazionale.
“Ricorrendo a escamotage e piegando le regole universali per mantenere il commercio con queste colonie e con Israele nel suo insieme, in un momento di atrocità indicibili, l’UE rischia di diventare colpevole di aiutare e assistere un regime di apartheid e i suoi crimini atroci”, ha affermato, “implicando che i diritti dei palestinesi siano secondari rispetto agli interessi economici europei, il che danneggerebbe ulteriormente la credibilità già compromessa dell’UE tra i palestinesi e gli altri popoli del sud del mondo”.
22 luglio 2024, Valutazione Legale dell’Unione Europea sulla Sentenza della CIG
(Trascrizione)
The Intercept pubblica, di seguito, una riproduzione del promemoria del parerelegale, con l’omissione di alcune annotazioni amministrative.
SERVIZIO EUROPEO PER L’AZIONE ESTERNA
Il Direttore
SG. LD
Dipartimento legale
Bruxelles, 22 luglio 2024
NOTA ALL’ATTENZIONE DELL’ALTO RAPPRESENTANTE JOSEP BORRELL FONTELLES
Oggetto: parere consultivo della CIG del 19 luglio 2024 in merito al Territorio Palestinese Occupato
I. Introduzione
Il 19 luglio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia (“la Corte”) ha emesso il suo parere consultivo in merito alle “Conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e pratiche di Israele nel Territorio Palestinese Occupato, compresa Gerusalemme Est”. Ha risposto a due quesiti che l’Assemblea Generale le aveva sottoposto il 30 dicembre 2022:
(a) “Quali sono le conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione in corso da parte di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, dalla sua prolungata occupazione, colonizzazione e annessione del territorio palestinese occupato dal 1967, comprese le misure volte a modificare la composizione demografica, il carattere e lo status della Città Santa di Gerusalemme, e dalla sua adozione di leggi e misure discriminatorie correlate?
(b) In che modo le politiche e le pratiche di Israele […] influenzano lo status giuridico dell’occupazione e quali sono le conseguenze giuridiche che derivano per tutti gli Stati e le Nazioni Unite da tale status?”
La presente nota presenta brevemente il parere consultivo (“il Parere”) (II), fornisce alcune osservazioni sulle sue possibili implicazioni giuridiche (III) e suggerisce una conclusione (IV). Il ragionamento dettagliato della Corte è riassunto nell’allegato 1. L’allegato 2 contiene una sintesi delle posizioni dell’UE che sono state condivise con gli Stati membri durante la preparazione delle loro osservazioni nazionali alla Corte.
II. Il Parere
Nel corso del procedimento, oltre cinquanta Stati e tre organizzazioni internazionali hanno presentato delle osservazioni. Dell’UE, solo un terzo degli Stati membri ha preso parte al processo.
Dopo aver affermato la propria giurisdizione e sottolineato che non vi è alcuna ragione stringente per cui non dovrebbe rispondere alle domande poste dall’UNGA [Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ndt.], la Corte chiarisce che Israele ha dei doveri in quanto potenza occupante in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Tali doveri sussistono anche nei confronti di Gaza, anche dopo il ritiro della sua presenza militare, commisurati alla perdurante capacità di Israele di esercitare un controllo effettivo (controllo dello spazio aereo, accesso via terra, fornitura di determinati servizi di base).
È importante rilevare che la Corte sottolinea inoltre che un’occupazione è per sua natura temporanea. Anche un’occupazione prolungata non conferisce diritto di sovranità sul territorio occupato. Applicando gli standard pertinenti del diritto internazionale umanitario, integrati dagli obblighi in materia di diritti umani che si applicano anche alla condotta israeliana oltre i suoi confini nazionali, la Corte esamina quindi le politiche e le pratiche israeliane. La Corte è convinta che le colonie israeliane siano intese come permanenti e cita numerosi indicatori in tal senso. Sottolinea inoltre il dovere di non annettere territorio, il divieto di applicare una legislazione discriminatoria e il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. In modo significativo la Corte ritiene che un’ampia gamma di legislazioni adottate e misure prese da Israele nella sua veste di potenza occupante costituisca una violazione dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale (CERD), che proibisce la segregazione razziale e l’apartheid.
Nella parte più importante della sentenza la Corte analizza gli “effetti” delle politiche israeliane sulla legalità dell’occupazione e sugli obblighi di altri Stati e organizzazioni internazionali. Secondo la Corte l’abuso prolungato da parte di Israele della sua posizione di potenza occupante attraverso l’annessione e l’affermazione di un controllo permanente sul territorio palestinese occupato e la continua frustrazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione violano i principi fondamentali del diritto internazionale. Su questa base, la Corte giunge alle seguenti conclusioni operative sostanziali:
(3) La presenza continuativa dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato è illegittima;
(4) Lo Stato di Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illegittima nel Territorio Palestinese Occupato il più rapidamente possibile;
(5) Lo Stato di Israele ha l’obbligo di cessare immediatamente tutte le nuove attività di colonizzazione e di evacuare tutti i coloni dal Territorio Palestinese Occupato;
(6) Lo Stato di Israele ha l’obbligo di riparare il danno causato a tutte le persone fisiche o giuridiche interessate nel Territorio Palestinese Occupato;
(7) Tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere come legale la situazione derivante dalla presenza illegittima dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato e di non prestare aiuto o assistenza nel mantenimento della situazione creata dalla presenza continuativa dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato;
(8) Le organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, hanno l’obbligo di non riconoscere come legale la situazione derivante dalla presenza illegale dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato;
(9) Le Nazioni Unite, e in particolare l’Assemblea Generale, che ha richiesto questo Parere, e il Consiglio di Sicurezza, dovrebbero considerare le modalità precise e le ulteriori azioni necessarie per porre fine il più rapidamente possibile alla presenza illegale dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato.
III. Importanza e implicazioni legali
1. Lo status giuridico dei pareri consultivi
I pareri consultivi della Corte Internazionale di Giustizia non sono giuridicamente vincolanti. Tuttavia hanno grande importanza e autorità legale, perché la Corte interpreta i principi vincolanti del diritto internazionale come il diritto all’autodeterminazione e i doveri degli Stati occupanti. Pertanto, anche se formalmente non vincolante, il parere consultivo chiarisce gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale per quanto riguarda il Territorio Palestinese Occupato e gli obblighi correlati degli altri Stati e organizzazioni internazionali, tra cui l’UE.
Israele non ha partecipato al procedimento. Ha solo presentato una breve dichiarazione scritta sostenendo di non aver dato il consenso alla risoluzione giudiziaria della sua controversia con la Palestina e che la sentenza avrebbe imposto tale risoluzione senza il consenso di Israele. La Corte, tuttavia, ha respinto questa argomentazione quando ha esaminato le potenziali ragioni per cui avrebbe dovuto rendere un parere consultivo. Ha rilevato che i pareri consultivi non costituiscono una risoluzione giudiziaria delle controversie bilaterali, ma piuttosto chiariscono i principi del diritto internazionale che vanno oltre la questione di Israele e Palestina, in particolare il dovere di non riconoscimento rivolto a Stati e organizzazioni internazionali.
2. Le implicazioni legali delle parti operative
a) L’illegalità dell’occupazione prolungata e il dovere di porvi fine (OP 3 e OP 4)
Il parereè stato adottato a larga maggioranza, con le disposizioni riguardanti le colonie e le riparazioni adottate con 14 voti contro 1, mentre le disposizioni che affermano che l’occupazione è illegale e deve cessare sono state adottate con una maggioranza di 11 voti contro 4. Insieme alla vicepresidente Sebutinde (del parere che in linea di principio la Corte non avrebbe dovuto esprimersi sulle questioni), hanno votato contro questo punto i giudici Abraham, Tomka e Aurescu.
Questa divisione tra i giudici (e l’assenza di una posizione comune dell’UE sulla questione) dimostra la complessità del tema proposto. Tuttavia per la maggioranza il punto chiave era che l’attività di colonizzazione israeliana andava oltre i diritti di una potenza occupante di governare temporaneamente il territorio sotto suo effettivo controllo. Invia un forte segnale contro l’annessione di un territorio con la forza, anche se “distribuita” nel tempo e anche se praticata da coloni “privati” che hanno ricevuto un’autorizzazione ex post e sostegno dallo Stato per le loro attività illegali.
La posizione adottata dalla Corte è ampiamente in linea con le principali richieste espresse dallo Stato di Palestina, dalla Lega degli Stati Arabi e dall’Organizzazione della Conferenza Islamica, con l’importante eccezione del “diritto al ritorno” di tutti i rifugiati palestinesi nei loro luoghi di residenza originali. 2 Il parererichiede che “tutti i palestinesi sfollati durante l’occupazione” possano tornare nei loro luoghi di residenza originali”, mentre l’enunciato che precede impone la restituzione delle terre confiscate “da quando l’occupazione [di Israele] è iniziata nel 1967” (§ 270). Il parere consultivo sembra quindi approvare l’approccio dei “due Stati” per quanto riguarda i diritti di residenza, con la “linea verde” come confine di demarcazione tra di essi. Non analizza la situazione e i potenziali diritti dei palestinesi che sono diventati rifugiati prima del 1967.
Un’altra questione controversa riguarda l’interpretazione da parte della Corte dell’articolo 3 della Convenzione sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) sul divieto di segregazione razziale e apartheid. Mentre la Corte è stata unanime nel ritenere che “la legislazione e le misure di Israele costituiscono una violazione dell’articolo 3 del CERD” (§ 229), non ha specificato sulla base di quale dei due elementi contenuti in questa disposizione (segregazione razziale o apartheid) è giunta a questa conclusione. Mentre il presidente Salam (§§ 14-32) e il giudice Tladi (§ 36) hanno qualificato nelle rispettive dichiarazioni individuali le pratiche israeliane come “equivalenti all’apartheid” o aventi il “carattere di apartheid”, i giudici Iwasawa (§ 13) e Nolte (§ 8) sostengono che la Corte non abbia raggiunto tale conclusione.
b) Il dovere israeliano di evacuare i coloni e di rendere riparazione (OP 5 e OP 6)
Probabilmente la conclusione di più vasta portata riguarda l’obbligo di Israele di “cessare immediatamente tutte le nuove attività di insediamento coloniale” e di “evacuare tutti i coloni dal Territorio Palestinese Occupato” (OP 5). L’obbligo d’evacuazione riguarda 465.000 abitanti della Cisgiordania e circa 230.000 di Gerusalemme Est. Allo stesso tempo, il parere contiene una sfumatura sulla tempistica. Mentre l’attuazione del requisito più urgente, ovvero la cessazione della nuova costruzione di insediamenti coloniali, deve avere carattere “immediato”, il “porre fine” alla “presenza illegale” deve essere attuato solo “il più rapidamente possibile” (OP 4). Ciò potrebbe essere letto in rapporto all’OP 9, secondo cui l’UNGA e l’UNSG dovrebbero considerare “modalità precise e ulteriori azioni” per porre fine alla presenza illegale dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato. Nel caso Chagos (in cui al Regno Unito è stato chiesto, in un parere consultivo, di rispettare il fatto che le isole Chagos fanno parte delle Mauritius), l’UNGA ha adottato solo tre mesi dopo la risoluzione 73/295, in cui ha interpretato la formulazione “il più rapidamente possibile” come “non più di sei mesi dall’adozione della presente risoluzione”.
Per quanto riguarda l’obbligo di riparazione per il danno causato a tutte le persone interessate (OP 6), sorgerà la questione di come organizzare le richieste e la loro soddisfazione (istituzione di una Commissione Internazionale per le Richieste?). A causa dell’intrinseca complessità di questo punto, sarebbe saggio includerlo nelle “modalità precise” da concordare tra l’UNGA e l’UNSC ai sensi dell’OP 9.
c) L’obbligo di non riconoscimento da parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali (OP 7 e OP 8)
Negli OP 7 e OP 8 la Corte sottolinea l’obbligo di “non riconoscere come legale la situazione derivante dalla presenza illegale dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato”. Questo obbligo di non riconoscimento grava sia sugli Stati che sulle organizzazioni internazionali, tra cui l’Unione Europea.
L’UE ha una politica di lunga data di non riconoscimento di alcuna modifica dei confini del 1967 tra Israele e la Cisgiordania. Si è anche impegnata a lavorare all’interno delle Nazioni Unite per una soluzione equa a due Stati del conflitto, che implichi la creazione di uno Stato palestinese e quindi la fine dell’occupazione israeliana del Territorio Palestinese Occupato. La posizione precisa dell’UE sul riconoscimento (luglio 2014) è stata la seguente:
“Un accordo sui confini dei due Stati, basato sui confini del 4 giugno 1967 con scambi di territori equivalenti come concordato tra le parti. L’UE riconoscerà le modifiche ai confini precedenti al 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme, solo quando concordato dalle parti”.
Nelle sue conclusioni più recenti del 27 giugno 2024 il Consiglio Europeo ha invitato il Consiglio a proseguire i lavori su ulteriori misure restrittive contro i coloni estremisti in Cisgiordania e ha condannato le decisioni del governo israeliano di espandere ulteriormente gli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata esortando Israele a revocare tali decisioni. Ha ribadito il suo incrollabile impegno per una “pace duratura e sostenibile conformemente alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sulla base della soluzione a due Stati, con lo Stato di Israele e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, contiguo, sovrano e vitale che vivano fianco a fianco in pace, sicurezza e riconoscimento reciproco”. Ha inoltre impegnato l’UE a “continuare a lavorare con i partner internazionali per rilanciare un processo politico a tal fine” e ha osservato “che un percorso credibile verso la realizzazione di uno Stato palestinese è una componente cruciale di tale processo politico”.
La politica concordata dell’UE è pertanto in linea con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale come interpretati dalla Corte per quanto riguarda gli altri Stati e le organizzazioni internazionali nei punti (7) e (8) delle parti attuative della risoluzione. Le misure previste contro i coloni estremisti allineeranno ulteriormente la politica dell’UE con la risoluzione.
Un’altra questione riguarda le relazioni commerciali con i territori occupati. Qui la Corte sottolinea il dovere di distinguere i rapporti con Israele che riguardino il suo territorio e quelli con il Territorio Palestinese Occupato (§ 278). Per la Corte ciò comprende l’obbligo di astenersi da relazioni contrattuali con Israele in tutti i casi in cui pretendesse di agire per conto del Territorio Palestinese Occupato o di una sua parte su questioni riguardanti il Territorio Palestinese Occupato o una parte del suo territorio. Questa visione è già seguita dall’UE, poiché la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha delineato l’ambito territoriale di applicazione degli accordi UE-Israele e UE-OLP in linea con questo principio. Più difficile da discernere è il dovere di “astenersi dall’intraprendere relazioni economiche o commerciali con Israele riguardanti il Territorio Palestinese Occupato o parti di esso che potrebbero consolidare la sua presenza illegale nel territorio” e di “adottare misure per impedire relazioni commerciali o di investimento che aiutino a mantenere la situazione illegale creata da Israele nel Territorio Palestinese Occupato” (§ 278). A questo proposito, la giurisdizione UE richiede un’etichettatura che indichi che i prodotti alimentari provengono dalla Cisgiordania e dalle colonie. La questione se a questo riguardo siano necessarie ulteriori misure costituisce materia di valutazione politica.
Tra le altre conseguenze legali, il parerepotrebbe incoraggiare ulteriori contenziosi dinanzi ai tribunali nazionali in relazione alle vendite di armi o ad altre forme di assistenza a Israele, sulla base dell’argomentazione che ciò viene utilizzato per mantenere la situazione creata dalla presenza continuativa dello Stato di Israele nei Territori Palestinesi Occupati. Il parerepotrebbe anche esacerbare i boicottaggi già esistenti e le petizioni dei cittadini per un divieto totale di commercio di prodotti provenienti dalle colonie.
IV. Conclusioni
Alla luce degli elementi di cui sopra il Dipartimento Legale ritiene che
1. Il parere consultivo chiarisce gli obblighi internazionali vincolanti per Israele in quanto potenza occupante del Territorio Palestinese Occupato; il fatto che il parerestesso sia di natura consultiva non modifica la natura degli obblighi legali di Israele.
2. L’illegalità di per sé dell’occupazione prolungata costituisce un nuovo elemento nell’analisi giuridica della presenza di Israele nel Territorio Palestinese Occupato.
3. Il dovere di porre fine alle attività di colonizzazione e di evacuare un numero significativo di coloni deve essere preso in considerazione in qualsiasi futura iniziativa di pace.
4. La posizione di lunga data dell’Unione europea sull’illegalità degli insediamenti oltre la Linea Verde è conforme al dovere delle organizzazioni internazionali di non riconoscere come legale la situazione derivante dalla presenza illegale dello Stato di Israele nel Territorio Palestinese Occupato. L’eventuale revisione della politica dell’UE riguardo all’importazione di prodotti dalle colonie è materia oggetto di ulteriore valutazione politica.
5. Dato che la disposizione finale (9) del parere consultivo sottolinea un ruolo particolare sia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel definire le modalità precise per porre fine all’occupazione illegale, qualsiasi futura iniziativa dell’UE dovrebbe tenere conto delle loro conclusioni.
Firmato
Frank Hoffmeister
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)