L’ultima esecuzione extragiudiziale conferma il ferreo sostegno israeliano all’assassinio di palestinesi

Lapid Reuvlin e Bennet al momento della formazione del nuovo governo HAIM TZACH / GPO)
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Jonathan Ofir

6 dicembre 2021 – Mondoweiss

Nel 2016, quando Elor Azarya sparò in testa ad un palestinese inerme, vi fu effettivamente una discussione su questa azione tra i politici israeliani. Non vi è stato un analogo dissenso questo weekend, dopo l’ultima esecuzione extragiudiziale di Israele.

Sabato scorso un uomo palestinese ha accoltellato un ebreo israeliano vicino alla Porta di Damasco a Gerusalemme, procurandogli ferite lievi. L’uomo, identificato come il 23enne Mohammed Shawkat Salameh della città di Salfit in Cisgiordania, è poi corso verso gli agenti di polizia di frontiera, che gli hanno sparato diverse volte – in particolare due volte mentre già giaceva a terra, immobilizzato, da una distanza di circa 5 metri. Haaretz ha riportato ampiamente sia l’azione che le reazioni.

Il video di quella sparatoria è stato filmato ed è circolato sui social media. 

Soltanto pochi politici in Israele lo hanno criticato. 

Ahmad Tibi, della Lista Unita che rappresenta i palestinesi [con cittadinanza israeliana, ndtr.]:Neutralizzazione” è un eufemismo. Questa è un’esecuzione a sangue freddo, la riprova dell’uccisione di una persona ferita che giace a terra e non minaccia nessuno. Per di più gli sono state negate le prime cure mediche finché è morto, nonostante vi fosse un’equipe medica sul luogo. E’ un atto criminale che richiede un’indagine.”

Ofer Cassif, anch’egli della Lista Unita, ha definito gli spari una “esecuzione sommaria” ed un altro membro della Lista Unita, Aida Touma-Sliman, ha affermato: “Uccidere un uomo che non costituisce più una minaccia è un crimine orrendo. Questa è la realtà creata dall’occupazione.” Anche Esawi Freige, del partito di sinistra [sionista, ndtr.] Meretz, ha detto che sparare dovrebbe servire solo “a salvare vite e non a togliere la vita ad aggressori che non costituiscono più un pericolo.” Lo ha definito “un atto che mostra indifferenza verso la vita umana.”

Fin qui tutto bene – sembra esserci qualche decenza umana nella politica israeliana, che chiama le cose col loro nome. Ma è solo una sottile frangia dello spettro politico. Spostandosi un po’ più a destra, verso il partito Laburista, si trova già sostegno all’assassinio. Il Ministro della Pubblica Sicurezza Omer Bar-Lev: Quando c’è un dubbio, non si indugia.”

Ha detto che gli agenti avevano “un secondo o due” dopo il primo sparo per “decidere se il terrorista che era stato colpito stesse per azionare una cintura esplosiva.”

Ma erano sicuri che ci fosse una cintura esplosiva? L’aggressore indossava una maglietta stretta e non c’era assolutamente traccia di ciò. Negli attacchi col coltello non sono mai state usate cinture esplosive, perché sarebbero state controproducenti rispetto all’obiettivo. Comunque sono passati più di 5 anni dall’ultimo attacco suicida (su un autobus di Gerusalemme) e nessuno di tali attacchi si svolge così. In base alla logica di Bar-Lev, se c’è un minimo dubbio che un palestinese abbia una cintura esplosiva sotto il vestito, è sicuramente meglio sparargli e accertarsi della morte, piuttosto che rischiare – e riguardo ai palestinesi il dubbio c’è sempre.

Più di cinque anni fa, nel caso di Elor Azarya, il paramedico militare che sparò in testa ad un palestinese inerme a bruciapelo, anche Azarya si appellò al fatto di temere una cintura esplosiva. Ma il tribunale respinse questa argomentazione, poiché nessuno lì vicino sembrava preoccupato e la motivazione conclamata di Azarya per lo sparo fu che “doveva morire”.

L’aggressore di sabato scorso non è stato colpito perché fosse sospettato di avere un esplosivo. È stato colpito e lasciato a morire dissanguato perché gli agenti della polizia di frontiera hanno ritenuto che dovesse morire.

E così i politici di tutto il principale arco politico hanno acclamato l’assassinio.

Anche il Ministro degli Esteri, il centrista Yair Lapid, ha detto di “appoggiare in pieno i nostri combattenti. Non lasceremo che i terroristi scorrazzino selvaggiamente a Gerusalemme o in qualunque altra parte del Paese.” Il Ministro della Difesa Benny Gantz ha affermato che gli agenti hanno fatto la cosa “ovvia”, sottolineando che hanno il suo sostegno. Il Primo Ministro Naftali Bennett ha detto di “sostenere pienamente” gli agenti che hanno sparato all’aggressore palestinese, affermando che “hanno agito come ci si aspetta da agenti israeliani.”

E’ interessante che nel caso di Azarya vi fu realmente un notevole dibattito riguardo al fatto, che era essenzialmente identico. Allora il Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot disse che Azarya aveva “sbagliato”. Persino il bellicoso Ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, condannò l’azione: Noi non spariamo semplicemente alle persone, neppure se sono terroristi, neppure ad un altro soldato che ti ha appena sparato ma che poi si è arreso ed è stato neutralizzato, noi non spariamo e basta…Era chiaro ai comandanti che non è ciò che si fa.”[ vedi l’articolo di Gideon Levy sul processo Azarya su zeitun.info]

Ma adesso è qualcosa che si fa. Non c’è dubbio.

Come è accaduto questo slittamento dell’opinione politica egemone? Può essere parte dell’ “effetto Azarya”. Molti in Israele furono sbigottiti dal senso di limitazione che il caso Azarya rappresentava. Azarya rilevò che tali esecuzioni venivano fatte “un sacco di volte”, ma che ora lui veniva usato come capro espiatorio.

E noi abbiamo visto indicatori che certo, questo è stato fatto un sacco di volte dopo il caso di Azarya. L’esecuzione extragiudiziale da parte della polizia del cittadino beduino Yaqub abu al-Qia’an a Umm al Hiran nel 2017 (ci si rese conto in seguito che non era un terrorista e non stava affatto tentando di speronare un’auto) e l’esecuzione da parte della polizia di Ahmed Erekat nel 2020. Questi casi sono chiare esecuzioni, compreso lo stesso diniego di cure mediche, e le analisi di Architettura Forense relative ad entrambi i casi contraddicono esplicitamente l’asserzione che si trattasse di speronamenti deliberati. Nel caso di Al-Qia’an, l’insegnante israeliano, sembra che in seguito molti si siano convinti della sua innocenza. Nonostante ciò, nel caso del palestinese sotto occupazione Erekat, non viene accordato tale beneficio del dubbio e addirittura l’Alta Corte israeliana ha sentenziato che il corpo di Erekat – il suo corpo! – non fosse restituito alla famiglia.

Israele ha deciso di costruire un muro di ferro di negazioni relativamente alla sua politica criminale di esecuzioni extragiudiziali.

Una volta di più, è un motivo per cui è necessaria la CPI [Corte Penale Internazionale, ndtr.]. È un Paese senza legge, che persevera nei crimini di guerra.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger/scrittore, che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)


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