Shahd Alnaami
14 dicembre 2024 – Al Jazeera
La totale distruzione delle biblioteche è un attacco diretto all’identità palestinese e al desiderio di imparare.
Avevo cinque anni quando sono entrata per la prima volta nella Biblioteca Maghazi. I miei genitori mi avevano appena iscritta alla vicina scuola materna principalmente perché mandava regolarmente i propri alunni in biblioteca. Loro credevano nella forza trasformatrice dei libri e volevano che io accedessi a una vasta disponibilità di libri il prima possibile.
La biblioteca Maghazi non era solo un edificio, era una porta d’ingresso a un mondo sconfinato. Varcando il suo portone di legno ricordo di essermi sentita sopraffatta da un senso di soggezione. Era come entrare in una sfera diversa, dove ogni angolo sussurrava segreti e prometteva avventure.
Sebbene di modeste dimensioni ai miei occhi infantili la biblioteca sembrava infinita. Le pareti erano rivestite di scaffali di legno scuro, traboccavano di libri di tutte le forme e dimensioni. Al centro della stanza c’era un accogliente sofà giallo e verde, circondato da un semplice tappeto dove ci riunivamo noi bambini.
Mi ricordo ancora chiaramente la nostra maestra che chiedeva di sederci intorno a lei sul tappeto e di aprire un libro illustrato. Ero incantata dalle sue illustrazioni e parole anche se non sapevo ancora leggere.
Le visite alla biblioteca Maghazi hanno instillato in me l’amore per i libri che ha profondamente influenzato la mia vita. I libri sono diventati qualcosa di più che una fonte di intrattenimento o di studio: hanno nutrito la mia anima e la mia mente, plasmando la mia identità e personalità.
Negli ultimi 400 giorni questo amore si è trasformato in dolore in quanto le biblioteche della Striscia di Gaza sono state distrutte, una dopo l’altra. Secondo le Nazioni Unite sono 13 le biblioteche pubbliche danneggiate o distrutte a Gaza. Nessuna istituzione è stata in grado di stimare la distruzione delle biblioteche che fanno parte di centri culturali o istituzioni educative o sono enti privati, anche loro devastate.
Fra queste la biblioteca dell’Università Al-Aqsa, una delle più grandi della Striscia di Gaza. Vedere le immagini dei libri che bruciavano mi ha spezzato il cuore. Anche la biblioteca della mia università, l’Università Islamica di Gaza, dove ho passato innumerevoli ore leggendo e studiando, non esiste più.
Non c’è più neanche la Biblioteca Edward Said, la prima in lingua inglese a Gaza, creata nel 2014 all’indomani della guerra di Israele contro Gaza che già aveva distrutto biblioteche. Era stata fondata da privati che avevano donato i propri libri e lavorato fra mille difficoltà per importarne di nuovi, mentre Israele spesso bloccava consegne ufficiali di testi nella Striscia. I loro sforzi riflettono l’amore dei palestinesi per i libri e il desiderio di condividere conoscenza ed educare le comunità.
Gli attacchi contro le biblioteche di Gaza hanno preso di mira non solo gli edifici stessi ma la vera essenza di ciò che Gaza rappresenta. Fanno parte dello sforzo di cancellare la nostra storia e impedire alle generazioni future di avere un’educazione e una coscienza della propria identità e dei propri diritti. La decimazione delle biblioteche di Gaza mira anche a distruggere il forte spirito di apprendimento fra i palestinesi.
L’amore per l’educazione e la conoscenza è profondamente radicato nella cultura palestinese. Lettura e istruzione sono state apprezzate per generazioni, non solo come mezzi per acquisire saggezza, ma come simboli di resilienza e connessione con la storia.
I libri sono sempre stati visti come oggetti di gran valore. Se il costo e le restrizioni israeliane ne hanno spesso limitato l’accesso, il rispetto per essi era universale, travalicando i confini socio-economici. Anche le famiglie con limitate risorse danno la priorità all’educazione e alla narrazione, tramandando ai propri bambini un profondo apprezzamento per la letteratura.
Più di 400 giorni di gravi privazioni, fame e sofferenze sono riusciti a uccidere in parte questo rispetto per i libri.
Mi addolora dire che ora i libri sono usati da molti palestinesi per alimentare il fuoco per cucinare o riscaldarsi, dato che legna e gas sono diventati cari in modo proibitivo. Questa è la nostra straziante realtà: la sopravvivenza a spese della tradizione culturale e intellettuale.
Ma non abbiamo perso tutte le speranze. Si fanno ancora sforzi per conservare e proteggere quel poco che resta dell’eredità culturale di Gaza.
La biblioteca Maghazi, il paradiso dei libri della mia infanzia, è ancora in piedi. L’edificio è rimasto intatto e con gli sforzi della gente del posto i suoi libri sono stati conservati.
Recentemente ho avuto l’opportunità di visitarla. È stata un’esperienza emozionante perché non ci ero più stata da molti anni. Quando sono entrata in biblioteca mi è sembrato di ritornare alla mia infanzia. Ho immaginato la “piccola Shahd” che correva fra gli scaffali, piena di curiosità e desiderio di scoprire tutto.
Riuscivo quasi a sentire l’eco delle risate dei miei compagni della materna e a provare il calore dei momenti che abbiamo passato insieme. I ricordi della biblioteca non riguardano solo le sue pareti ma anche tutti quelli che ci sono andati, tutte le mani che hanno sfogliato i libri e tutti gli occhi che si sono immersi nelle parole di una storia. Per me la biblioteca Maghazi non è solo una biblioteca, è parte della mia identità, di quella bambinetta che ha imparato che l’immaginazione può essere un rifugio e che leggere può essere una forma di resistenza.
L’occupazione ha preso di mira le nostre menti e i nostri corpi ma non ha capito che le idee non possono morire. Il valore dei libri e delle biblioteche, le conoscenze che contengono e le identità che contribuiscono a plasmare sono indistruttibili. Non importa quanto cerchino di cancellare la nostra storia, non possono zittire le idee, la cultura e la verità che ci portiamo dentro.
Adesso, in mezzo alla devastazione, spero che quando il genocidio finirà le biblioteche di Gaza risorgeranno dalle proprie ceneri. Questi santuari di conoscenze e cultura possono essere ricostruiti ed ergersi nuovamente come fari di resilienza.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera.
Shahd Alnaami è una scrittrice palestinese che vive a Gaza. Frequenta l’Università Islamica di Gaza dove studia letteratura inglese e traduzione e al momento vive la sofferenza del genocidio.
(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)