Guerra a Gaza: la sinistra israeliana ha rapidamente perso ogni compassione per i palestinesi

Dicembre 2023 a Gaza. Foto: Alberto Pizzoli/AFP
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Orly Noy

16 marzo 2024 MiddleEastEye

La simpatia dei progressisti israeliani per i palestinesi era basata sulla mentalità coloniale secondo cui i sottomessi sono inferiori e dovrebbero essere loro grati per il sostegno.

L’attacco di Hamas del 7 ottobre e la guerra che Israele ha lanciato da allora hanno introdotto una nuova categoria concettuale di persone nel vocabolario ebraico-israeliano: i “disillusi” – cioè le persone che si sono ora “ripresi dalla sbornia”.

Queste persone continuano a dire che, fino al 7 ottobre, erano umanisti propugnatori di pace e che per loro l’attacco di Hamas ha cambiato tutto: di conseguenza hanno cambiato pelle e ora sostengono con passione il genocidio che Israele sta perpetrando a Gaza.

Per più di cinque mesi hanno continuato a fustigarsi a vicenda per il peccato di una loro precedente innocenza di sinistra. Dopo un’adeguata assoluzione rituale, rientrano in seno alla tribù e vengono lavati dal perdono in nome del popolo e della nazione.

Da tempo noiosamente lungo, il numero di questi disillusi continua ad aumentare. Molti dei nuovi aggiunti provengono dall’industria dell’intrattenimento e si identificano con il campo progressista. A tutti spettano i 15 minuti di celebrità per ribadire argomenti stereotipati: credevo nella pace, volevo la convivenza, ma il 7 ottobre ho scoperto che dall’altra parte non ci sono esseri umani, solo animali umani che vanno combattuti ad oltranza.

La purificazione rituale è completata da espressioni di amore e apprezzamento per “le Forze di Difesa Israeliane, l’esercito più morale del mondo”, oltre a ringraziamenti e congratulazioni ai nostri eroici soldati, e a una pseudo indignazione per la difficile situazione degli ostaggi.

Come ha detto il veterano attore Hanny Nahmias, “[Noi] eravamo i più favorevoli alla coesistenza” – ma ora ci vuole una guerra “fino alla fine”.

Obiettivi legittimi

Se consideriamo con attenzione i nuovi disillusi, il problema non sembra essere in primo luogo la loro nuova, diversa posizione – che ora spesso abbraccia lo sterminio totale dei palestinesi a Gaza.

Ad esempio, il popolare cantante Idan Raichel, che è generalmente associato a valori progressisti e spesso collabora con musicisti della comunità etiope, è indignato per il fatto che gli abitanti di Gaza – sfollati, brutalizzati, assetati e affamati – non entrino nei tunnel e combattano Hamas, anche a costo di migliaia di vittime, per ottenere il ritorno di tutti gli ostaggi.

Raichel conclude che, visto che non lo fanno, dovrebbero essere considerati complici dei crimini di Hamas e quindi obiettivi legittimi degli attacchi di Israele.

In effetti, il problema con queste persone recentemente disilluse sembra piuttosto risiedere nell’interpretazione della loro posizione “di sinistra” precedente la disillusione.

In un’intervista al programma del comico Shalom Assayag Stronger Together, l’attrice e presentatrice televisiva Tzufit Grant ha dichiarato che “il mio credo di sinistra non esiste più: pensavo che fossimo ugualmente umani, e invece no”.

Il 7 ottobre, secondo le sue parole, gli aggressori hanno ucciso “la parte umanitaria del mio cervello, l’irrefrenabile compassione, [l’idea che] ‘siamo tutti esseri umani’”.

Grant non crede più che siamo tutti umani. E dunque?

Descrive gli oltre due milioni di palestinesi a Gaza con un vocabolario ripugnante per una per cui, fino a poco tempo fa, l’amore per l’umanità era la luce guida.

Puro narcisismo

Grant non è sola. Forse il sentimento più forte a cui fanno più volte riferimento molti dei nuovi disillusi è l’amarezza: i palestinesi li hanno “persi”.

Loro, gli esponenti della sinistra che affermano di essere stati in passato assolutamente convinti della coesistenza considerando ogni persona un essere umano… e la loro “ricompensa” è stato un attacco criminale il 7 ottobre.

Sì, l’attacco di Hamas alle comunità adiacenti a Gaza è stato terrificante. Ma attenzione all’idea che la semplice buona volontà del padrone dovesse essere sufficiente a soddisfare i palestinesi, che avrebbero dovuto essere grati per la gentilezza del padrone e continuare a sopportare la loro oppressione in silenzio. (Ah, quella nostalgia dei “bei vecchi tempi” quando i palestinesi di Gaza, grazie alla gentilezza di Israele, potevano entrare in Israele per lavorare come operai a giornata ed esserne grati!)

Questo atteggiamento è, nella migliore delle ipotesi, puro narcisismo, non una posizione politica basata su un’analisi della realtà e delle sue distorte relazioni di potere.

Alcuni osservatori dicono ripetutamente che molti dei residenti nelle comunità adiacenti a Gaza che sono state attaccate il 7 ottobre erano persone in cerca di pace, alcuni addirittura attivisti che si offrivano regolarmente volontari per portare i bambini di Gaza dal valico di Erez agli ospedali israeliani – un riferimento inteso a raffigurare i palestinesi come ingrati e a giustificare il cambiamento delle loro posizioni politiche.

Questo atteggiamento è viziato dalla stessa depoliticizzazione narcisistica che vede tutto attraverso la lente delle buone intenzioni di (alcuni) israeliani.

Indubbiamente, offrirsi volontari per trasportare i palestinesi malati da Gaza è un atto nobile e i volontari sono persone le cui azioni erano spinte dalla moralità e dalla coscienza. Ma una posizione politica considera il contesto più ampio in cui questo volontariato ha luogo: vale a dire l’assedio a lungo termine della Striscia di Gaza da parte di Israele e la distruzione della maggior parte delle sue infrastrutture civili.

Tale posizione si interrogherebbe su come si sia realizzata questa situazione in cui i civili palestinesi a Gaza devono fare affidamento sulla generosità di buoni israeliani e non possono ricevere cure mediche adeguate nella stessa Gaza. Si chiederebbe perché non ci siano ospedali adeguati a Gaza, e chi impedisca ai palestinesi di costruirli, e con quale diritto.

Abbracciare il tribalismo

Questa posizione metterebbe in luce il significato di una negazione così ampia della libertà di movimento per milioni di persone da necessitare del permesso del signore supremo non solo per entrare in Israele ma anche per viaggiare nei territori palestinesi in Cisgiordania. Sottolineerebbe anche la natura del regime che per decenni ha controllato ogni respiro di milioni di soggetti privati dei diritti civili, e capirebbe che un tale regime inevitabilmente avrebbe provocato una rivolta. E, contrariamente a tutti i tentativi di controllare il modo in cui queste realtà vengono presentate al consumo pubblico, comprenderle accuratamente non equivarrebbe a sostenere la violenza né a giustificarla, ma al contrario: un’analisi imparziale di questa realtà sanguinosa ci permetterebbe di uscirne.

Un concetto a cui al massimo può aspirare il suddito è il riconoscimento del suo essere umano da parte del padrone, riconoscimento che può essere negato con la stessa facilità con cui è stato concesso se il suddito “delude”: è il segno distintivo della situazione coloniale.

In questa situazione, il padrone si ritiene così superiore al soggetto che quest’ultimo dovrebbe essere grato per ogni momento in cui la presa del padrone sulla sua gola si allenta, mentre ogni resistenza alla minaccia sempre presente di uno strangolamento equivale a ingratitudine.

Questi sono gli stessi “uomini di sinistra del passato” che, oltre alla delusione nei confronti dei palestinesi, hanno anche improvvisamente scoperto le gioie di abbracciare il tribalismo come evidentemente ha fatto Tzufit Grant.

Dal 7 ottobre, racconta, avrebbe voluto camminare tutto il giorno per le strade e baciare gli israeliani: “Sono diventata molto israeliana, molto ebrea”.

Purtroppo, disastrosamente, nell’Israele di oggi, tutto ciò sembrerebbe implicare la separazione non solo dalla “porzione umanitaria” del cervello, ma dal cervello stesso.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)