Come i presidenti delle università israeliane stanno avvalorando la causa del boicottaggio

Il campus di un 'università israeliana. Foto: WIKIMEDIA COMMONS
image_pdfimage_print

Mayssoun Sukarieh

6 maggio 2024 – Mondoweiss

La condanna da parte dei presidenti delle università israeliane delle proteste in solidarietà con Gaza negli USA sta smascherando la complicità delle università israeliane nell’occupazione, nell’apartheid e nel genocidio.

Il 26 aprile 2024 i presidenti di nove università israeliane di ricerca— Ben-Gurion, Weizmann Institute of Science, Hebrew University, the Open University, Ariel, Tel-Aviv, Haifa e Technion-Israel Institute of Technology — hanno rilasciato una dichiarazione collettiva in risposta agli accampamenti degli studenti in solidarietà con i palestinesi che stavano dilagando nei campus universitari negli Stati Uniti e altrove. La dichiarazione è una significativa condanna degli studenti manifestanti negli USA impegnati in “gravi violenze, antisemitismo [e] opinioni contrarie a Israele,” che dipinge questi studenti come “detestabili gruppi di incitatori,” che sarebbero “organizzati e sostenuti” da “organizzazioni terroristiche.” 

I presidenti affermano che “studenti israeliani ed ebrei e membri delle facoltà” presso le università statunitensi vengono minacciati “di aggressioni fisiche” dai campi di protesta. Hanno richiesto ai presidenti delle università americane di adottare “misure oltre agli strumenti convenzionali disponibili alle amministrazioni delle università” per rispondere con efficacia a queste “situazioni estreme,” e invitano studenti e docenti israeliani ed ebrei negli USA a “entrare nelle università israeliane” dove promettono loro “una casa accademica e privata accogliente.”

È importante prestare grande attenzione a questa dichiarazione per parecchi motivi. Primo, perché aiuta a evidenziare una verità fondamentale sulle università israeliane. Negli ultimi vent’anni il PACBI (la campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele) ha chiesto il boicottaggio internazionale degli istituti di istruzione superiore israeliani perché “queste istituzioni sono profondamente complici del sistema israeliano di oppressione che nega ai palestinesi i loro diritti fondamentali garantiti dal diritto internazionale,” e “sono parte integrante dell’impalcatura ideologica e istituzionale del regime israeliano di occupazione, colonialismo e apartheid contro il popolo palestinese.” Più recentemente il libro di Maya Wind del 2024 Towers of Ivory and Steel: How Israeli Universities Deny Palestinian Freedom, [Torri d’avorio e acciaio: come le università israeliane negano la libertà palestinese] ha decisamente messo in dubbio la percezione in Occidente delle “università israeliane come bastioni progressisti di pluralismo e democrazia,” sostenendo, in accordo con il PACBI, che queste università “costituiscono le colonne portanti del colonialismo d‘insediamento israeliano” e “sostengono attivamente l’occupazione militare israeliana… e l’apartheid.” 

Negli ultimi sette mesi i presidenti delle università israeliane hanno mostrato il loro forte e fazioso sostegno alla guerra dello Stato di Israele a Gaza. La loro dichiarazione del 26 aprile fa eco alla condanna di due giorni prima da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dei manifestanti universitari USA, che ha descritto come “bande antisemite” che “invocano l’annientamento di Israele,” “aggrediscono gli studenti ebrei” e “attaccano il corpo decente ebreo” in modi che “ricordano ciò che successe nelle università tedesche negli anni ‘30.” Netanyahu ha definito le proteste “immorali” e ha insistito che devono essere “fermate” e “condannate inequivocabilmente.” 

La dichiarazione dei presidenti israeliani del 26 aprile non è stato un evento isolato ma una delle varie dichiarazioni fatte dall’inizio della guerra di Israele a Gaza. Tramite tali dichiarazioni i presidenti hanno sollevato la preoccupazione che “molti campus dei college [negli USA] siano diventati terreni fertili per la proliferazione di sentimenti anti-israeliani e antisemiti.”  

Pur facendo gesti simbolici di sostegno all’importanza della libertà accademica e di parola i presidenti delle università israeliane hanno spiegato chiaramente quali discorsi siano per loro accettabili. Condannano l’espressione “dal fiume al mare” poiché “auspica l’annientamento dello Stato di Israele,” e “intifada” poiché “sostiene le attività terroristiche contro i cittadini israeliani”, così come qualsiasi esternazione in cui Israele “è rappresentato in modo fuorviante come l’oppressore.” Essi approvano “dichiarazioni chiare di solidarietà e sostegno per Israele,” che credono “siano, nella loro essenza, affermazioni umane, illuminate e progressiste di solidarietà.” 

I presidenti delle università israeliane hanno continuamente rappresentato la guerra a Gaza in termini manichei: “Non ci sono ‘brave persone in entrambi i campi,’” sostengono in una dichiarazione, e in un altra affermano che la guerra è una lotta fra “luce” e “tenebre”. I presidenti insistono che le università negli USA “devono assumersi la responsabilità delle opinioni che perpetuano,” e che “ciò che è richiesto sono azioni chiare e ferme” per “guidare lo sviluppo morale ed etico” degli studenti universitari americani cosicché possano correttamente “separare il bene dal male”.

In particolare durante la guerra i presidenti non hanno proferito una singola espressione di preoccupazione per i palestinesi. In un comunicato insistono che “non ci può essere alcun sostegno per massacri deliberati della popolazione civile,” e invocano una “posizione comune contro la barbarica violenza perpetrata contro la popolazione civile.” Ma si riferiscono all’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele, non all’aggressione di sette mesi attuata da Israele a Gaza che ha portato alla morte di oltre 34.000 palestinesi, in maggioranza donne e bambini. Non ci sono stati commenti da parte dei presidenti delle università israeliane né sulla distruzione da parte dello Stato israeliano di tutte le università né sull’uccisione di decine dei loro colleghi accademici in tutta Gaza. 

Negli ultimi sette mesi i presidenti delle università israeliane hanno perciò fornito con le loro stesse parole una prova diretta a sostegno delle argomentazioni sostenute dal PACBI negli ultimi vent’anni. In nessun senso questi presidenti hanno cercato di prendere una posizione di critica o dissenso verso le azioni dello Stato israeliano o seguito un percorso di pretesa neutralità riguardo allo Stato israeliano; piuttosto quella che è stata manifestata è una fervente e costante faziosità. Per opporsi ad apartheid, occupazione e genocidio in Palestina dobbiamo opporci alle università di ricerca israeliane.

 

Neutralità istituzionale’

Un secondo tema è che queste dichiarazioni devono essere considerate insieme a quelle che sono state fatte recentemente da un numero crescente di presidenti di università negli USA e nel Regno Unito in risposta alle richieste di studenti e corpo docente di disinvestire dalle aziende implicate nell’occupazione, nell’apartheid e nel genocidio israeliani e di boicottare le istituzioni Israeliane di istruzione superiore.  

Negli ultimi sette mesi molti di questi presidenti hanno abbracciato rivendicazioni di “neutralità istituzionale.” La neutralità istituzionale, sostiene Daniel Diermeier della Vanderbilt University, “è l’impegno di un’università e dei suoi dirigenti di astenersi dal prendere posizioni pubbliche su temi controversi a meno che riguardino direttamente la missione e la funzione dell’università,” ed è “un valore fondamentale” che è “vitale” e “indispensabile” dato che “tiene le università fuori dalla politica,” pur rimanendo concentrate sulla “ricerca della conoscenza e della verità.”  

Nel Regno Unito il King’s College London ha abbracciato una politica di “imparzialità basata sui valori,” che definisce come “una questione attiva di moderazione di principio” in cui l’università e i suoi dirigenti dovranno evitare di prendere posizioni pubbliche o rilasciare dichiarazioni pubbliche su “temi sociali e geopolitici,” eccetto ove questi “impattino direttamente sulla sicurezza e l’incolumità del nostro personale e dei nostri studenti.” Poco lontano dal KCL, Michael Spence, presidente e rettore dell’University College London, insiste “che il sostegno alla libertà accademica e al dibattito richiede che un’università non adotti una posizione istituzionale in relazione a ogni dato argomento, incluso quello del conflitto armato.” 

Negli USA il presidente e rettore della Stanford University ha rilasciato una dichiarazione subito dopo l’inizio della guerra di Israele a Gaza per enfatizzare l’importanza di “mantenere la neutralità dell’università,” e di riaffermare che “è politica generale (dell’università) non rilasciare dichiarazioni su eventi di cronaca non direttamente collegati al campus.” Persino alla Columbia University la presidente Minouche Shafik ha sostenuto che l’università è devota al principio di “neutralità istituzionale,” anche quando stava chiamando, non solo una, ma due volte, il dipartimento di polizia di New York per arrestare ed espellere gli studenti che manifestavano nel campus.

Tali affermazioni di neutralità dell’università sono state aspramente criticate da manifestanti, studenti e personale che le hanno etichettate come “menzogna”, “posizione artificiosa” e “cortina fumogena” per occultare la “complicità” dell’università nella guerra di Israele a Gaza e “una posizione molto chiara che ha preso [un’università] che non intende fare nulla per fermare il genocidio.” In una risposta a Daniel Diermeier uno studente della Vanderbilt University ha citato la frase dell’arcivescovo Desmond Tutu che “se sei neutrale in situazioni di ingiustizia, hai scelto la parte dell’oppressore.” Un attivista di Students for Justice in Palestine presso la Chapman University ha invocato le parole di Elie Wiesel che “la neutralità aiuta l’oppressore, mai la vittima,” e che il “silenzio incoraggia il tormentatore, mai il tormentato.” A un open day il gruppo per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni presso il Trinity College di Dublino, in Irlanda, ha distribuito volantini che “chiedevano agli aspiranti studenti: ‘Volete frequentare un’università che è neutrale sul genocidio?’” 

Ma c’è anche una domanda fondamentale sollevata dalle ripetute dichiarazioni collettive dei presidenti delle università di ricerca in Israele. Come possono le università negli USA, nel Regno Unito e altrove continuare a promuovere e impegnarsi in collaborazioni dirette con le università israeliane che non sono affatto neutrali in relazione alla guerra a Gaza, mentre allo stesso tempo fingono di avere una posizione di neutralità istituzionale su questo stesso tema? Semplicemente le due cose non possono coesistere. 

Infine c’è una questione più ampia per tutti noi impegnati come lavoratori e studenti nel settore dell’istruzione superiore: il ruolo delle università in relazione a occupazione, apartheid e genocidio indipendentemente da dove queste università sono situate. Le università occidentali fingono una neutralità assai dubbia, anche quando la loro ricerca, insegnamento, istituzioni, finanziamenti e fondi pensione che hanno legami con corporazioni e altre istituzioni coinvolte nel sostenere occupazione, apartheid e genocidio in Palestina raccontano un’altra storia. Le università israeliane sono coinvolte in un sostegno diretto, aperto e fazioso dello Stato israeliano, perseguendo quello che la Corte Internazionale di Giustizia ha sostenuto costituisca, come minimo “un plausibile genocidio.” Ma questi non sono i soli modelli che le università possono recepire. Il modello di università pubblica ha da tempo portato avanti una visione alternativa dell’università come spazio vitale per critica e dissenso nella società contemporanea e come attore importante nella continua lotta per la giustizia sociale. Questa è “l’importanza di dire la verità al potere” che Craig Calhoun, ex presidente della London School of Economics, sostiene nella sua conferenza sulla libertà accademica e conoscenza pubblica. 

Le università non sono mai state, non sono e non dovrebbero mai essere neutrali sui temi sociali del momento,” sottolinea John Grant. O, come disse una volta il defunto Stuart Hall, in una citazione ampiamente ripetuta, “o l’università è un’istituzione critica o non è niente.” 

In conclusione questa è una lotta a sostegno del popolo della Palestina, ma è anche una battaglia per l’anima dell’università.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)