Israele vuole distruggere Gaza e annettere la Cisgiordania, ma i palestinesi cosa vogliono?

Alle spalle di una studentessa dell'Università di Nevada Reno le rivendicazioni del movimento filo palestinese. 26 aprile 2024. Foto: KIA RASTAR/Middle East Images/AFP
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Ramzy Baroud

7 maggio 2024 – Middle East Monitor

Ciò che sta succedendo nella Palestina occupata non è un conflitto fra, più o meno, uguali, ma un inequivocabile caso di occupazione militare illegale, apartheid, pulizia etnica e un vero e proprio genocidio di una parte pesantemente armata, Israele, contro un’altra largamente disarmata, i palestinesi. Coloro che insistono nell’usare un linguaggio “neutrale” per descrivere la crisi in Palestina stanno danneggiando il popolo palestinese ben oltre le loro parole apparentemente innocue.

Questo linguaggio moderato ed eticamente evasivo è quanto sta avvenendo ora a Gaza. È là che si sente di più il danno di questa “imparzialità”. “Se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto il lato dell’oppressore,” disse il defunto arcivescovo Desmond Tutu, attivista anti apartheid sudafricano. La sua saggezza è eterna.

Se in tutto il mondo la maggioranza dei Paesi e delle persone non sta di certo prendendo le parti dell’oppressore israeliano, alcuni, intenzionalmente o meno, lo fanno. Ci sono quelli che stanno prendendo le parti di Israele alimentando e finanziando direttamente la macchina omicida israeliana nella Striscia di Gaza, mentre danno la colpa ai palestinesi per la guerra e il suo devastante impatto, come se la storia fosse cominciata solo il 7 ottobre: non è così.

Tuttavia sostenere Israele non implica solo la fornitura di armi,  i legami commerciali o proteggerlo da dover dar conto delle sue azioni ai sensi del diritto internazionale. Ignorare le priorità palestinesi e mettere in evidenza il dibattito politico e le aspettative israeliane sono anche un modo di sostenere Israele denigrando la Palestina e il suo popolo.

Fin dal 7 ottobre ci si è chiesti cosa Israele voglia a Gaza. Il 7 novembre mentre prometteva di distruggere Hamas, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele doveva mantenere “la responsabilità in materia di sicurezza” sulla Striscia di Gaza per “un periodo indefinito”.

Gli americani sono d’accordo. “Non si può tornare allo status quo,” ha detto il presidente USA Joe Biden il 26 ottobre, il che “significa garantire che Hamas non possa più terrorizzare Israele e usare i civili palestinesi come scudi umani.”

Gli europei, che si sono spesso presentati come partner equidistanti tra Israele e l’Autorità Palestinese, hanno adottato un atteggiamento simile. Per esempio Josep Borrell, capo della politica estera dell’UE, ha esposto una proposta per Gaza, includendo una versione “rinforzata” dell’attuale AP, “con una legittimità da definire e decidere da parte del Consiglio di Sicurezza [ONU]” invece che del popolo palestinese.

Appena è diventato ovvio che la resistenza palestinese era troppo forte per permettere a Israele di ottenere qualcuno dei suoi nobili obiettivi, funzionari governativi, esperti e analisti dei media hanno cominciato a mettere in guardia lo Stato di occupazione che nella Striscia non era possibile nessuna vittoria militare. Essi hanno sostenuto che Israele deve anche sviluppare una strategia “realistica” per governare Gaza dopo la distruzione della resistenza. Alcune di queste affermazioni sono state applaudite persino dai media filopalestinesi, arabi e mediorientali, come un esempio del cambiamento della narrazione occidentale sulla Palestina.

In realtà, però, la narrazione è rimasta la stessa. Quello che è cambiato è il livello senza precedenti della resilienza palestinese, sumud, che ha ispirato il mondo e spaventato gli alleati di Israele sul drammatico scenario che attende Tel Aviv se le sue forze di occupazione subissero una sconfitta totale a Gaza.

Anche se molti fra gli alleati occidentali di Israele possono essere sembrati critici verso Netanyahu, essi si stanno ancora comportandosi prima di tutto perché preoccupati per Tel Aviv, senza amore né rispetto per i palestinesi. Non c’è nulla di nuovo in tutto ciò.

Dalla distruzione della patria palestinese, la Nakba avvenuta nel 1948, sono emerse due narrazioni. Quella israeliana è stata abbracciata in toto dai principali media, politici e accademici occidentali che si sono impegnati a travisare il “conflitto”. Hanno descritto Israele come uno “Stato ebraico” che lotta per sopravvivere in un mondo arabo ostile e fra interessi arabi in competizione fra loro, e i palestinesi come faziosi e disuniti che si trovano d’accordo su una cosa sola: vogliono distruggere Israele.

La narrazione palestinese è che la giustizia è indivisibile e che la pietra angolare di ogni pace durevole in Palestina è la restituzione della loro patria ai rifugiati palestinesi spossessati, tramite il loro legittimo Diritto al Ritorno, che è stato sempre negato da Israele.

Quando nel 1967 Israele ha occupato il resto della Palestina storica ed esteso il suo sistema di apartheid ai territori recentemente occupati è stato solo naturale che la fine all’occupazione militare israeliana e lo smantellamento del sistema razzista diventasse una richiesta palestinese fondamentale. Tuttavia questo è avvenuto senza ignorare l’ingiustizia originaria che ha colpito tutti i palestinesi nel 1948.

Gli alleati di Israele in occidente hanno usato l’occupazione israeliana come un’opportunità per distogliere l’attenzione dalle cause alla radice del “conflitto”. Con il tempo hanno ridotto il dibattito sulla Palestina a quello delle colonie illegali che Israele ha cominciato a costruire, violando il diritto internazionale, dopo averne completato l’occupazione militare nel 1967.

Ogni palestinese che sostenga che il problema non è per niente un “conflitto” e che la causa prima è la creazione dello Stato di Israele in Palestina, era, e continua ad essere, definito un radicale o peggio. Questo pensiero riduzionista è ora applicato a Gaza, dove ogni riferimento storico è intenzionalmente accantonato e dove il discorso politico palestinese è evitato a favore del linguaggio menzognero di Israele.

Comunque, non importa quanto spesso i media occidentali continuino a parlare del “terrorismo palestinese” e della necessità di rilasciare gli ostaggi israeliani e di dare la priorità alla sicurezza israeliana, mentre ignorando il terrorismo israeliano, i detenuti e le aspirazioni politiche palestinesi non ci sarà una soluzione di questo problema, ora o in futuro, se i diritti palestinesi non sono accettati, rispettati e soddisfatti.

Né il suo passato né il suo futuro possono essere capiti o immaginati senza comprendere la lotta palestinese in tutta la Palestina, inclusa quella dei palestinesi autoctoni dell’odierno Israele, il 20% della sua popolazione.

Questa non è un’opinione, ma la vera essenza del dibattito politico proveniente da tutti i gruppi politici di Gaza. La stessa asserzione può essere fatta circa il dibattito politico dei palestinesi in Cisgiordania, nella Palestina storica, e di quelli della diaspora, shatat.

Israele e gli USA possono provare a immaginare tutti i futuri che vogliono per Gaza, e possono anche cercare di ottenere un futuro con missili, bombe stupide [a caduta libera] e missili anti bunker. Però nessuna potenza militare o dispiegamento di armamenti può alterare la storia o ridefinire la giustizia.

In definitiva quello che Gaza vuole è il riconoscimento dell’ingiustizia storica, il rispetto del diritto internazionale, la libertà per tutti i palestinesi e che Israele venga chiamato a rispondere giuridicamente dei suoi crimini. Queste non sono affatto posizioni estreme, specialmente quando paragonate alla molto evidente politica israeliana di distruggere Gaza, annettere la Cisgiordania e portare a termine la pulizia etnica del popolo palestinese. Washington e i suoi alleati occidentali capiranno e riconosceranno mai questo fatto?

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)