Analisi. Netanyahu vuole una guerra senza fine a Gaza. Ma molti israeliani non vogliono più combattere

Un carro armato israeliano in manovra vicino al confine con Gaza. Foto: Menahem Kahana/AFP
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Dahlia Scheindlin

18 marzo 2025-Haaretz

Ora che Israele si è risvegliato con la seria possibilità di una nuova guerra su vasta scala a Gaza, gli israeliani appoggeranno questi piani? No, se si deve credere ai recenti sondaggi. Ma l’opinione pubblica e le proteste non sono state sufficienti a spezzare la macchina da guerra, o a far cadere il governo

Il governo israeliano non ha mai nascosto il suo desiderio di ricominciare la guerra. Martedì mattina una serie di attacchi aerei in tutta Gaza e la retorica incendiaria del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dei suoi ministri sono sembrati un passo importante verso quell’obiettivo. Per mesi è stato chiaro che alla fine questo governo avrebbe chiesto agli israeliani di tornare a combattere, sia attraverso una ripresa totale della guerra, sia per condurre i suoi piani per spopolare Gaza o per attuare e finanziare l’occupazione di Gaza mentre combatte un’insurrezione e una controinsurrezione permanenti che dissangueranno il Paese per decenni. Mentre Israele si risveglia con la seria possibilità di una nuova guerra su vasta scala, l’opinione pubblica appoggerà questi piani? Ci sono numerose ragioni per dubitare di una ripresa del morale del paese in tempo di guerra.

La distrazione

Nei giorni che hanno preceduto il nuovo bombardamento di Gaza il Paese è stato preso da un diverso tipo di shock quando Netanyahu ha annunciato la sua intenzione di licenziare il capo del servizio di sicurezza [interno] Shin Bet, Ronen Bar. Insieme a molte importanti decisioni politiche dal 7 ottobre 2023, il licenziamento ha spaccato le opinioni degli israeliani. Lunedì un sondaggio commissionato dall’emittente pubblica israeliana Kan ha rilevato che molti israeliani intervistati, il 43%, hanno respinto la decisione del primo ministro mentre solo un terzo l’ha sostenuta (il resto non ha espresso un’opinione).

Un sondaggio di febbraio dell’Institute for National Security Studies ha rilevato che il 57% degli israeliani si fida dello Shin Bet (il 64% tra gli ebrei israeliani) mentre solo il 21% si fida del governo che ora sta cercando di licenziare il capo dell’agenzia. Nello stesso sondaggio solo il 27% si fida di Netanyahu, mentre in un altro sondaggio di Channel 12 di inizio marzo, condotto da Midgam, 6 israeliani su 10 ritengono che Netanyahu dovrebbe dimettersi. Durante la guerra la maggioranza degli israeliani avrebbe voluto che si dimettesse immediatamente o dopo la guerra. Nel sondaggio di Channel 12 una maggioranza del 64% vorrebbe anche che Bar si dimettesse, attribuendo giustamente alla sua agenzia la responsabilità per il fallimento del 7 ottobre, ma questo non è la stessa cosa che venire licenziato da un leader di cui non si fidano.

Non è il modo di combattere una guerra

Il deterioramento della fiducia degli israeliani nella loro leadership è inseparabile da uno sviluppo poco osservato, ma drammatico, nell’opinione pubblica: una grande perdita di fiducia nella guerra stessa.

Nel sondaggio INSS di gennaio il 55% di tutti gli israeliani pensava che le Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndt.] avrebbero vinto la guerra a Gaza, sebbene nel sondaggio non fosse ben definito cosa si intendesse per “vittoria”. Quel tasso è rimasto pressoché immutato per mesi: 57% lo scorso giugno con un leggero aumento al 59% a febbraio.

Ma quella tendenza nasconde un netto declino tra la popolazione ebraica, che è la stragrande maggioranza di coloro che effettivamente combattono la guerra. Nel sondaggio INSS di metà ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco di Hamas, il 92% degli ebrei israeliani credeva che le IDF avrebbero vinto. All’inizio del 2024 il 78% dava questa risposta. Il mese scorso il 66% degli ebrei credeva che le IDF avrebbero vinto a Gaza.

I sondaggi dell’INSS hanno anche chiesto se gli intervistati sono sicuri che Israele raggiungerà i suoi obiettivi di guerra, sebbene la domanda non abbia specificato quali siano. A giugno 2024 meno della metà di tutti gli israeliani, il 45%, si sentiva sicuro che tutti o gran parte degli obiettivi di guerra sarebbero stati raggiunti (prima di allora i sondaggi si rivolgevano solo agli ebrei). Da allora questo dato non è cambiato da allora: il 45% del campione totale ha dato la stessa risposta a febbraio e oggi un numero leggermente maggiore di israeliani, il 47%, ritiene che gli obiettivi non saranno raggiunti. Ancora una volta le tendenze tra gli ebrei israeliani sono significative. Differiscono maggiormente dagli intervistati arabi e, come già rilevato, sono principalmente gli ebrei a combattere la guerra. Nell’ottobre 2023 solo il 21% degli ebrei pensava che Israele avrebbe raggiunto in modo molto parziale i suoi obiettivi della guerra a Gaza o nessuno di essi; nel febbraio di quest’anno quel tasso era raddoppiato, al 42%. Esattamente la metà degli ebrei ha affermato che gli obiettivi sarebbero stati raggiunti. La cosa più significativa è che pochi israeliani sostengono realmente un ritorno ai combattimenti dentro Gaza.

L’Israeli Voice Index dell’Israel Democracy Institute di fine febbraio ha rilevato che il sostegno alla seconda fase dell’accordo sugli ostaggi, che includeva “una cessazione completa delle ostilità, il ritiro da Gaza e il rilascio dei prigionieri palestinesi in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi”, stava aumentando: dal 70% che si dichiarava favorevole a gennaio al 73% il mese successivo. Sempre a febbraio il sondaggio dell’INSS ha rilevato che solo un quarto (24%) degli israeliani aveva auspicato “un ritorno ai combattimenti intensivi” tra le tre opzioni offerte dal sondaggio riguardo al prossimo passo di Israele a Gaza. Il risultato è stato appena più alto tra gli ebrei: solo il 28% ha scelto l’opzione di tornare a combattere.

Un governo che sostiene con tanta forza che i suoi cittadini devono combattere una guerra senza fine non sarà contento di scoprire che la maggioranza degli israeliani, il 42%, preferisce invece che Israele si concentri sul “porre fine alla guerra a Gaza e stipulare accordi diplomatici”. Anche tra la popolazione ebraica una risicata maggioranza di un terzo ha preferito porre fine alla guerra. Queste opzioni sono diverse dalla domanda dell’Israel Democracy Institute, che chiedeva di rispondere a un’unica opzione, compreso il rilascio degli ostaggi, ma la tendenza dipinge un quadro di riluttanza a riprendere a combattere. Di sicuro, la sinistra non sarà incoraggiata nell’apprendere che nel sondaggio dell’INSS circa un quarto degli israeliani, tra cui il 31% degli ebrei, ha scelto la terza opzione: “creare le condizioni per incoraggiare la migrazione dei palestinesi da Gaza”. Ma questo è il tipico livello di sostegno a quasi tutto ciò che questo governo dice o fa del suo zoccolo duro.

Per il resto degli israeliani, per quelli che, quasi la metà, che non credono che Israele possa raggiungere i suoi obiettivi di guerra, per il 60% che vuole le dimissioni di Netanyahu, per il 73% che preferisce la fine completa della guerra e il ritiro da Gaza, c’è ancora qualche motivazione per combattere?

Già a metà del 2024 l’IDF ha sperimentato un calo dei tassi di risposta alle chiamate dei riservisti. Al momento del cessate il fuoco, a gennaio, il problema era ancora più diffuso e si è protratto fino a marzo. Questo mese Haaretz ha riferito che “solo circa la metà dei riservisti si è presentata di recente a molte unità dell’esercito”.

Da allora la maggior parte degli israeliani sta sperimentando il crollo della fiducia nelle decisioni della leadership politica; l’accampamento di Tel Aviv per un accordo di rilascio immediato degli ostaggi si è diffuso e ha stretto d’assedio la zona del Ministero della Difesa insieme a proteste per gli ostaggi più arrabbiate e frequenti; dal 2023 i dimostranti per la democrazia chiedono di scendere di nuovo in piazza ad ogni nuovo tentativo del governo di sbarazzarsi di professionisti e figure di garanzia come il capo dello Shin Bet o il procuratore generale. Forse tutto questo svanirà se la guerra ricomincerà a ruggire, ma per quanto tempo potranno essere repressi tanto dolore e dissenso? Finora gli israeliani non sono riusciti a rovesciare il governo attraverso l’opposizione pubblica, in piazza. Le prossime elezioni sono lontane, una completa incognita (con tante scuse). Ma una di queste pagliuzze potrebbe alla fine rompere la macchina da guerra. Lo si può solo sperare.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)