Guerra a Gaza: 100 giorni dopo, incombe una catastrofe regionale

Khan Younis il 3 gennaio 2024 Foto: AFP
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David Hearst

12 gennaio 2024-Middle East Eye

Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi di distruggere Hamas, svuotare Gaza, rimodellare il Medio Oriente. Quindi cosa succederà adesso dopo?

Questo fine settimana segnerà 100 giorni da quando Israele ha lanciato la sua offensiva a Gaza, e c’è stato un diluvio di dichiarazioni secondo cui la guerra sarebbe “passata” a una nuova fase con meno truppe, meno bombardamenti e un maggiore uso di attacchi “mirati”. Per far sembrare che il ritiro delle truppe fosse l’atto di uno Stato sovrano, e non il risultato di una pressione costante da parte di Washington, l’esercito israeliano ha affermato di aver strappato il nord di Gaza al controllo di Hamas.

Eppure, mentre si svolgevano questi briefing, l’esercito israeliano ha annunciato che almeno 103 soldati erano stati feriti nei combattimenti delle 24 ore precedenti. Il giorno dopo l’esercito ha annunciato la morte di nove soldati. Nello stesso periodo, il ministero della Sanità di Gaza ha annunciato che 126 palestinesi erano stati uccisi negli attacchi israeliani. Il ministero a affermato che nelle ultime 24 ore altri 147 sono stati uccisi.

Una contraddizione appare evidente. Le perdite subite quotidianamente dall’esercito israeliano e dai civili palestinesi a Gaza sono in contrasto con le affermazioni di una nuova guerra di “minore intensità”.

La spiegazione più ovvia riguardo le vittime è che, 100 giorni dopo, la guerra viene combattuta con la stessa ferocia del primo giorno. Hamas non sventola bandiera bianca.

Yoav Gallant, ministro della difesa israeliano e membro del gabinetto di guerra formato da tre uomini, ha qualificato l’affermazione secondo cui il suo esercito aveva stabilito il controllo sul nord aggiungendo “almeno in superficie”. Beh, può ben dirlo.

Allora, cosa ha ottenuto Israele lanciando tutta la potenza della sua aviazione e del suo esercito su Gaza, indipendentemente dal costo in vite civili, e con il pieno intento di rendere quella terra inabitabile per la sua popolazione di 2,3 milioni di abitanti?

Il gabinetto di guerra aveva tre obiettivi in questa campagna: spazzare via Hamas dalla faccia della terra, indipendentemente dalla sorte degli ostaggi catturati, modificare l’equilibrio demografico sfavorevole tra ebrei e arabi costringendo il maggior numero possibile di palestinesi a lasciare Gaza e modificare la situazione in modo che nessun altro gruppo militante possa mai più fare ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre.

Come è andata sotto ogni aspetto?

Israele ha raggiunto i suoi obiettivi militari?

Chiaramente no, secondo il resoconto di Gallant, poiché ha previsto un periodo di combattimenti a venire ancora più lungo. Solo un ostaggio è stato rilasciato vivo in seguito all’operazione militare israeliana, Ori Megidish, che Israele ha dichiarato di aver salvato durante le operazioni di terra, anche se è controverso se sia stata “rilasciata” da Hamas o attivamente “liberata” da Israele durante le sue operazioni.

Ma cosa si può dire rispetto alla distruzione della rete di tunnel che costituisce la spina dorsale della struttura militare di Hamas, bandita come organizzazione terroristica nel Regno Unito e in altri Paesi?

L’esercito israeliano ha intrapreso questa operazione con le capacità più avanzate di qualsiasi esercito al mondo nell’individuazione, mappatura e distruzione dei tunnel – eppure sembra essere stato sopraffatto dalla portata del compito, con unità specializzate che sono cadute in un serie di trappole esplosive.

Come ha scritto su Foreign Affairs Daphne Richemond-Barak, professoressa associata alla Lauder School of Government, Diplomacy and Strategy presso l’Università Reichman in Israele: “Queste unità hanno anche scoperto una nuova generazione di tunnel di Hamas. Le strutture rudimentali del gruppo dei primi anni 2000 erano rinforzate con assi di legno. Le reti attuali sono più profonde e rinforzate e ricordano i grandi tunnel di infiltrazione della Corea del Nord. Hamas ha utilizzato tecnologie avanzate di perforazione civile per scavarli portando le sue capacità sotterranee a un livello superiore.

La crescente dipendenza di Hamas dai tunnel e il suo elaborato sforzo di costruzione hanno dato i loro frutti. Mai nella storia della guerra nei tunnel un difensore ha potuto trascorrere mesi in spazi così ristretti. Lo scavo stesso, i modi innovativi in cui Hamas ha utilizzato i tunnel e la sopravvivenza del gruppo sottoterra per così tanto tempo non hanno precedenti”.

Davvero un elogio. Ciò che Richemond-Barak non è riuscita a sottolineare è l’ampiezza della rete di tunnel, che si estende, mi è stato detto, per molte centinaia di chilometri.

Forse questo può spiegare perché all’inizio del nuovo anno, subito dopo la mezzanotte, è stata lanciata una nuova raffica di razzi su Tel Aviv.

Dopo cento giorni del bombardamento aereo più feroce che il mondo abbia mai visto dai tempi del bombardamento di Dresda, Amburgo e Tokyo da parte degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale Hamas ha mantenuto la sua capacità di combattere e di infliggere perdite ai carri armati e ai soldati israeliani.

In Israele comincia ad esservi una crescente perplessità riguardo all’entità delle vittime che sta subendo. Dopo le insistenti notizie sull’elevato numero di soldati feriti l’esercito israeliano ha creato una propria pagina web, nella quale attualmente si legge che dall’inizio dell’attacco di terra sono stati uccisi 186 soldati. Il sito rileva inoltre che dall’inizio del conflitto sono rimasti feriti circa 2.500 soldati.

Il quadro reale è peggiore. Yediot Ahronoth ha riferito che si prevede che almeno 12.500 soldati saranno riconosciuti come disabili a seguito dell’intervento a Gaza. Una società assunta dal Ministero della Difesa ha affermato che anche questa cifra potrebbe essere sottostimata, sottolineando che il numero di casi richiedenti il riconoscimento della disabilità potrebbe raggiungere i 20.000. Ci sono 60.000 soldati attualmente sottoposti a riabilitazione.

Israele ha imposto un esodo da Gaza?

Qualunque sia la decisione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aia sull’affermazione del Sud Africa secondo cui Israele è responsabile di un genocidio, Israele ha senza dubbio creato una catastrofe umanitaria a Gaza – e lo ha fatto come aveva pianificato.

Un rapporto delle Nazioni Unite compilato a dicembre utilizzando dati provenienti da 17 diverse agenzie ha rilevato che l’80% di tutti coloro che nel mondo versano in uno stato di fame catastrofico si trova in questo momento a Gaza.

Anche se la guerra finisse domani Gaza è pienamente nelle condizioni di sviluppare una pandemia: l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che, in media, c’è una doccia ogni 4.500 persone e un servizio igienico ogni 220. Considerando tutto questo il tasso di mortalità tra un anno potrebbe essere molte volte maggiore rispetto al culmine della guerra lampo.

Giora Eiland, ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano e consigliere del governo, è stato così incosciente da esprimere a parole la strategia del gabinetto di guerra. Eiland ha affermato che non è sufficiente tagliare l’acqua, l’elettricità e il diesel a Gaza.

Nei documenti citati come prova dell’intento genocida davanti alla Corte Internazionale di Giustizia si sottolinea come Eiland abbia scritto su un giornale online: “Per rendere efficace l’assedio dobbiamo impedire ad altri di dare assistenza a Gaza. Alla gente dovrebbe essere detto che ha due scelte: restare e morire di fame, o andarsene”.

Israele è riuscito a creare un disastro umanitario a Gaza, ma finora non è riuscito a creare l’esodo dei palestinesi tanto desiderato dai fondamentalisti sionisti. Certamente alcuni cittadini stranieri hanno lasciato Gaza, così come i malati gravi, ma nella maggior parte dei casi non vi è stato alcun tentativo di assaltare il confine con l’Egitto a Rafah. Né vi è alcuna prova, finora, di una rivolta popolare contro Hamas.

Ascoltate invece cosa dice Hanaa Abu Sharkh. Vive in una tenda fuori dalla sua casa distrutta. Spesso si mette in fila aspettando a lungo l’acqua dolce, che di frequente finisce quando arriva il suo turno. “Ogni volta che faccio qualcosa, come lavare, preparare il cibo o raccogliere legna da ardere, ricordo quello che la nostra gente ci raccontava su come veniva esiliata e su come viveva. Una volta mi sembrava strano che vivessero nelle tende, ma ora vivo in una tenda… Non è facile lasciare la tua terra, la tua casa, e non è facile essere esiliato… Guarda, questa è la terra che su cui sei nata e cresciuta. È difficile dimenticarlo”, dice.

Continuo a ripetermi: ‘Quando tornerò a casa mia?’ Anche se è distrutta. Terrò questa tenda fuori dalla casa finché Dio non allevierà queste difficoltà e potrò ricostruirla”, aggiunge Abu Sharkh. “Nessuno lascia la propria casa solo per favorire un piano vile, il cosiddetto Piano del Grande Israele. E dove siamo? Siamo ‘un popolo senza terra’, come hanno detto? ‘Per una terra senza popolo?’ No. Sono loro che dovrebbero andarsene, non noi”.

Inoltre lancia a Israele questo avvertimento: “Ci avete esiliato nel 1948 e nel 1967, e volete esiliarci di nuovo nel 2023; è troppo. Mi consolerò e dirò a me stesso che non sono in esilio e mi trovo ancora nella mia terra”.

Se c’è una voce che descrive la determinazione dei palestinesi a restare nell’inferno creato da Israele, è la voce di Abu Sharkh.

Israele ha ridisegnato la mappa del Medio Oriente?

Questo è l’obiettivo più ambizioso del gabinetto di guerra, ma con lo sviluppo della guerra è anche quello su cui il gabinetto è più coerente. Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano in difficoltà, ha affermato poche ore dopo l’attacco del 7 ottobre che Israele avrebbe cambiato il volto del Medio Oriente – e da allora questa intenzione è stata ripetuta frequentemente, non ultimo da Gallant.

In vista della recente visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken per spegnere le fiamme della guerra regionale Gallant ha segnalato quello che il Wall Street Journal ha descritto come un cambiamento duraturo nell’atteggiamento militare di Israele

Il mio punto di vista di fondo: stiamo combattendo un asse, non un singolo nemico”, ha detto Gallant. “L’Iran sta costruendo il potere militare attorno a Israele per poi usarlo”.

Le parole di Gallant, e quelle di molti altri, potrebbero indurre a pensare che una guerra il cui scopo è spingere le brigate d’élite di Hezbollah a nord del fiume Litani, e lontano dal confine settentrionale di Israele, è solo una questione di tempo.

Ciò significa anche che subito dopo potrebbe seguire una guerra con l’Iran. Ma non molto al di sotto della superficie della retorica militare israeliana ci sono forti dubbi– e, rispetto a Gaza, c’è un’ancor minore certezza che l’esercito possa finire il lavoro in Libano.

Come per ribadire questo obiettivo della guerra come un fatto compiuto, mentre Blinken stava volando nella regione per la quarta volta per impedire che ciò accadesse, Israele ha effettuato due omicidi mirati sul terreno di casa di Hezbollah

Il numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, come ogni altro membro di Hamas fuori Gaza, non era stato avvisato dell’attacco del 7 ottobre, eppure è stato comunque preso di mira da un attacco missilistico contro il suo ufficio a Dahiyeh, la città densamente popolata cuore del sud di Beirut, nell’ora di punta. L’area è considerata una zona di sicurezza per Hezbollah.

Sia il suo assassinio che quello di Wissam al-Tawil, vice capo di un’unità della forza d’élite Radwan, sono stati concepiti come colpi contro Hezbollah. Il messaggio che Israele voleva inviare alle milizie più potenti ai suoi confini era che poteva colpire al cuore questa organizzazione.

Nessun freno alla risposta regionale

All’inizio della guerra il leader Hassan Nasrallah aveva affermato che Hezbollah non aveva collaborato con l’attacco di Hamas, ma aveva suggerito che l’obiettivo bellico di Israele di sradicare Hamas fosse una linea rossa per un successivo coinvolgimento di Hezbollah nel conflitto.

Dopo la morte di Arouri, Nasrallah ha promesso vendetta in un discorso in occasione del quarto anniversario dell’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, ma ha rispettato il suo messaggio di fondo sulle linee rosse di Hezbollah.

In risposta all’uccisione di Arouri Hezbollah ha colpito la base aerea israeliana di Monte Meron, nel nord, con 62 razzi; e dopo l’uccisione di Tawil ha lanciato un attacco con droni contro il comando settentrionale di Israele. Si tratta di obiettivi militari di alto valore e Hezbollah ha inviato la propria risposta a Israele sull’accuratezza e la sofisticatezza della portata delle armi del gruppo. Hezbollah ha segnato il suo punto.

Ma non ci sono freni a quanto accade altrove. Soleimani è stato l’architetto dell’asse della resistenza, che ha iniziato a impegnarsi in risposta alla campagna israeliana a Gaza.

Gli Houthi nello Yemen, dopo più di due dozzine di attacchi alle navi occidentali che attraversavano lo stretto di Bab al-Mandeb, hanno costretto centinaia di navi portacontainer a deviare dal Canale di Suez. In Iraq, dopo che gli attacchi aerei statunitensi hanno preso di mira i membri delle milizie locali, il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha prontamente annunciato che il suo governo avrebbe chiuso tutte le basi militari statunitensi in Iraq, uno dei principali obiettivi dell’Iran dopo l’uccisione di Soleimani.

Una guerra di logoramento ai confini di Israele si sta facendo sentire. Ciò lascia gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, le due potenze con la maggiore responsabilità per la carneficina di Gaza, con poche o nessuna carta da giocare – e il tempo sta rapidamente scadendo.

Né sono sfortunati spettatori dato che hanno sostenuto pienamente la guerra di vendetta di Israele: il primi fornendo le bombe e i proiettili che Israele ha utilizzato per ridurre in macerie Gaza ed entrambi fermando i tentativi internazionali di imporre un cessate il fuoco immediato e prendendo di mira gli Houthi dello Yemen con attacchi aerei.

La deplorevole prestazione del Ministro degli Esteri britannico, David Cameron, sotto l’esame risoluto della Commissione Affari Esteri, ha rivelato pienamente il buco morale e legale in cui la Gran Bretagna si era infilata lasciando che Israele “si togliesse i guanti” a Gaza. Cameron non ha potuto – o voluto – rispondere se fosse stato avvertito dagli avvocati del governo che le azioni israeliane a Gaza erano crimini di guerra.

Inquadrature iniziali di una guerra più ampia

I regimi arabi, e i Paesi del Golfo in particolare, hanno accuratamente evitato qualsiasi ruolo di leadership contro le azioni di Israele. I più colpevoli sono i sauditi, sotto il cui patronato con l’Iniziativa di pace araba del 2002 venne compiuto l’ultimo serio tentativo di porre fine al conflitto. Ma Riyadh non può guardare oltre la propria sopravvivenza. Considera Hamas una minaccia ai propri piani di rivendicare la leadership del mondo sunnita normalizzando i legami con Israele.

L’attacco di Hamas, e la strenua resistenza da allora in poi, hanno fornito un modello rivale – ritenuto morto e sepolto – di unità panaraba. Ciò è strettamente legato alle rivolte popolari della Primavera Araba che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno represso per un decennio.

L’ultima cosa che l’establishment della difesa israeliano dovrebbe fare, per una mente razionale, è dare un calcio a questi nidi di vespe di gruppi di milizie fortemente armati, in gran parte autonomi e agguerriti, tutti annidati in Stati deboli e a breve distanza dai confini settentrionali e orientali di Israele.

Non hanno le truppe per combattere su tre fronti contemporaneamente. Israele è troppo piccolo e i suoi centri abitati sono troppo vulnerabili agli attacchi missilistici. Nasrallah non esagera quando afferma che Israele sarebbe il primo a pagare il prezzo se scoppiasse una guerra vera e propria.

Un ex alto ufficiale dell’esercito israeliano e difensore civico del ministero della difesa, il general maggiore (della riserva) Yitzhak Brick, ha recentemente affermato che migliaia di razzi e missili potrebbero essere lanciati ogni giorno contro centri abitati, basi militari e infrastrutture elettriche e idriche: “Tutti lo sanno, non solo Nasrallah. Lo sappiamo. Sanno quello che hanno. Non siamo preparati per questo.” Né riusciranno a convincere gli Stati Uniti a sostenere un attacco contro l’Iran.

Fare tutto questo, pur avendo gettato all’aria il rapporto di Israele con la Russia a causa della guerra in Ucraina, è il massimo della follia.

Dopo che il mese scorso un attacco missilistico israeliano ha ucciso in Siria Seyyed Reza Mousavi, un alto comandante del “Iran’s Islamic Revolutionary Guard Corps Quds Force “ [corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran] a Teheran sono state poste domande sul motivo per cui i russi non avevano schierato il loro sistema S-300 per proteggere i consiglieri iraniani in Siria. Il presidente russo Vladimir Putin sta aspettando e in Siria ha ancora delle carte da giocare.

Ma Israele non agisce in modo razionale. Netanyahu sa che sarà finito nel momento in cui la guerra finirà. L’opinione pubblica israeliana – anche dopo 100 giorni – non riesce a ottenere abbastanza sangue palestinese per soddisfare la sua sete di vendetta e una netta maggioranza vuole che Gaza venga rasa al suolo.

Non esiste un movimento contro la guerra. Ciò che resta dell’ala sinistra israeliana è in fuga all’estero o sta per fuggire. Nel frattempo, le strade, i caffè e i mercati si riempiono di ebrei israeliani armati di pistole. I cittadini palestinesi di Israele non si sono mai sentiti più soli o più vulnerabili.

Qualcuno di questi fatti può essere considerato un risultato per chiunque pensi razionalmente? Semmai questi 100 giorni sembrano l’inizio di una guerra molto più grande e lunga, che sarebbe catastrofica per tutti, sia ebrei che arabi.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti e Israele, i due principali attori di questa guerra, non è più una questione di ciechi che guidano altri ciechi. È chi è strategicamente debole a essere guidato da chi è tatticamente arrabbiato.

Giovedì, aerei da guerra statunitensi e britannici hanno colpito le posizioni degli Houthi nello Yemen, un colpo che gli Houthi saranno in grado di sostenere, essendo sopravvissuti a sette anni di bombardamenti da parte dell’Arabia Saudita.

Seguirà una guerra dispiegata nel Mar Rosso. E questo è il risultato di una settimana di tentativi diplomatici statunitensi di limitare una guerra regionale. Questo alla faccia della diplomazia.

Il percorso in discesa su cui Israele sta portando gli Stati Uniti conduce al reciproco tramonto in Medio Oriente.

La guerra di Israele a Gaza potrebbe anche segnare la fine di questo presidente degli Stati Uniti.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)