Milizia privata e controllo poliziesco a distanza: Israele sta incrementando la repressione contro i palestinesi

Un ragazzo arrestato dai soldati a Hebron il 29 settembre 2022 Foto:AFP
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Ameer Makhoul

4 ottobre 2022 – Middle East Eye

Le recenti iniziative da parte delle autorità israeliane su entrambi i lati della Linea Verde segnalano una strategia coordinata di divide e impera.

La Linea Verde esiste indipendentemente da quello che ne pensa la politica israeliana. Le politiche per la sicurezza nazionale non finiscono al suo confine, che Israele cancella ogni giorno attraverso le sue pratiche.

Varie recenti iniziative da parte delle autorità israeliane su entrambi i lati della Linea, compresa la creazione di una forza di polizia privata a Beersheba [nel sud di Israele, ndt.], la minaccia che le reti sociali potrebbero essere bloccate durante i futuri conflitti e l’installazione di un sistema di controllo da remoto per disperdere la folla a Hebron, dimostrano come le strutture militari e civili israeliane siano il prodotto di una stessa logica unitaria.

Iniziando da Beersheba, la decisione del Comune di pagare imprese di vigilanza private per collaborare al controllo poliziesco che costano decine di milioni di shekel all’anno [1 shekel = 0,29 €, ndt.], richiama l’annuncio di questa estate da parte dell’ex-primo ministro Naftali Bennett riguardo alla formazione di una “guardia nazionale civile” per lottare contro il “terrorismo”. Bennett è rapidamente scomparso dalla scena politica, ma la sua eredità repressiva continuerà a incombere pesantemente sui palestinesi.

La guardia nazionale, un organismo parallelo alla polizia israeliana, includerà una componente di volontari, sollevando dubbi su quale tipo di misure di supervisione e responsabilizzazione saranno messe in campo. Persino nei confronti delle forze di polizia israeliane ufficiali le sanzioni sono penosamente carenti, raramente gli agenti vengono puniti per la violenza che scatenano contro i civili palestinesi.

Inaugurato questo mese, il nuovo organismo della sicurezza a Beersheba, che a quanto si dice sarà guidato dall’amministrazione comunale in collaborazione con il ministero della Sicurezza interna di Israele, verrà finanziato dai contribuenti. Il costo del programma viene stimato a circa 27 milioni di shekel (circa 8 milioni di euro) all’anno e gli abitanti arabo-palestinesi saranno obbligati a sostenere parte di questi costi attraverso le tasse che pagano.

Razzismo e aggressioni

L’uso della polizia privata solleva molte preoccupazioni. Durante la rivolta del maggio 2021 milizie armate hanno dimostrato un razzismo e un’aggressività estremi, intrisi da una generale ostilità verso la presenza araba e un concetto distorto in base al quale gli arabo-palestinesi sono la causa fondamentale dei crimini e del caos nel Paese.

Alcuni recenti rapporti hanno sostenuto che la nuova forza di polizia di Beersheba includerà membri di Im Tirtzu, una ong che lavora per “rafforzare i valori del sionismo in Israele”. Sulla stessa linea l’Israel Cities Association [Associazione delle Città di Israele], recentemente formata, ha il compito di “rafforzare la resilienza della comunità e la sicurezza personale e pubblica nelle città coinvolte” ed essere pronta in caso di “crisi e minacce alla sicurezza”, un velato riferimento al rafforzamento della difesa ebraica contro presunte aggressioni da parte degli arabi.

All’indomani della rivolta del maggio 2021, l’associazione ha pubblicato un rapporto in cui afferma che i dirigenti palestinesi avevano alimentato il conflitto, attribuendo la maggior parte della responsabilità all’High Follow-Up Committee for Arab Citizens of Israel [Alto Comitato di Monitoraggio per i Cittadini Arabi di Israele], un’organizzazione collettiva dei cittadini palestinesi di Israele.

Sul fronte delle reti sociali, recentemente il commissario della polizia israeliana Kobi Shabtai ha proposto che, in caso di futuri scontri violenti, le reti di social media dovrebbero essere bloccate. Lo Stato e i suoi apparati aggressivi sembrano essere preoccupati di reprimere i palestinesi. Allo stesso tempo le dichiarazioni di Shabtai rappresentano un chiaro riconoscimento del trionfo dei media e delle piattaforme comunicative diffusi tra i palestinesi sul sistema razzista dei mezzi di informazione israeliani.

Evitare la responsabilizzazione

Riguardo al terzo sviluppo, secondo un reportage di Haaretz il sistema per disperdere la folla controllato da remoto a Hebron consentirà di sparare in modo automatico granate stordenti, lacrimogeni e proiettili ricoperti di gomma. “Il sistema, ancora nella sua fase sperimentale, è stato installato in via Shuhada, sopra un posto di controllo in una zona che nel passato è stata il punto focale di manifestazioni e scontri tra i palestinesi e i soldati israeliani,” nota l’articolo.

Per l’esercito israeliano ciò assicura due cose fondamentali: la possibilità di proteggere le vite dei soldati occupanti evitando scontri fisici diretti e di eliminare rapidamente i militanti della resistenza palestinese premendo un bottone. Serve anche come deterrente per i giovani palestinesi, rafforzando la sensazione di essere osservati e monitorati in ogni momento.

In effetti Hebron è diventata un laboratorio in cui vengono testate sui civili palestinesi tecnologie letali prima che siano utilizzate in modo più generalizzato nel resto del Paese e all’estero, attraverso i rapporti commerciali con regimi amici di Israele.

Tutte le iniziative summenzionate sono parte di una strategia coordinata con cui le forze israeliane stanno tentando di evitare il controllo a livello internazionale e la responsabilizzazione a livello personale per le continue violazioni contro i palestinesi.

Mentre cerca di frammentare i palestinesi tra Gaza, la Cisgiordania occupata e i territori del 1948 [cioè lo Stato di Israele, ndt.], Israele sta tentando di colpire tutti questi fronti simultaneamente per impedire la loro ulteriore integrazione. Ciò dimostra il desiderio da parte di Israele di un’escalation aggressiva. Ma al popolo palestinese, che, nonostante la sua vacillante dirigenza politica, continua a sfidare l’oppressione israeliana e a resisterle, resta un barlume di speranza.

Le opinioni espresso in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Ameer Makhoul è un importante attivista e scrittore palestinese della comunità palestinese del ’48 [cioè con cittadinanza israeliana, ndt.]. È l’ex-direttore di Ittijah, una ong palestinese in Israele. È stato incarcerato da Israele per 10 anni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)