Amira Hass
10 novembre 2022 – Haaretz
Mahmoud Abbas ha istituito un nuovo consiglio per rafforzare la presa sul sistema giudiziario e continua la sua tradizionale linea oppressiva rimanendo fedele agli accordi di Oslo
Due provvedimenti separati e apparentemente non correlati compiuti di recente dall’Autorità Nazionale Palestinese e dal suo leader, Mahmoud Abbas sono indicativi della natura sempre più autoritaria e autocratica del regime nelle enclaves palestinesi in Cisgiordania.
Un provvedimento ha a che fare con il sistema giudiziario palestinese e l’altro con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina: entrambi mostrano quanto l’Autorità Nazionale Palestinese rimanga fedele al ruolo essenzialmente assegnatole dagli Accordi di Oslo: mantenere uno status quo fluido e dinamico a danno dei palestinesi e al servizio degli interessi di sicurezza israeliani.
La prima decisione è il decreto presidenziale firmato da Abbas e diffuso venerdì 28 ottobre che annuncia l’istituzione di un “Consiglio supremo degli organi e delle agenzie giudiziarie”. A capo di questo consiglio, il cui scopo dichiarato è discutere i disegni di legge relativi al sistema giudiziario, risolvere questioni amministrative correlate e sovrintendere al sistema giudiziario, non sarà altro che il presidente dell’ANP Abbas, che è anche presidente dell’OLP e di Fatah.
Gli altri membri sono i presidenti e i capi della Corte costituzionale, della Corte Suprema, della Corte di Cassazione, dell’Alta Corte per le questioni amministrative, dei tribunali delle forze di sicurezza e del tribunale della Sharia. Del consiglio faranno parte anche il Ministro della Giustizia, il procuratore generale e il consulente legale del presidente. È previsto che si incontri una volta al mese.
Esperti legali palestinesi e organizzazioni per i diritti umani hanno annunciato la loro ferma opposizione a questo nuovo consiglio supremo, affermando che contraddice il principio di separazione dei poteri – legislativo, giudiziario ed esecutivo – e viola diverse sezioni della Costituzione palestinese e le convenzioni internazionali di cui l’ANP è firmataria.
In diverse interviste ai media esperti e organizzazioni affermano che questa è l’ultima di una serie di decisioni che hanno trasferito l’autorità legislativa al ramo esecutivo e al suo capo, violando anche l’indipendenza del sistema giudiziario e subordinandolo ad Abbas e ai suoi compari.
Poco dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del 2006, Abbas e Fatah hanno impedito al Consiglio legislativo palestinese di riunirsi regolarmente e svolgere il proprio lavoro. In un primo momento hanno attribuito la colpa agli arresti israeliani di numerosi membri eletti di Hamas, nonché all’assenza del quorum necessario per promulgare la legislazione.
Dopo la breve guerra civile scoppiata a Gaza nel giugno 2007 tra Hamas e Fatah e la divisione dell’autogoverno palestinese tra le due regioni [Gaza e Cisgiordania, ndt.] e le due organizzazioni, il parlamento palestinese ha ufficialmente cessato di funzionare. Tuttavia i rappresentanti di Hamas a Gaza hanno continuato e continuano a riunirsi come consiglio legislativo e approvare leggi che si applicano solo a Gaza.
In Cisgiordania, invece, la “legislazione” si realizza tramite decreti presidenziali. Negli ultimi 15 anni Abbas ha firmato circa 350 decreti presidenziali, molto più degli 80 atti legislativi che sono stati discussi e promulgati dal primo consiglio legislativo durante il suo decennio di esistenza nel 1996-2006.
Abbas si basa su un’interpretazione molto ampia dell’articolo 43 della Costituzione palestinese emendata del 2003 che conferisce a un decreto presidenziale il potere di legge solo “in casi di necessità che non possono essere ritardati e quando il Consiglio legislativo non è in sessione”.
Fino al 2018, alcuni parlamentari in Cisgiordania hanno continuato a incontrarsi in modo non ufficiale e hanno tentato di essere coinvolti nelle discussioni sui “disegni di legge” in discussione al governo e di rappresentare l’opinione pubblica davanti alle autorità. Ma quell’anno, su ordine di Abbas, la Corte costituzionale ha stabilito che il Consiglio legislativo dovesse essere sciolto, nonostante la Costituzione preveda che il suo mandato termini solo quando si terranno nuove elezioni.
Secondo la Costituzione in caso di morte del presidente dell’ANP questi deve essere sostituito dal presidente del parlamento. Questa posizione era ricoperta dal rappresentante di Hamas Aziz Dweik di Hebron. L’opinione generale era che, sciogliendo il parlamento, Abbas e i suoi alleati stessero cercando di contrastare preventivamente un simile scenario. Anche se la Corte Costituzionale aveva ordinato all’epoca di tenere nuove elezioni entro sei mesi, Abbas e i suoi fedeli sono riusciti a rinviarla ripetutamente.
Nel frattempo, durante questo periodo Abbas ha anche aumentato il suo coinvolgimento nel processo di nomine giudiziarie, cercando di garantire la lealtà dei giudici a sé e a Fatah. Inoltre il ramo esecutivo, da lui controllato, spesso non si attiene alle sentenze indipendenti dei giudici, come gli ordini di rilasciare le persone detenute senza processo o gli ordini di riprendere il pagamento degli stipendi e delle varie indennità ai rivali politici di Abbas.
Il Ministro della Giustizia palestinese Mohammed al-Shalaldeh ha promesso che il nuovo Consiglio Supremo del sistema giudiziario non intende violare l’indipendenza del sistema. Ma l’esperienza dell’Egitto – che evidentemente ha ispirato gli autori del decreto presidenziale palestinese – indica che è vero il contrario.
Un consiglio supremo che sovrintende al sistema giudiziario egiziano è stato istituito dal presidente Gamal Abdel Nasser nel 1969. Nel primo decennio di questo secolo, grazie agli sforzi delle organizzazioni per i diritti umani e dei giuristi, il suo potere è stato ridimensionato, ma l’attuale presidente egiziano Abdel -Fattah al-Sissi gli ha conferito un’autorità più ampia e invasiva rispetto al passato.
In una conversazione con Haaretz, avvocati indipendenti hanno ipotizzato che uno dei motivi per l’istituzione di questo consiglio è contrastare la possibile opposizione legale – tramite la Corte costituzionale – all’incoronazione di Hussein al-Sheikh come prossimo presidente dell’ANP. Al-Sheikh, figlio di una famiglia di rifugiati che ha acquisito ricchezza nel corso degli anni come proprietaria di varie imprese e società a Ramallah, è uno dei funzionari di Fatah più vicini ad Abbas – e anche a Israele.
Per quasi 15 anni è stato a capo del Ministero degli affari civili palestinese, che è subordinato e coordinato alla politica del COGAT, l’organismo che coordina le attività di governo del ministero della Difesa israeliano nei territori, e ha svolto il ruolo di collegamento con i funzionari israeliani. A maggio, Abbas lo ha nominato segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP al posto del defunto Saeb Erekat; da questa posizione dirige anche il dipartimento dei negoziati dell’OLP. Molti palestinesi ritengono che la sua nomina a prossimo presidente dell’ANP sarebbe molto gradita a Israele.
La seconda misura adottata di recente dall’Autorità Palestinese è stata quella di impedire che si tenesse a Ramallah la Conferenza Popolare Palestinese – 14 milioni (chiamata così per il numero di palestinesi nel mondo). L’idea alla base della conferenza era quella di riformare l’OLP, inizialmente tenendo un’elezione pan-palestinese in cui i palestinesi di tutta la diaspora e in tutto il territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo potessero votare per il Consiglio nazionale palestinese, il parlamento dell’OLP. Il convegno si sarebbe dovuto tenere il 5 novembre presso la Cultural Hall di Ramallah, in Giordania e in diverse città in Europa e Sud America.
Gli organizzatori affermano che l’OLP, l’organizzazione che dovrebbe rappresentare i palestinesi in tutto il mondo ed essere la fonte della autorità politica e identità nazionale, è stata essenzialmente inghiottita dall’Autorità Nazionale Palestinese, dalla presidenza di Abbas e dal movimento Fatah. Il suo finanziamento dipende dall’Autorità Palestinese, le sue istituzioni sono state svuotate e Abbas controlla le date dei suoi incontri e la nomina dei suoi rappresentanti.
Gli organizzatori della Conferenza dei 14 milioni sono contrari agli Accordi di Oslo (“una seconda Nakba”, la chiamano alcuni) e sono del parere che solo un’OLP ricostruita e democratica “che non operi come subappaltatore per Israele” possa e debba sviluppare una strategia per combattere l’apartheid e il colonialismo israeliani e quindi servire come fonte di speranza per il popolo [palestinese]. Gli organizzatori sono ancora oggi associati ai vari gruppi palestinesi che compongono l’OLP – da Fatah alle organizzazioni di sinistra – o lo sono stati in passato, mentre alcuni sono indipendenti.
Ma all’inizio della scorsa settimana gli organizzatori della conferenza sono stati sorpresi quando sono stati informati dal Comune di Ramallah che le agenzie di sicurezza palestinesi avevano proibito alla conferenza di procedere. Hanno anche vietato al comune di El Bireh di assegnare una sala agli organizzatori allo scopo di tenere una conferenza stampa.
Nonostante gli ostacoli, gli organizzatori hanno deciso che la conferenza si sarebbe svolta come previsto tramite Zoom e Facebook e che i rappresentanti a Ramallah avrebbero parlato dagli uffici della Coalizione popolare palestinese, un’organizzazione relativamente nuova di attivisti politici di cui molti di lunga data. Sabato mattina le forze di sicurezza [dell’ANP], alcune in abiti civili, sono state dispiegate in gran numero accanto all’edificio dove sono ospitati gli uffici della conferenza, hanno avvertito le persone di non entrare e hanno arrestato l’attivista veterano Omar Assaf e lo hanno trattenuto per diverse ore.
Tuttavia vari relatori hanno potuto pronunciare i loro discorsi tramite Facebook, e hanno scelto di evidenziare diversi punti: aspre critiche all’Autorità Nazionale Palestinese e al coordinamento della sicurezza con Israele; un appello all’azione sulla base della Carta nazionale palestinese del 1968, di cui sono state annullate alcune parti negli anni ’90 a seguito delle pressioni israeliane e statunitensi e la richiesta di adempimento del diritto al ritorno. Ciò che tutti avevano in comune era l’enfasi posta sull’importanza delle elezioni generali democratiche per creare una leadership eletta e rappresentativa per l’intero popolo palestinese: nella Palestina storica su entrambi i lati della Linea Verde e in tutta la diaspora.
L’idea di indire un’elezione diretta per un parlamento panpalestinese nel quadro dell’OLP è stata suggerita per oltre un decennio da attivisti palestinesi in varie organizzazioni in tutto il mondo; gli organizzatori della conferenza hanno sottolineato di aver integrato diverse proposte simili che l’OLP sotto il controllo di Abbas ha costantemente ignorato.
A ulteriore riprova di quanto Abbas e i suoi seguaci siano contrari all’iniziativa di rianimare l’OLP, martedì mattina le forze di sicurezza palestinesi hanno fatto irruzione negli uffici di Ramallah del Bisan Center for Research and Development (una delle ONG che Israele ha dichiarato organizzazione terroristica) e hanno interrotto la conferenza stampa che stavano tenendo gli organizzatori della conferenza.
In questa fase il ripristino dell’OLP come fonte di autorità e potere decisionale sembra difficilmente realizzabile. Non è inoltre chiaro quanto sostegno riceverà l’iniziativa da i giovani che non hanno mai conosciuto l’OLP come quell’organizzazione un tempo percepita dai profughi palestinesi come casa politica e nazionale e motivo di orgoglio. Inoltre è ancora troppo presto per capire come e se Hamas e la Jihad islamica saranno incluse nel processo.
Tuttavia i giovani potrebbero essere entusiasti della prospettiva di indire elezioni generali per un’organizzazione panpalestinese che trascenda i confini di Gaza e della Cisgiordania. Gli organizzatori affermano apertamente che l’attuale leadership non eletta e antidemocratica non è un vero organo rappresentativo ed è incapace di affrontare i pericoli posti dalla politica israeliana.
Le azioni intraprese per sopprimere questa iniziativa tradiscono il timore dell’attuale leadership impopolare di qualsiasi discorso sulle elezioni, per non parlare del loro svolgimento, e sottolineano la riluttanza ad ammettere che gli accordi di Oslo hanno solo peggiorato la situazione dei palestinesi. Le sue azioni mostrano anche quanto questa leadership sia decisa a mantenere i vantaggi materiali e lo status che ha acquisito per sé e per i suoi circoli interni.
L’iniziativa per ricostruire l’OLP aspira a superare la spaccatura nella geografia, nella società e nella politica palestinese. Questa divisione è anche uno dei risultati politici più importanti della politica israeliana degli ultimi 30 anni. Le azioni oppressive dell’Autorità Nazionale Palestinese stanno aiutando direttamente a preservare questo risultato a favore di Israele.
(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)