Lihi Yona
18 agosto 2020 – +972 magazine
Un fiume che attraversa un kibbutz è diventato un luogo di polemiche e violenze che getta luce su quanto la sinistra sionista sia diventata irrilevante.
Nelle scorse settimane un fiume che attraversa un kibbutz israeliano è diventato teatro di furiose polemiche, violenze e odio.
In questa specifica lotta, cosa interessante e atipica, i soliti sospettati nel panorama politico israeliano hanno giocato ruoli capovolti: personalità di spicco della sinistra israeliana danno un convinto sostegno alle “gated communities”, zone residenziali auto-segregate, contro uguaglianza e giustizia distributiva, esprimendo allo stesso tempo una forte opposizione all’applicazione della legge. Volendo correre il rischio di riciclare un cliché abusato, la storia di questa lotta può insegnarvi tutto quello che avete bisogno di sapere sulla politica israeliana e sulla crescente irrilevanza della sinistra sionista israeliana.
Nir David è un kibbutz nel nord di Israele, situato fra Afula e Beit She’an, città operaie abitate prevalentemente da mizrahi [ebrei di origine araba che vivono in Israele, ndtr.]. Come altri, è costituito prevalentemente da ashkenaziti [lett. tedeschi, ndtr.], ebrei di origine europea, discendenti dei fondatori del Paese e che ne hanno dominato le risorse e le istituzioni economiche, culturali e militari, soprattutto tramite il Mapai, il partito Laburista sionista.
L’Asi, un corso d’acqua di uno splendido blu con una temperatura di 28° tutto l’anno, corre attraverso il kibbutz. Secondo la legge israeliana sulle risorse idriche, i corsi d’acqua sono di proprietà pubblica e devono restare accessibili e aperti a tutti. Ciononostante, gli abitanti di Nir David hanno deciso che l’accesso all’Asi non lo sia e hanno costruito recinzioni e barriere per impedire il pubblico accesso al fiume.
In anni recenti, un gruppo di abitanti delle comunità intorno al kibbutz ha condotto una battaglia per garantire il libero accesso all’Asi. Nel 2015 hanno intentato una causa contro il kibbutz, che, di conseguenza, ha promesso di consentire l’accesso ad alcuni tratti, promessa mai mantenuta.
È la storia dei kibbutz in Israele a far da sfondo fondamentale a questo scontro. Nir David è stato fondato nel 1936, il primo di decine di colonie “Torre e Palizzata” [insediamenti sionisti costruiti rapidamente come strutture difensive sfruttando una scappatoia della legge ottomana, ndtr.] che, con il consenso delle autorità coloniali britanniche, erano elementi chiave della campagna sionista per tenere gli arabi palestinesi lontani da zone strategiche. Un resoconto del 1960s apparso su Hashomer Hatzair, giornale legato al movimento dei kibbutz, descrive come “quel mattino di 25 anni fa gli arabi che abitavano in tende e capanne a Tel Souk e Sakhne strabuzzarono gli occhi increduli perché nel corso della notte c’era stato un nuovo fatto geografico sulla mappa del Paese!”
La giustificazione storica per erigere recinzioni e torri intorno ai kibbutz, intesi come fortezze strategiche, era di tener lontani gli arabi. Quegli stessi muri e recinzioni adesso tengono palestinesi ed ebrei mizrahi fuori da Nir David.
Anche i kibbutz, incluso Nir David, hanno contribuito al vasto divario socio-economico che oggi caratterizza Israele. Gli ashkenaziti godono di privilegi e accessi praticamente illimitati alla terra e alle risorse naturali che a loro volta forniscono significative opportunità economiche. Nel frattempo, le “città di sviluppo” dei mizrahi che sono spuntati intorno ad essi ospitano decine di migliaia di persone in piccole e affollate aree geografiche che offrono poche opportunità di progresso economico.
Per dare un’idea: gli abitanti dell’area amministrativa regionale in cui è situato il kibbutz Nir David godono di 21.000 mq per persona, mentre nella vicina città operaia di Beit She’an gli abitanti si devono accontentare di una media di 400 mq per persona, cioè quelli di Nir David dispongono di 48 volte più terra per persona. Nel corso degli anni, gli abitanti di Nir David hanno costruito ville e avviato fiorenti imprese turistiche sulle rive dell’Asi. Nelle rare occasioni in cui il kibbutz accetta nuovi residenti, l’ammissione dipende da un processo di valutazione che include una valutazione della personalità da parte di un istituto specializzato.
Su questo sfondo, e dato il continuo rifiuto del kibbutz di rispettare la legge sulle risorse idriche e la promessa da loro fatta al tribunale, la lotta per liberare il fiume Asi si è intensificata. Nel corso degli ultimi mesi, gli abitanti delle città circostanti e gli attivisti provenienti da tutto il Paese sono arrivati ogni giorno ai cancelli del kibbutz tentando di guadagnare l’accesso al fiume. In risposta, si sono trovati davanti cancelli sorvegliati e chiusi ed episodi di violenza da parte di membri del kibbutz che li hanno attaccati con cinghie e bastoni.
Lo scorso venerdì [14 agosto, ndtr.] gli attivisti hanno tenuto la loro più grande manifestazione, con la partecipazione di centinaia di persone. I manifestanti sono riusciti a entrare nel kibbutz e a raggiungere e godersi il fiume. Comunque, la giornata è finita in modo violento, dato che dei membri del kibbutz hanno bloccato uno dei manifestanti dentro i cancelli, prendendolo a calci dopo che era caduto a terra, un attacco che l’ha mandato in ospedale con commozione cerebrale e contusione renale. Ad altri hanno tagliato le gomme delle auto.
Di primo acchito nessuno sospetterebbe che la lotta per liberare l’Asi possa innescare una tale diatriba, ma in sostanza si mira a garantire il libero accesso agli spazi pubblici. Quando la città di Afula aveva tentato di impedire l’accesso ai suoi parchi ai non residenti, quella decisione fu immediatamente (e giustamente) bollata come razzista perché si tentava di tenere i palestinesi fuori dalla città. Le azioni per costringere Afula ad aprire i suoi parchi ricevettero un sostegno ampio e senza riserve dalla sinistra israeliana e dalle organizzazioni per i diritti umani. Eppure la battaglia per liberare l’Asi sta ricevendo reazioni diametralmente opposte dalle istituzioni sioniste di sinistra e da molti che si definiscono progressisti.
Uno dopo l’altro, coloro che sostengono regolarmente uguaglianza, giustizia e valori egalitari hanno trovato ogni tipo di scuse per non appoggiare la lotta.
Alcuni dicono che permettere il libero accesso distruggerebbe il fiume dato che i visitatori non terrebbero pulite le acque e le sponde. Questa tesi si basa principalmente sullo stereotipo razzista riguardo all’igiene e alla pulizia dell’area circostante abitata dai mizrahi, ignorando che per le attività turistiche di Nir David se ne permette già l’accesso a centinaia di persone purché paghino. L’affermazione è ancora più assurda se si considera che Nir David scarica rifiuti agricoli in un vicino fiume che attraversa Beit She’an.
Altri di sinistra sostengono che il fiume fa parte della “dimora” dei membri del kibbutz e che entrarci equivarrebbe a un’invasione violenta. Alcuni di questi membri e sostenitori hanno persino ipotizzato, sui social se sia lecito che gli abitanti Nir David sparino sui manifestanti che entrano nelle loro proprietà. Heli Yaakobs, un alto funzionario di Nir David e membro del consiglio di The Israel Women’s Network [Rete delle Donne di Israele], la più grande organizzazione femminista del Paese, ha fatto un paragone fra le proteste e l’aggressione sessuale. Un’importante figura della sinistra ha ipotizzato che la lotta per l’Asi non sia così importante e un altro, scherzosamente, l’ha messa al 43esimo posto su una lista di 42 battaglie importanti per il futuro di Israele.
La reazione di figure di spicco della sinistra, insieme al silenzio assordante della stragrande maggioranza dei politici di sinistra e delle organizzazioni per i diritti umani è forse sbalorditivo, ma non c’è da stupirsi.
Oltre a dimostrare la crescente irrilevanza della sinistra sionista, ci insegna molto sui privilegi delle élite ashkenazite israeliane, sia per quanto riguarda la terra che l’idea stessa di giustizia. Lo stesso tipo di cancellate che tiene fuori i manifestanti da Nir David è anche usato per etichettare la loro causa come ingiusta, sbagliata e irrilevante.
Storicamente la sinistra sionista ha preso parte attiva nella repressione e violenza intrinseche alla fondazione dello Stato, sia contro i palestinesi che contro i mizrahi. La sinistra è stata responsabile di aver concepito la politica discriminatoria sulla terra che ancora oggi permette agli abitanti di Nir David privilegi significativi per quanto riguarda le assegnazioni della terra, perpetuando nel contempo un enorme divario economico fra ashkenaziti e altre comunità marginalizzate in Israele.
Questa è la stessa “sinistra” che nel 1948 espulse i palestinesi e ne espropriò le terre, molte delle quali finirono sotto il controllo dei kibbutz, e che per decenni fece scomparire i bambini dalle famiglie mizrahi [riferimento ai bambini mizrahi che vennero dati in adozione a ricche famiglie ebraiche, spesso statunitensi, all’insaputa dei genitori, a cui si diceva che erano morti, ndtr.]. Quando la destra andò al potere per la prima volta nel 1977 molti videro nel cambiamento politico una loro vittoria: un voto di protesta di chi era stufo dell’ingiusto governo del Mapai nei primi anni dello Stato.
Da allora la sinistra si identifica principalmente con le élites ashkenazite, mentre la destra in gran parte si associa (ameno simbolicamente) con comunità operaie dei mizrahi, molti dei quali covano ancora del risentimento contro la sinistra storica.
Agli attivisti mizrahi che insistono su questo contesto storico e sul suo impatto sulle alleanze politiche d’oggi di solito viene detto che serbano rancore contro il Mapai che non esiste più e ha pochissimo in comune con la sinistra di oggi. Inoltre si dice loro che questa ostilità porta i mizrahi a votare contro i propri interessi.
La battaglia sull’Asi prova che queste affermazioni sono errate. Dimostra quanto sia irrilevante la sinistra sionista quando si tratta di confrontarsi con questa continua ingiustizia. I partiti di sinistra sionisti, come il Laburista e il Meretz, continuano a dipendere dai kibbutz per il sostegno elettorale ed è precisamente questo sostegno che impedisce loro di stare a fianco di una delle più importanti lotte che si stanno svolgendo al momento. Questa dipendenza è forse il motivo per cui sono rimasti in silenzio anche davanti alle impressionanti disuguaglianze fra le “città di sviluppo” e i kibbutz.
La battaglia per liberare l’Asi ha smascherato e messo sotto gli occhi di tutti la sinistra sionista. Una sinistra coraggiosa e onesta si sarebbe schierata senza riserve con i manifestanti che stanno lottando contro le diseguaglianze e un governo che le mantiene e promuove fingendo di difendere giustizia, equa distribuzione delle risorse e uguaglianza di fronte alla legge. Invece la sinistra sionista si nasconde dietro scuse razziste.
Non c’è dubbio che quei partiti di sinistra che volessero mettersi su queste posizioni coraggiose dovrebbero fronteggiare gravi conseguenze politiche. Gli abitanti dei kibbutz potrebbero sentirsi traditi e non votare per i partiti che non sembrano lavorare per i loro interessi. Ma non esiste un’altra strada: una sinistra che tace davanti alle ingiustizie circa l’Asi e degli abitanti dei kibbutz (così come davanti alle ingiustizie del sionismo stesso) non può parlare con onestà di ingiustizie in altre situazioni e certamente non può offrire un’alternativa ideologica valida alla destra.
Anche se tale posizione dovesse costare alla sinistra la sua unica ancora di salvezza elettorale, resta sempre la cosa giusta da fare. Lasciamo che la sinistra sionista muoia o faccia il suo corso. Forse dalle sue ceneri emergerà un nuovo tipo di sinistra ebraica, che non si basi sulla supremazia, ma su un’autentica solidarietà fra quelli che storicamente sono stati esclusi.
Non assomiglierebbe alla sinistra cui siamo abituati, ma piuttosto alla coalizione che sta lottando per liberare l’Asi: giovani che non si identificano necessariamente con la sinistra e che ciononostante stanno guidando uno dei più vigorosi movimenti in favore della giustizia distributiva in Israele oggi. Rinunciando all’impegno storico a favore delle élite ashkenazite, una tale sinistra potrebbe finalmente essere libera di stringere alleanze nuove e a favore del cambiamento, alleanze che abbattano confini ideologici e geografici.
Lihi Yona è una dottoranda presso la Columbia Law School, le cui ricerche si concentrano sul diritto del lavoro e sulla teoria della razza in Israele e negli Stati Uniti.
(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)