Politica dell’inganno: messa a nudo la slealtà della Gran Bretagna verso la Palestina

La passegiata dei coloni protetta dalla polizia nella spianata delle moschee nell'aprile 2023. Foto : AFP
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Peter Oborne

25 agosto 2023 – MiddleEastEye

Con lucida analisi e una meticolosa ricerca, il nuovo libro dello storico Peter Shambrook dimostra come la Gran Bretagna abbia mentito fin dall’inizio sulle sue intenzioni riguardo alla Palestina

Ad aprile le forze di sicurezza israeliane hanno brutalmente aggredito i fedeli palestinesi all’interno della moschea di Al-Aqsa, nella Gerusalemme est occupata.

All’indomani dell’attacco James Cleverly, ministro degli Esteri britannico, ha invitato “tutte le parti a rispettare gli accordi storici sullo status quo dei luoghi santi di Gerusalemme e a cessare ogni azione provocatoria”.

Cleverly dovrebbe sapere che ad Al-Aqsa c’è stato un solo aggressore: Israele. Avrebbe anche dovuto sapere che l’accordo sullo status quo attribuisce la responsabilità della sicurezza interna ad Al-Aqsa al re di Giordania Abdullah II.

E che l’accordo sullo status quo non attribuisce alcun ruolo alle forze israeliane all’interno del complesso di Al-Aqsa. Eppure Cleverly ha proceduto a fare allegramente la sua menzognera dichiarazione.

Lo splendido nuovo libro dello storico del Medio Oriente Peter Shambrook colloca la disinvolta malafede di Cleverly nel suo tragico contesto storico.

In Policy of Deceit. Britain and Palestine 1914-1939 [Politica dell’inganno. La Gran Bretagna e la Palestina 1914-1939] Shambrook dimostra che il resoconto cinicamente fuorviante di Cleverly sugli eventi all’interno di Al-Aqsa – così come innumerevoli altre dichiarazioni false e sbilanciate da parte di funzionari britannici – fa parte di uno schema di disonestà britannica sulla Palestina che risale a più di un secolo fa.

In una trattazione di ammirevole lucidità di pensiero e meticolosa erudizione Shambrook dimostra come la Gran Bretagna abbia mentito fin dall’inizio sulle sue intenzioni riguardo alla Palestina.

La Gran Bretagna e gli Ottomani

Al centro della sua persuasiva indagine c’è l’accordo concluso tra l’impero britannico e lo sharif della Mecca dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

La Gran Bretagna era allora la più grande potenza del mondo, ma cominciò a temere di perdere i “possedimenti” all’estero quando gli Ottomani si schierarono con la Germania.

La situazione si fece critica quando, contro ogni previsione, l’impero ottomano respinse l’invasione britannica della Turchia nel 1915.

A seguito di questo disastro gli inglesi conclusero di non avere altra scelta se non quella di stringere un accordo con Hussein Ibn Ali, sharif della Mecca, membro della famiglia hashemita il cui lignaggio risale per 41 generazioni fino al profeta Maometto – la principale autorità religiosa per i santuari dell’Islam.

L’accordo era semplice: lo sharif avrebbe guidato una rivolta araba contro gli ottomani. In cambio, la Gran Bretagna promise di concedere un vasto Stato arabo dopo la sconfitta degli ottomani.

Cosa sia accaduto è un case study sulla perfidia britannica. Nel 1920 il Ministero degli Esteri inventò un “Vilayet [provincia in turco, ndt.] di Damasco” ottomano il cui confine si estendeva per quasi 500 km. a sud fino al Golfo di Aqaba. Nessuna provincia del genere era mai esistita.

I distretti amministrativi ottomani erano geograficamente molto precisi. La provincia compresa nel fittizio Vilayet inventato dalla Gran Bretagna era in realtà chiamato – come qualsiasi rapida occhiata a una mappa ottomana avrebbe potuto stabilire – il Vilayet della Siria.

Sir Henry McMahon, alto commissario in Egitto, fu incaricato di iniziare un contatto epistolare con lo sharif.

Nel suo illuminante testo Shambrook racconta la storia della corrispondenza tra lo sharif e McMahon. Ciò significa entrare in un campo minato, perché lo Stato britannico non ha mai ammesso che la Palestina fosse inclusa nell’area promessa allo sharif.

La posizione britannica è stata sostenuta da studiosi seri. Il prof. Isaiah Friedman, in Palestine: A Twice-Promised Land? [Palestina: una terra promessa due volte?] (pubblicato 23 anni fa), supportò la posizione del governo britannico. Lo stesso vale per In the Anglo-Arab Labyrinth [Nel labirinto anglo-arabo] (1976) di Elie Kedourie.

Grazie a ricerche su documenti privati e registri pubblici, Shambrook confuta sia le conclusioni di Kedourie che quelle di Friedman, smantellando nel contempo la versione ufficiale degli eventi e dimostrando che il governo britannico aveva effettivamente promesso la Palestina allo sharif.

Per di più dimostra che gli inglesi hanno mentito in merito fin dall’inizio. Nella lunga lista di decisori britannici che hanno fatto affermazioni fuorvianti figurano David Lloyd George, Arthur Balfour, George Curzon, Winston Churchill e numerosi funzionari del Ministero degli Esteri.

Cinicamente sfruttata

Al centro dell’inganno britannico c’era, nelle lettere inviate da McMahon allo sharif, l’interpretazione intenzionalmente errata della parola “distretti”, resa dalla parola araba wilayat.

Una parola molto simile – vilayet – era usata dagli amministratori turchi. Aveva un significato leggermente diverso. Questa differenza venne cinicamente sfruttata dal Ministero degli Esteri per escludere tutta la Palestina dall’area assegnata allo sharif.

Questo punto essenziale era ben noto non solo agli Ottomani, ma a tutte le grandi potenze, ed era chiaro come il sole sulla mappa dettagliata utilizzata dai generali britannici presso il Ministero della Guerra a Londra durante la loro pianificazione strategica per sconfiggere gli Ottomani.

Shambrook stabilisce inoltre che McMahon non stava commettendo un errore innocente usando il termine wilayat nella sua corrispondenza. L’alto commissario per l’Egitto sapeva perfettamente cosa significava quella parola in arabo e cosa significava vilayet in turco. Possiamo esserne certi perché in altre parti della corrispondenza egli usò accanto a wilayat anche il termine vilayet nel senso corretto.

Se McMahon avesse specificato nella sua lettera che riservava [alla Gran Bretagna] l’intera regione a ovest del Vilayet della Siria, allora tutta la Palestina sarebbe stata esclusa dall’accordo concluso con lo sharif.

Ma non lo fece.

Promessa infranta

Significativamente McMahon espose queste circostanze in una lettera esplicativa spedita due giorni dopo al Ministero degli Esteri. In cui diceva ai suoi padroni a Londra di avere escluso dalla sua offerta allo sharif le coste settentrionali della Siria (l’attuale Libano), che in nessun caso possono includere la regione della Palestina.

Shambrook prosegue dimostrando che questa era la prospettiva accettata dai decisori militari e diplomatici britannici fino al 1920. Fu solo allora che il Ministero degli Esteri inventò il Vilayet di Damasco. Anche in questa fase il Ministero degli Esteri dichiarò che non vi erano ambiguità nella corrispondenza di McMahon per quanto riguardava la Palestina. Ma aveva bisogno di adattarsi alla nuova realtà politica, con il governo di Lloyd George determinato a realizzare una nuova macchinazione politica a favore dei sionisti in Palestina.

Nei successivi 20 anni il governo britannico – in 24 diverse occasioni! – rifiutò di rendere pubblica la corrispondenza tra lo sharif e McMahon a fronte delle richieste non solo arabe.

Il motivo, come risulta dagli atti, è semplice. I funzionari sapevano che sarebbe stato impossibile difendere in parlamento la promessa non mantenuta sulla Palestina allo sharif.

Questo rifiuto, come mostra Shambrook, inasprì le relazioni anglo-arabe per tutto il periodo tra le due guerre. Shambrook dimostra anche come l’unica ragione per cui gli inglesi alla fine nel 1939 pubblicarono la corrispondenza fu quella di tenersi buono il mondo arabo mentre si profilava un’altra guerra mondiale.

Non c’è da stupirsi che il grande storico Arnold Toynbee, funzionario del Ministero degli Esteri durante la Prima Guerra Mondiale, abbia scritto in seguito che “la Palestina non era esclusa dall’area in cui il governo britannico aveva promesso nel 1915 di riconoscere e sostenere l’indipendenza araba, e che la Dichiarazione Balfour del 1917 era quindi incompatibile con un impegno precedente”.

Toynbee aggiunse che questo inganno “è forse il peggior crimine di cui un diplomatico professionista possa macchiarsi, poiché compromette la reputazione di onestà del Paese”.

Ferite infette

Il libro di Shambrook rappresenta un’importante acquisizione storica. Risolve il mistero dell’accordo tra lo sharif e McMahon. Ribalta la secolare narrazione britannica secondo cui la Palestina era esclusa dall’accordo con lo sharif. Scarta anche l’idea promossa da studiosi come Albert Hourani o Martin Gilbert secondo cui la verità dell’accordo fosse misteriosa o inafferrabile.

Oltre a ciò dimostra che la corrispondenza tra lo sharif e McMahon avrebbe potuto avere un peso legale maggiore della famosa promessa fatta due anni dopo alla comunità ebraica internazionale sotto forma della Dichiarazione Balfour, che era una dichiarazione di intenti e non (perlomeno ufficialmente) un accordo tra due parti.

Oggi dovremmo ricordare che lo sharif mantenne la sua parte nell’accordo, guidando una rivolta contro il dominio ottomano nell’Hijaz [parte nord-occidentale della Penisola arabica, ndt.].

Gli inglesi no.

Da allora il popolo palestinese è stato costretto a subirne le conseguenze.

Shambrook conclude il suo libro con un appello alla Gran Bretagna affinché riconosca di non aver mantenuto la sua promessa.

Ovunque per curare le ferite della storia sono necessari il riconoscimento degli errori e la volontà di tutte le parti coinvolte di assumersi la responsabilità delle politiche perseguite,” scrive.

In Medio Oriente, dove da tanto tempo tali ferite si sono aggravate, il riconoscimento da parte del governo britannico, anche se in ritardo, della verità riguardo alla promessa fatta in precedenza allo sharif della Mecca nel 1915 sarebbe sicuramente benvenuto”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Peter Oborne ha vinto il premio per il miglior blog di commenti sia nel 2022 che nel 2017 ed è anche stato nominato Libero Professionista dell’Anno nel 2016 ai Drum Online Media Awards per gli articoli che ha scritto per Middle East Eye. È stato anche nominato Editorialista dell’Anno dei British Press Awards nel 2013. Si è dimesso da capo editorialista politico del Daily Telegraph nel 2015. Il suo ultimo libro è The Fate of Abraham: Why the West is Wrong about Islam [Il destino di Abramo: perché l’Occidente si sbaglia sull’Islam], pubblicato a maggio da Simon & Schuster. Fra i suoi libri precedenti The Triumph of the Political Class [Il trionfo della classe politica], The Rise of Political Lying [L’ascesa della menzogna politica], Why the West is Wrong about Nuclear Iran [Perché l’Occidente ha torto sul nucleare iraniano] e The Assault on Truth: Boris Johnson, Donald Trump and the Emergence of a New Moral Barbarism [L’assalto alla verità: Boris Johnson, Donald Trump e l’emergere di una nuova barbarie morale].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)