Il potere della Musica – Figli delle pietre in una terra difficile

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Sandy Tolan,

Il potere della Musica – Figli delle pietre in una terra difficile, Haze Auditorium, Milano 2021

Recensione di Luciana Galliano

Sandy Tolan, dopo il successo del libro The Lemon Tree, divenuto un film a sua volta di successo per la regia di Eran Riklis, ha scritto Children of the Stone. The power of music in a hard land, l’incredibile storia di Ramzi Hussein Aburedwan, bambino in un campo profughi palestinese a Ramallah che affronta l’esercito di occupazione, riceve un’istruzione, padroneggia uno strumento, sogna qualcosa di molto più grande di lui e poi ispira decine di altri a lavorare con lui per trasformare quel sogno in realtà. Tolan racconta, nella sua prosa dettagliata e asciutta, molto coinvolgente, la storia lunga quasi trent’anni (1985-2013) di Ramzi, che diventa violista e fonda una rete di scuole di musica in Palestina tuttora molto attiva. L’autore riesce a delineare, intrecciando in maniera incredibilmente scorrevole e vivida la realtà quotidiana in un campo profughi e nei Territori Occupati, il racconto della vita di diversi personaggi, la storia della scuola di musica al Kamandjati, la storia del conflitto israelo-palestinese sullo sfondo internazionale … tutto intorno alla figura di Ramzi Aburedwan, le sue tragedie e conquiste, la collaborazione con l’orchestra West Eastern Divan fondata da Daniel Barenboim ed Edward Said, il retaggio di un’infanzia difficile e traumatica che Ramzi vuole, con la musica, cambiare di segno per rendere vivibile l’infanzia dei bambini palestinesi che si trovano ancora oggi in condizioni simili nell’ipocrita indifferenza del mondo.

Il libro è incredibilmente onesto e appassionante, ed è organizzato come una musica: diviso in quattro “movimenti”, introdotti da un “preludio” e chiusi da un “postludio”, separati da “interludi” e articolati in capitoli come “episodi melodici” diversi, definiti dal titolo/tema: Padre, Viola, Sebastia … Il racconto dei fatti si legge come in un romanzo, ma purtroppo, nella sua drammaticità, è tutto vero e comprovato. Il libro è completato da una corposa bibliografia (corredata per la versione italiana dai titoli disponibili in italiano) e da un meticoloso apparato di note che circostanziano dettagliatamente le fonti, e che il lettore se vuole può consultare. Ma che è sicuramente necessario perché nel libro compaiono denunce molto nette: «Secondo un’indagine resa pubblica dall’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, accadeva che delle giovani donne fossero arrestate e violentate “mentre un altro informatore fotografava l’atto. Gli informatori o il GSS [Servizio di Sicurezza Generale noto anche come Shin Bet o Shabak] minaccia[vano] di svergognare pubblicamente la ragazza se non avesse collaborato con loro”. Anche i bambini erano oggetto di reclutamento, allettati con denaro o minacciati di demolire la casa di famiglia o semplicemente di revocare il permesso di lavoro del padre.» (p. 77). Oppure: «Questi “avamposti” di colonie, a differenza delle colonie “legali”, violavano persino la legge israeliana. Erano coerenti, tuttavia, con la strategia decennale di Sharon: creare una presenza ebraica irreversibile in tutta la Cisgiordania.» (p. 226) Queste affermazioni si basano su fonti accurate e intellettualmente oneste. L’autore ci dice che la sua ricerca è durata diversi anni, e che si è avvalso dell’aiuto di molti collaboratori. Nel libro compare spesso la parola “apartheid” ma mai “razzismo”, perché ciò che l’autore veicola con chiarezza è che il progetto di bantustanizzazione, gli abusi e le violenze sono, dietro l’evidente discriminazione della popolazione araba di Israele, parte di un progetto primario, radicato e incessante, di confisca del territorio, di colonialismo di insediamento, compreso un programma di pulizia etnica tuttora in corso. Mi sembra che Tolan presenti la pulizia etnica come un male necessario risultato della politica israeliana tesa alla confisca delle terre; in realtà la pulizia etnica è insita nel progetto sionista fin dalle sue origini. Dopo la pulizia etnica materialmente consumata durante la guerra del ’48 e quella del ’67, essa avviene ora in modo strisciante col rendere la vita impossibile ai palestinesi, anche appunto attraverso la confisca di terre e abitazioni, ma non solo.

Emerge dal libro anche la condizione della maggioranza dei palestinesi, in sostanza traditi e abbandonati dalla loro stessa leadership, che coltivano un cocente desiderio di pace e giustizia piuttosto che di vendetta. E questo desiderio, questa speranza vengono coltivate dal progetto musicale di Ramzi. Nel capitolo finale, “Un’intifada musicale”, che è difficile leggere senza commozione, l’autore ci dice che «Ramzi non era l’insegnante più gentile, né il capo con cui fosse più semplice lavorare. Ma [… la scuola era] ciò che aveva desiderato per metà della sua vita, e ciò che aveva costruito, con il sudore, il dolore e la gioia di centinaia di altri che avevano suonato, insegnato e progettato accanto a lui. Avevano fatto qualcosa in modo che i bambini potessero sperimentare la bellezza […] La musica che facevano propria era la loro protezione». (p. 389)

È questo che ci racconta il libro, storia incredibile in circostanze storiche anch’esse per opposte ragioni incredibili. Come ha scritto del libro lo studioso iraniano americano Reza Aslan, è “un commovente resoconto dei bambini espropriati della Palestina e del potere trasformativo che la musica ha nel dare loro significato e motivo di speranza”.

Il libro esce il 24 giugno nelle librerie. Prezzo di copertina 20 euro. Per chi lo pre-acquista online con un bonifico il prezzo è di 18 euro. Da 5 copie in su di 17 euro.

Puoi acquistare on line a questo link  oppure con il bonifico  : IBAN: IT60O0501803200000011702891

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