Natasha Lennard
11 aprile 2025 – The Intercept
Questa settimana l’amministrazione di Donald Trump si è attivata per decretare la morte di migliaia di immigrati.
Le oltre 6.000 persone vive e vegete, per lo più immigrati latinoamericani senza documenti, continuano a mangiare, dormire, respirare e lavorare sul territorio statunitense. Ciononostante i loro nomi sono stati inseriti nell’“archivio principale dei defunti” della Previdenza Sociale, la banca dati utilizzata per elencare le persone morte che non dovrebbero più riceverne le prestazioni.
Il New York Times, il primo a informare sulla perversa riconversione dell’archivio principale dei defunti, ha rilevato con inusuale chiarezza che l’amministrazione stava includendo “i nomi di persone vive che il governo crede dovrebbero essere trattate come se fossero morte.”
Inserire gli immigrati nella lista dei defunti è uno sporco espediente per impedire rapidamente l’accesso alla sopravvivenza in questo Paese, tagliandoli fuori in modo permanente dall’accesso a prestazioni, conti bancari e dalla possibilità di lavorare legalmente. È solo l’ultima mossa per rendere invivibile l’esistenza agli immigrati, in modo che siano obbligati a scegliere di andarsene, se non sono stati prima rastrellati e deportati dall’Immigration and Customs Enforcement [ICE, l’agenzia federale USA per l’immigrazione e le frontiere, ndt.].
È qualcosa di più di un espediente crudele. È in questione la morte.
L’amministrazione Trump sta esprimendo apertamente la sua volontà di condannare milioni di persone alla morte civile e sociale su molteplici fronti, dagli immigrati catalogati come morti dalla Sicurezza Sociale al diniego del rilascio del passaporto ai trans, a una corretta documentazione o a ogni forma di esistenza in base alla documentazione governativa.
Non si tratta solo di un’uccisione metaforica: l’espulsione dalla vita pubblica ufficiale può essere realmente mortale. L’escalation del dominio necropolitico —il concetto dello storico Achille Mbembe del governo organizzato per esporre certe categorie di persone a una morte prematura e all’eliminazione — da parte di Trump sta determinando una situazione fascista, che minaccia di revocare i diritti giuridici di interi settori della popolazione.
In fin dei conti i morti non possono rivendicare alcun diritto.
Queste violazioni necropolitiche non sono visibili solo nei registri della Sicurezza Sociale. Sono anche una parte implicita di molti dei casi relativi all’immigrazione che ci troviamo davanti. Si prenda per esempio quello di Mahmoud Khalil, uno studente universitario della Columbia University, dove ha partecipato alle proteste contro il genocidio, residente permanente la cui moglie, cittadina statunitense, sta aspettando il primo figlio.
“Chi ha diritto ad avere diritti?” ha chiesto Khalil in una lettera del marzo scorso da un centro di detenzione dell’ICE in Louisiana. “Non sono certo gli esseri umani ammassati in queste celle. Non è il senegalese che ho incontrato, il quale da un anno è stato privato della sua libertà, la sua situazione legale è in un limbo e la sua famiglia a distanza di un oceano. Non è il detenuto ventunenne che ho incontrato, che mise piede in questo Paese all’età di nove anni solo per essere deportato senza neanche un processo.”
Venerdì un giudice per l’immigrazione della Louisiana ha sentenziato che Khalil può essere deportato in base alle affermazioni senza fondamento dell’amministrazione Trump secondo cui rappresenta una minaccia per la politica estera statunitense.
“Questa è esattamente la ragione per cui l’amministrazione Trump mi ha spedito in questo tribunale, a 1.000 miglia di distanza dalla mia famiglia,” ha detto Khalil alla giudice dopo che lei lo ha informato della sentenza. “Spero solo che l’urgenza che avete ritenuto opportuna nel mio caso sia garantita alle centinaia di altre persone che sono qui senza processo da mesi.”
Gli avvocati di Khalil presenteranno appello contro questa decisione e stanno promuovendo un ricorso di habeas corpus in un tribunale federale del New Jersey. Come il rapimento e la detenzione di Rümeysa Öztürk, studentessa di dottorato alla Tufts University, perché ha scritto un editoriale e la revoca del visto a centinaia di studenti a quanto pare per aver partecipato a proteste contro un genocidio, la difficile situazione di Khalil si fa beffe delle garanzie costituzionali.
La lotta di Khalil contro la deportazione sulla base di accuse infondate di “antisemitismo” e minaccia alla “sicurezza nazionale” è in effetti un banco di prova dei limiti di fondamentali diritti costituzionali e umani sotto Trump.
“Il diritto di avere diritti”, menzionato per la prima volta dalla filosofa Hannah Arendt, una rifugiata dalla Germania nazista, evidenzia che una persona non è intrinsecamente titolare di diritti ma perché le venga concesso ogni altro diritto deve essere riconosciuta come parte di una comunità politica. Si potrebbe parlare di diritti universali, ma essi devono essere riconosciuti ed hanno una forza materiale solo quando sono riconosciuti dai poteri di uno Stato.
È precisamente l’eliminazione del diritto di avere diritti, il diritto di essere riconosciuti come esseri umani per legge, a cui mira Trump.
Non è un caso che i palestinesi e i loro sostenitori siano tra i primi ad essere presi di mira. Israele, gli Stati Uniti e il cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole hanno dichiarato i palestinesi fuori dai confini del riconoscimento legittimo, vale a dire espellibili, arrestabili e potenzialmente vittime di uccisione, per 76 anni.
“Vedo nella mia situazione delle somiglianze con l’uso da parte di Israele della detenzione amministrativa, l’incarcerazione senza processo o imputazione, per togliere ai palestinesi i loro diritti,” ha scritto Khalil nella sua lettera.
Gli avvocati di Khalil ritengono che sia stato preso di mira dall’amministrazione solo per aver espresso un’opinione che dovrebbe essere protetta dal Primo Emendamento. C’è persino una specifica misura nella legge su Immigrazione e Nazionalità del 1990 che dovrebbe impedire al governo di deportare persone in quanto minacce alla “politica estera” solo per aver espresso la propria opinione.
Eppure far valere questa protezione si è dimostrato inutile. Dove sono i diritti di Khalil?
Necropolitica alla luce del sole
Quando Trump ha invocato l’Alien Enemies Act [Legge sui Nemici Stranieri, ndt.] del 1798 per rastrellare immigrati venezuelani, anche quello è stato un attacco contro il diritto di avere diritti. E si è dimostrato un successo: la maggioranza degli oltre 200 uomini rastrellati sulla base di accuse assolutamente infondate di appartenenza a una gang non aveva precedenti penali. Ciò non ha impedito che venissero spediti, senza un regolare processo, in un brutale campo di prigionia nel Salvador.
Questa politica di consegna straordinaria come deportazione è diventata solo ancora più oscura con ogni nuovo dettaglio. La catalogazione come criminale da parte degli USA è stata a lungo utilizzata per togliere alla gente diritti fondamentali. La deportazione potenzialmente permanente verso un campo di prigionia totalitario non sarebbe giustificata neppure se ogni detenuto fosse stato condannato per gravi reati.
Si prenda il caso di un uomo che l’amministrazione Trump ammette sia stato erroneamente inviato nel Salvador. Nonostante questa ammissione il governo sta lottando per non dover riprendere questo uomo, arrivando venerdì perfino a sfidare un ordine del tribunale. Ciò riflette l’impegno a escludere persone ben definite dalla comunità che detiene diritti.
Il partito Repubblicano di Trump è stato definito come un “culto della morte” fin dal suo primo mandato, quando il negazionismo del COVID da parte dei MAGA [seguaci di Trump, ndt.] ha assunto forme omicide e suicide. Il rifiuto della scienza medica, l’accoglienza positiva a una decimazione ambientale, un vero e proprio attacco contro le fondamentali disposizioni del welfare, uno straordinario sfruttamento dei lavoratori, i veti all’assistenza sanitaria riproduttiva, un’inesauribile dedizione al potere delle armi sono tipiche ossessioni per la morte della reazione del capitalismo americano, imbevute sotto Trump di una carica messianica.
Come molti dei progetti trumpiani, questa volta l’amministrazione ha una modalità mortale più raffinata, violenta ed esplicitamente fascista.
Le politiche di Trump possono rendere l’intera popolazione, compresa la sua base devota, più vulnerabile a una morte e a una fragilità premature; le politiche trumpiane di dominio, tuttavia, si basano su cosiddetti nemici chiaramente definiti e minacciati come già morti, espellibili o potenzialmente vittime di uccisione.
Tuttavia c’è almeno un modo in cui il “culto della morte” di Trump fa ricadere la necropolitica sulla sua testa. Il governo necropolitico, l’ordinamento di vita e morte letale e razzista da parte delle democrazie liberali occidentali, ha tradizionalmente cercato di amministrare la morte dietro porte chiuse o lontano dalla patria.
Si supponeva che l’opinione pubblica non venisse a sapere delle torture nella prigione di Abu Ghraib in Iraq o degli abusi a Guantanamo, delle uccisioni da parte della polizia, della brutalità razzista nelle prigioni, dell’inquinamento e della distribuzione grossolanamente diseguale della devastazione ambientale, e molto altro. La mossa trumpiana è indossare la testa da morto [simbolo utilizzato anche dalle SS naziste, ndt.], adottare e potenziare questo mostruoso e palesemente diseguale quadro di morte.
Tuttavia Khalil continua a dimostrarci cosa significhi lottare per la vita. “Dopo l’udienza Khalil si è girato a guardare in faccia i 22 osservatori e giornalisti fuori dall’aula di tribunale e ha formato un cuore con le sue mani,” ha riportato l’NPR [rete di radio indipendenti USA, ndt.]. “Ha sorriso.”
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)