Un’inchiesta dell’esercito israeliano ha insabbiato le uccisioni dovute a fuoco amico il 7 ottobre

Il generale di brigata Barak Hiram (alla sinistra) con il capo dell'esercito generale Halevi. Foto:IDF
image_pdfimage_print

David Sheen e Ali Abunimah 

29 luglio 2024 – The Electronic Intifada 

Il primo rapporto dell’esercito israeliano reso pubblico sugli eventi del 7 ottobre 2023 elogia il generale che quel giorno ha guidato le forze israeliane in battaglia nel kibbutz Be’eri per aver ordinato a un tank di sparare contro una casa uccidendo oltre 10 civili presi in ostaggio.

Il bombardamento ha ucciso praticamente tutti quelli che si trovavano all’interno e nei pressi della casa, tra cui decine di combattenti della resistenza palestinese.

Il rapporto rappresenta un grossolano insabbiamento, non compatibile con fatti noti e un’intenzionale riscrittura di quanto avvenuto per discolpare le forze israeliane dall’uccisione di loro concittadini quel giorno.

Benché il rapporto avrebbe dovuto essere scritto da ufficiali senza alcun legame con quanti parteciparono alla battaglia, uno dei suoi autori è il tenente colonnello Elihai Bin Nun, che il 7 ottobre ha combattuto a Be’eri sotto il comando del generale Barak Hiram, il responsabile delle forze israeliane presenti quel giorno nel kibbutz, come rivelato dal New York Times.

Il sito di informazione israeliano Ynet ha evidenziato che, quando è stata svelata la partecipazione di Bin Nun alla battaglia, l’esercito ha eliminato dal rapporto ogni menzione del suo ruolo come autore.

In conseguenza di questa inchiesta l’esercito ha elogiato Hiram per aver agito in “modo professionale ed etico” avendo ordinato il fuoco letale del tank. Ha occultato la morte di civili provocata dal bombardamento, accettando la responsabilità solo per uno dei 13 ostaggi uccisi nella casa di Pessi Cohen, abitante del kibbutz.

L’esercito ammette l’uccisione di un solo civile, Adi Dagan, in quanto la sua morte è stata testimoniata direttamene dall’unico ostaggio sopravvissuto al bombardamento da parte del carrarmato, Hadas Dagan, moglie di Adi. Durante la battaglia la coppia e altri quattro civili israeliani, tra cui la stessa Pessi, si trovavano sul prato erboso fuori dalla casa, nascosti per evitare le raffiche di proiettili che per ore hanno fischiato sulle loro teste.

Mentre il resoconto completo della battaglia non è stato reso pubblico, una sintesi dettagliata di sei pagine del rapporto pubblicata dall’inviato militare della radio dell’esercito Doron Kadosh fa ulteriore luce sugli eventi. Essa riconosce che il numero di civili all’interno della casa era di sette.

Nella sua prima descrizione pubblica dell’incidente una settimana dopo l’attacco del 7 ottobre l’esercito ha affermato che nella casa erano morti non 7 ma 15 civili, e che otto di loro erano neonati.

In quella casa c’erano altre 15 persone bruciate. Tra esse 8 neonati,” ha detto a un folto gruppo di giornalisti stranieri il 14 ottobre di fronte alla casa di Pessi Cohen il capo del soccorso militare israeliano Vach. “Erano concentrati lì, li hanno uccisi e bruciati.” Erano menzogne vergognose, e, anche se il nuovo rapporto non le ripete, esso crea nuove fandonie su questo incidente divenuto celebre.

La sintesi ufficiale in inglese nota indirettamente che “due civili sono stati colpiti da schegge” e sostiene senza fondamento che la maggior parte degli altri ostaggi probabilmente è stato ucciso dai rapitori palestinesi, nonostante ogni prova suggerisca il contrario.

Nessun civile all’interno dell’edificio è stato colpito dal fuoco del carrarmato,” sostiene. “La maggior parte degli ostaggi è stata probabilmente uccisa dai terroristi.”

Queste affermazioni non sono supportate da riferimenti ad alcuna autopsia. Infatti, a causa degli effetti catastrofici del bombardamento del tank, tale esame post-mortem in molti casi sarebbe stato impossibile anche se le autorità israeliane avessero voluto farlo.

È difficile capire da cosa sia stato ucciso ognuno di loro perché non sono state effettuate autopsie, ma per me è importante che non dicano mai che tutti sono stati uccisi dai terroristi,” ha detto alla radio militare israeliana Yasmin Porat dopo aver appreso il contenuto del rapporto. “Sicuramente questo non è vero.”

Porat è una degli unici due civili sopravvissuti agli avvenimenti nella casa di Pessi Cohen. Fin dall’incidente ha continuato ad affermare che il fuoco israeliano ha probabilmente ucciso molti degli israeliani che si trovavano lì.

Il racconto israeliano contraddice ogni logica

Nel tentativo di dimostrare le proprie affermazioni secondo cui i combattenti della resistenza palestinese hanno giustiziato tutti i civili meno uno, l’esercito delinea uno scenario dettagliato che non solo contraddice le testimonianze delle sopravvissute, Hadas Dagan e Yasmin Porat, ma contrasta con il senso comune.

Il rapporto afferma che alle 18 il capo di tutte le forze che combattevano a Be’eri e che circondavano la zona, il comandante della 99esima divisione di fanteria Barak Hiram, ha ordinato che i soldati si trincerassero presso la casa di Pessi Cohen per lanciare immediatamente un attacco di terra contro la casa. “Il generale di brigata Hiram ha ordinato: iniziate la conquista prima del buio,” afferma la sintesi del giornalista Doron Kadosh. “Ha sottolineato di temere che i terroristi avrebbero approfittato dell’imbrunire per scappare a Gaza con gli ostaggi.”

Poi nota che le forze israeliane hanno aspettato fino alle 17,57 prima di iniziare l’operazione di irruzione nella casa, un’ora dopo il tramonto e due ore dopo che l’ordine era stato dato.

Alle 18, mentre secondo il rapporto Hiram ha dato l’ordine di fare irruzione prima del tramonto, il sole era già calato su Be’eri. Aver aspettato due ore per mettere in pratica quell’ordine, dopo che già da un’ora le stelle erano visibili nel cielo notturno, non è coerente con le conclusioni del rapporto secondo cui “il commando sul campo dello Shin Bet, il comandante della YAMAM e le forze presenti hanno dimostrato un grande eroismo e con la massima determinazione hanno fatto tutto il possibile fino agli ultimi istanti.”

Lo Shin Bet è il servizio segreto interno israeliano e la YAMAM è un’unità speciale paramilitare simile ai gruppi SWAT [unità speciali della polizia, ndt.] degli USA.

Un’altra affermazione fatta nel rapporto che contraddice la logica più elementare è che sono stati i combattenti palestinesi a bruciare la casa di Pessi Cohen, incendiando tutto quello che c’era dentro, compresi se stessi.

Alle 20,30, mezz’ora dopo che le forze israeliane avrebbero iniziato a fare irruzione nella casa, secondo la sintesi di Kadosh gli israeliani avrebbero ricominciato “un violento tentativo di occupare la casa”.

Per un’altra ora ha avuto luogo una dura battaglia tra le nostre forze e i terroristi, che nel frattempo hanno dato fuoco alla casa e l’hanno bruciata,” afferma l’esercito, secondo quanto raccontato nella sintesi.

Inoltre il riassunto afferma che, quando hanno iniziato a incendiarla “per impedire alle forze israeliane di farvi irruzione”, i combattenti palestinesi avevano già giustiziato i civili tenuti nella casa.

In altre parole gli autori del rapporto vorrebbero farci credere che dopo ore di intensa sparatoria i combattenti palestinesi barricati in casa si sarebbero auto-immolati. Si stenta a credere all’idea che i combattenti palestinesi avrebbero scelto di morire patendo pene terribili avvolti dalle fiamme quando avrebbero potuto rapidamente e facilmente porre fine alle proprie vite con un colpo di pistola o morendo in combattimento contro gli israeliani.

Ma questo serve come comoda scusa della ragione per cui la casa e tutti quelli che erano dentro siano stati totalmente bruciati.

Un botto terribile”

Oltre ad essere pieno di incongruenze e affermazioni improbabili, lo scenario descritto nel rapporto dell’esercito è completamente contraddetto dalle testimonianze dei civili sopravvissuti, Hadas Dagan e Yasmin Porat.

Le affermazioni dell’esercito secondo cui i proiettili sparati dal carrarmato contro la casa non hanno colpito nessuno dei civili vicino ad Hadas e a suo marito Adi non quadra con i racconti fatti dalle due donne.

La sintesi nota che, dopo aver sparato alle 17,33 e alle 18,27 due proiettili di tank contro il sentiero fuori dalla casa, alle 18,34 e alle 18,57 sono stati sparati contro la casa altri due colpi. Nel riassunto il terzo proiettile “ha rimbalzato per terra e ha colpito il tetto all’ingresso dell’edificio. Il tetto è crollato in seguito all’impatto e pezzi di cemento sono caduti su Adi e Hadas Dagan, che erano all’esterno della casa. Adi è morto, Hadas è stata ferita ma è rimasta in vita,” afferma l’esercito.

Ci sono prove che la granata non è esplosa e che quelli che hanno colpito Adi e Hadas erano pezzi di cemento del tetto colpito,” aggiunge la sintesi. Secondo l’esercito questa conclusione è stata raggiunta dalla “perizia tecnica” dell’esercito, non da un esame forense o da un’autopsia indipendenti.

La ricostruzione di Hadas Dagan suggerisce qualcosa di diverso. “Improvvisamente un botto terribile … Per me era chiaro che si trattava di un carrarmato… E poi una seconda esplosione,” ha raccontato Dagan al Channel 12 israeliano a dicembre. “Per me è assolutamente evidente che io e Adi siamo stati feriti da schegge del proiettile del carrarmato, perché è avvenuto proprio in quel momento.”

Dagan ha descritto nei minimi particolari di essere rimasta distesa vicino a suo marito Adi e di aver messo il pollice sul buco nella sua “arteria principale” nel tentativo di bloccare il copioso fiotto di sangue, per poi togliere la mano solo quando si è resa conto che era morto.

Mentre stava parlando Dagan ha indicato con il pollice e un dito le dimensioni della ferita di suo marito: circa quelle di una grossa moneta.

È da notare che, nonostante abbia descritto chiaramente il letale bombardamento del carrarmato, Dagan abbia manifestato comprensione per il “dilemma” in cui secondo lei si è trovato l’esercito.

In base alla sintesi, il secondo bombardamento del carrarmato contro la casa mirava “al tetto, alle tegole. La granata è caduta. Non si sa ancora se qualcuno degli ostaggi è stato colpito, ma in base alle prove si stima che lì nessuno lo sia stato.”

Riguardo a Yasmin Porat, settimane dopo, in un’intervista con l’emittente radiofonica statale Kan, ha ricordato come Dagan le abbia raccontato che almeno altri due civili, tra cui il compagno di Porat, Tal Katz, erano stati sicuramente uccisi dalle stesse granate che hanno ferito Hadas e ucciso suo marito Adi.

Yasmin, quando le due fortissime esplosioni hanno colpito ho sentito come se volassi in aria,” Porat ha ricordato che le ha raccontato Dagan. “Mi ci sono voluti due o tre minuti per aprire gli occhi… Quando l’ho fatto o ho visto che il mio Adi stava morendo… A quel punto anche il tuo Tal ha smesso di muoversi.”

Porat ha spiegato che Dagan l’ha poi informata di come lo stesso carrarmato abbia ucciso anche il civile più giovane prigioniero nella casa, la dodicenne Liel Hatsroni.

Ricordo che, quand’ero lì la prima ora (della battaglia), lei (Liel Hatsroni) non ha mai smesso di gridare,” ha detto Porat a Kan, notando che i suoi ricordi coincidevano con quelli di Dagan. “La ragazzina non ha smesso di gridare in tutte quelle ore. Non smetteva di gridare,” Porat ricorda che Dagan le ha detto: “Yasmin, quando le due granate sono esplose lei ha smesso di gridare. Allora si è fatto silenzio.”

Quindi cosa ne deduci?” riflette Porat. “Che dopo quel gravissimo incidente, la sparatoria, che è terminata con due granate, è stato praticamente allora che tutti sono morti.”

Hatsroni e la sua prozia e tutrice Ayala sono state dichiarate ufficialmente morte solo un mese e mezzo dopo la battaglia perché di loro era rimasto ben poco per identificarle. Un parente delle Hatsroni ha detto a The Electronic Intifada che, dopo la battaglia, di Ayala, Liel e del suo fratello gemello Yanai sono rimaste solo ceneri.

Testimoni oculari uccisi a Gaza

Il confronto tra la cronologia degli avvenimenti e le testimonianze delle sopravvissute stabilisce che Liel Hatsroni è stata ferita a morte dalla quarta granata del carrarmato che si dice sia stata sparata alle 18,57, ed è probabile che contemporaneamente Yanai e Ayala siano stati feriti mortalmente.

Nel suo rapporto tuttavia l’esercito sostiene che la battaglia è continuata per altre due ore e mezza, fino alle 21,30, e durante questo tempo gli Hatsroni e gli altri quattro civili tenuti nella casa sono stati giustiziati dai combattenti palestinesi.

Questa versione dei fatti libera le forze israeliane dalla responsabilità per la loro morte, ma ciò è inequivocabilmente smentito dalla testimonianza di Hadas Dagan. Dopo aver descritto nei dettagli come il bombardamento del carrarmato abbia ucciso suo marito Adi, Hadas ha detto a Channel 12 come esso abbia posto fine alla battaglia nel suo complesso, ore prima rispetto a quello che sostiene l’esercito.

Ho sentito un altro sparo da dentro la casa e poi non ho più sentito niente. E ho aspettato che mi uccidessero. Non so quanto tempo sono rimasta distesa lì. Ho visto che non è spuntata nessuna testa. Ho visto le ombre, tutte. Nessuno si muoveva,” ha affermato.

Dagan ha detto a Channel 12 di essere stata effettivamente portata via dal campo di battaglia da forze israeliane verso le 20,15. “Improvvisamente ho sentito delle voci: ‘C’è un ostaggio che ha sollevato la testa!’ E ho visto puntini luminosi, lampadine frontali, e quelle figure armate nel buio. Mi hanno circondata,” ha ricordato Hadas a Channel 12.

Mi hanno messa seduta lì in un veicolo. Ho sentito che dicevano: ‘Ne abbiamo una qui gravemente ferita.’”

L’esercito conferma l’affermazione di Hadas Dagan secondo cui è stata portata via dal campo di battaglia a quell’ora, stimando che sia avvenuto alle 20,10. “I combattenti che cercavano di fare irruzione nella casa hanno notato Hadas Dagan ferita dal tetto della casa, ancora viva, e l’hanno evacuata lontano dalla casa”, afferma la sintesi.

Tuttavia nella narrazione dell’esercito l’allontanamento di Dagan dal campo di battaglia non avrebbe segnato la fine delle ostilità, ma piuttosto l’inizio di scontri più violenti.

Nel frattempo un combattente (israeliano) che parla arabo ha cercato di stabilire un dialogo con i terroristi, ma questi hanno sparato contro di loro in continuazione e non si sono arresi,” aggiunge la sintesi. “Nei primi minuti due combattenti di YAMAM sono stati gravemente feriti nella battaglia per fare irruzione nella casa.”

Poi, secondo il riassunto, alle 20,30 un soldato israeliano si è avvicinato alla casa dei Cohen ed ha preso contatto all’interno della casa con Ayala Hatsroni, che in quel momento sarebbe stata ancora viva. “Gli ha detto che avevano assassinato i suoi figli,” afferma la sintesi. Allora il soldato ha sentito “una lunga raffica di spari, e poi silenzio. Da quel momento i combattenti YAMAM non hanno più sentito grida o voci di ostaggi.”

La fonte dell’esercito per questa affermazione sospettosamente conveniente è il capo ispettore Arnon Zmora, ma la sua dichiarazione non può essere verificata in modo indipendente in quanto è stato ucciso in combattimento nella Striscia di Gaza all’inizio di giugno, un mese prima della pubblicazione del rapporto.

E ovviamente anche l’altra parte di questa presunta conversazione, Ayala Hatsroni, è morta. Allo stesso modo non si può ottenere una nuova testimonianza dal tenente colonello Salman Habaka, che ha sparato le ultime granate del carrarmato contro la casa dei Cohen, in quanto anche lui è stato ucciso nella Striscia di Gaza a novembre, e il comandante che l’ha chiamato perché partecipasse a quella battaglia è anche lui morto in combattimento una settimana dopo.

Giorni dopo la battaglia di Be’eri, quando gli è stato chiesto di deliziare gli israeliani con il racconto di “aver salvato una famiglia” il 7 ottobre, Habaka ha esitato, affermando solo che “abbiamo distrutto i terroristi prima di far entrare la fanteria per portar fuori la gente.”

Le prove suggeriscono in modo schiacciante che Habaka ha accuratamente descritto il combattimento alla casa di Pessi Cohen: prima le forze israeliane hanno sparato granate del carrarmato che hanno ucciso tutti quelli che si trovavano dentro e attorno alla casa, e solo dopo hanno evacuato l’unico civile sopravvissuto che era ancora lì, Hadas Dagan.

Nessuna prova di esecuzioni

La sintesi del rapporto completo dell’esercito israeliano fatta da Doron Kadosh nota che i corpi di tutti e sette i civili tenuti nella casa di Pessi Cohen – i tre Hatsroni, altre tre nonne abitanti a Be’eri e un palestinese di Gerusalemme est occupata che i combattenti della Qassam [la milizia armata di Hamas, ndt.] hanno obbligato a fungere da traduttore – erano carbonizzati. Le identità degli Hatsroni e del palestinese, Suhaib al-Razim, hanno potuto essere confermate solo grazie a test del DNA.

Eppure il rapporto dell’esercito sostiene che questi sette sono morti non a causa delle granate del carrarmato che potrebbero facilmente averli dilaniati, o del fuoco che ha totalmente bruciato i loro corpi, ma da colpi di arma da fuoco, da pallottole che sarebbero state sparate dai loro rapitori palestinesi prima che bruciassero.

Tuttavia l’esercito ammette che non ci sono prove di questa asserzione. “L’inchiesta afferma che la maggior parte degli ostaggi nella casa dei Cohen è stata uccisa dai terroristi e non colpita dalle granate (del carrarmato), ma ciò non può essere confermato, afferma l’IDF, perché i corpi sono stati bruciati,” ha informato Haaretz.

Oltretutto l’affermazione dell’esercito secondo cui i sette civili presi in ostaggio nella casa sono stati giustiziati dai loro rapitori palestinesi non può essere verificata “perché sia le forze di sicurezza che l’unità ZAKA che si è occupata dei cadaveri non hanno conservato in modo corretto le prove forensi dei corpi per consentire di verificare se sono stati uccisi da armi da fuoco o accoltellati,” ha notato il Jerusalem Post.

ZAKA, un’organizzazione ebraica ultra-ortodossa che raccoglie corpi e li prepara per l’inumazione rituale, è stata fondamentale nel diffondere numerose falsità riguardo agli eventi del 7 ottobre, inventando di sana pianta crimini di barbara atrocità mai avvenuti, ma che continuano ad essere utilizzati come pretesto e giustificazione del genocidio israeliano in corso a Gaza.

Familiari ancora all’oscuro

Mentre il rapporto dell’esercito sostiene di avere “presentato alle famiglie in lutto i propri accertamenti su come è morto ogni cittadino tenuto nell’edificio,” un rappresentante di una di queste famiglie ha negato alla rete nazionale israeliana di aver ricevuto questi esami.

Non abbiamo sentito niente di nuovo, non comprendiamo ancora come la maggioranza delle persone sia stata uccisa nella casa di Pessi, non hanno fatto le autopsie,” ha detto un parente a Kan Channel 11.

Il disappunto è stato condiviso da altri abitanti di Be’eri, ha detto la portavoce del kibbutz Miri Gat Mesika. “Sappiamo da quale angolo e dove il carrarmato è entrato, che tipo di granata ha usato, com’è fatta, ecc.,” ha detto alla testata israeliana Ynet. “Fino ad oggi non abbiamo ricevuto una risposta su come i nostri amici nella casa di Pessi siano stati uccisi quel giorno. Quello che era più importante e rilevante per noi è stato omesso nei dettagli e nelle conclusioni del rapporto.”

Comunque le cause della loro morte possono di fatto essere facilmente accertate incrociando il rapporto dell’esercito con la testimonianza resa dall’unica sopravvissuta all’ultimo bombardamento del tank, Hadas Dagan.

Se contiamo solo Liel Hatsroni, Adi Dagan e Tal Katz, che sono tutti morti sicuramente in seguito all’ultimo bombardamento da parte del carrarmato, raggiungiamo un bilancio minimo di tre civili uccisi dal fuoco del carrarmato. Se includiamo tutti e sette i civili tenuti nella casa che sono stati trovati carbonizzati (compresi i tre Hatsroni, Suhaib al-Razim, Zehava Hacker, Hannah Siton and Hava Ben-Ami) raggiungiamo il numero di nove civili probabilmente uccisi nella casa di Pessi Cohen dalle granate del carrarmato.

Un altro civile che era sdraiato sul prato, Tal Siton, è morto a causa del bombardamento da parte del carrarmato o nel fuoco incrociato che lo ha preceduto. Due civili, Ze’ev Hacker e Pessi Cohen, secondo la testimonianza di Hadas Dagan sono sicuramente morti durante le ore della sparatoria. Solo un civile, il fratellastro di Pessi Yitzhak Siton, sicuramente è morto per mano dei combattenti palestinesi, che gli hanno sparato a morte attraverso una porta all’inizio dell’occupazione del kibbutz.

Secondo il riassunto “la quarta e ultima granata è stata sparata” alle 18,57. E aggiunge: “Dopo il lancio di quattro granate e quando le forze hanno visto che i terroristi non si arrendevano, si è deciso di effettuare un’occupazione pianificata della casa ed è stata pianificata l’operazione per la presa della casa.”

Tuttavia questa “operazione di occupazione” non sarebbe iniziata fino alle 19,57, un’ora più tardi: “Comando ‘VAI’, l’operazione di conquista della casa è iniziata.”

Se Hiram ha davvero ordinato il bombardamento di una casa piena di ostaggi da parte del carrarmato “per mettere pressione sui terroristi”, come sostiene il capo di stato maggiore Herzi Halevi nella sintesi ufficiale, allora perché le forze sotto il comando di Hiram non hanno approfittato di quella pressione e non sono corse nella casa per eliminare i combattenti della resistenza che vi si trovavano, mentre erano colti di sorpresa dal bombardamento del carrarmato?

Perché le forze israeliane hanno aspettato, in base al loro stesso racconto, due ore dopo l’ordine di Hiram e un’ora dopo l’ultimo lancio di granate del carrarmato, quando il cielo era già buio?

L’ovvia risposta è che le forze israeliane non avevano più fretta di irrompere nella casa perché le decine di combattenti palestinesi e i sette civili che erano ancora all’interno erano già morti, inceneriti dal bombardamento da parte del carrarmato. A quanto pare la combustione della granata ha creato un tale inferno che è passata un’ora intera prima che i soldati israeliani mettessero piede all’interno. Ogni prova disponibile suggerisce che, ordinando il fuoco del carrarmato sulla casa di Pessi Cohen, probabilmente Hiram ha posto fine alle vite di almeno nove civili, sette dei quali bruciati vivi.

Un’accusa totalmente nuova

Così come sostiene senza prove che i civili all’interno della casa sono stati uccisi dai loro rapitori, il rapporto dell’esercito israeliano introduce un inedito pretesto per il bombardamento ordinato da Hiram: sarebbe stato giustificato dall’incombente minaccia da parte dei combattenti palestinesi di uccidere se stessi e i loro prigionieri.

Le affermazioni che supportano questo pretesto sono incongruenti sia all’interno del rapporto che alla luce delle precedenti asserzioni di quanti erano presenti sul posto.

Il resoconto ufficiale afferma: “Dopo che si è sentito sparare da dentro la casa e che i terroristi hanno comunicato l’intenzione di commettere suicidio e uccidere gli ostaggi, le forze di sicurezza hanno deciso di fare irruzione nella casa per cercare di salvare gli ostaggi e hanno condotto operazioni di combattimento in condizioni difficili.”

Pare sia la prima volta che Israele ha sostenuto che una esplicita minaccia rappresentata dai combattenti palestinesi abbia spinto Hiram a ordinare al carrarmato di fare fuoco.

Il resoconto ufficiale non specifica come questa minaccia sia stata comunicata, ma lascia l’impressione che sia avvenuto nel contesto dei negoziati con i rapitori.

La sintesi di Doron Kadosh, della radio dell’esercito israeliano, fornisce una versione in parte diversa. Sostiene che un gruppo dello Shin Bet avrebbe cercato di intercettare le comunicazioni tra i combattenti palestinesi nella casa di Pessi Cohen e i loro superiori nella Striscia di Gaza e che, dopo che le forze israeliane hanno fatto esplodere due granate del carrarmato fuori dalla casa, avrebbero sentito che i palestinesi annunciavano la loro intenzione di suicidarsi. Alle 16,32, nota il rapporto, “i terroristi hanno informato i loro comandanti che erano circondati e intendevano uccidersi.”

Al contrario la sintesi ufficiale non cita comunicazioni intercettate. Anche così, a differenza del resoconto ufficiale, la versione più dettagliata degli eventi fornita dalla sintesi di Kadosh non sostiene che i combattenti palestinesi abbiano affermato esplicitamente che pensavano di uccidere i prigionieri israeliani, ma solo che si volessero suicidare.

Cosa i combattenti palestinesi abbiano detto o pensato – sempre che qualcosa del racconto israeliano sia vero – senza audio o una trascrizione rimane una questione di supposizioni. Ma, data la nota dottrina della resistenza palestinese, più probabilmente i combattenti avrebbero detto di aver intenzione di morire come martiri – intendendo che, in una situazione in cui non avevano altre vie d’uscita, avrebbero combattuto fino alla morte certa piuttosto che arrendersi.

Non sarebbe stato lo stesso che uccidere intenzionalmente se stessi e gli ostaggi.

È anche da notare che le affermazioni dell’esercito israeliano secondo cui il suo attacco contro la casa era motivato dalla minaccia di uccidere i prigionieri guarda caso compaiono per la prima volta nel contesto di un rapporto che giustifica il bombardamento con i carrarmati e assolve l’ufficiale di alto grado che lo ha ordinato. Data l’incoerenza e la tardiva comparsa di questa affermazione, esse dovrebbero anche essere valutate alla luce di precedenti racconti forniti da quanti erano lì.

La sopravvissuta alla battaglia Yasmin Porat è stata coerente nei suoi resoconti: con parole sue, durante tutto il dramma i palestinesi hanno trattato i prigionieri “umanamente” e hanno garantito loro che non avevano intenzione di ucciderli.

Secondo Porat i combattenti non hanno maltrattato o fatto del male gratuitamente ai loro ostaggi. Il loro scopo dichiarato era portare gli israeliani a Gaza e rilasciarli rapidamente in cambio di palestinesi detenuti da Israele.

Quanto a Hiram, sembra non aver mai sostenuto in precedenza che i palestinesi abbiano comunicato l’intenzione di uccidere a breve se stessi e gli ostaggi, neppure nella sua intervista auto-giustificatoria e piena di invenzioni con Ilana Dayan, la conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda di Channel 12 del 26 ottobre 2023.

Hiram ha raccontato a Dayan che un gruppo di negoziatori portato sul posto “ha cercato di comunicare con loro e ha chiamato i rapitori palestinesi.

Hanno risposto?” chiede Dayan.

Ci hanno risposto con un razzo di RPG [lanciarazzi di fabbricazione sovietica, ndt.]” ha affermato Hiran. A quel punto, racconta Hiram a Dayan, ha ordinato alle forze speciali “di fare irruzione all’interno e cercare di salvare i cittadini intrappolati in quegli edifici.”

In quella “battaglia veramente eroica” – come l’ha definita l’adulatrice Dayan – Hiram ha sostenuto che sono stati salvati quattro ostaggi. Tuttavia in nessun momento le forze israeliane hanno salvato alcuna persona viva dalla casa e, come notato, non ci sono prove credibili che siano mai entrati nella casa se non molto dopo il bombardamento del carrarmato, quando tutti quelli che si trovavano all’interno erano già morti.

Neppure nel contesto di questo racconto largamente falso, fornito meno di tre settimane dopo i fatti, Hiram ha pensato di sostenere che la sua azione sia stata provocata da una minaccia di uccidere gli ostaggi e se stessi da parte dei rapitori.

Hiram ha parlato anche al New York Times per un articolo del 22 dicembre, che è stato uno dei pochissimi sui media occidentali ad occuparsi dell’incidente.

Secondo il Times, quando il 7 ottobre è scesa la notte nel kibbutz Be’eri il comandante della forza paramilitare specializzata, o gruppo SWAT, che si trovava sul posto e Hiram “hanno iniziato a discutere”. “Il comandante dello SWAT pensava che, in seguito alla comparsa di Porat e di uno dei combattenti palestinesi, altri rapitori si sarebbero arresi”. Ma Hiram “voleva che la situazione si risolvesse al tramonto,” ha riportato il Times.

Secondo il generale e altri testimoni pochi minuti dopo i miliziani hanno lanciato una granata anticarro a razzo,” secondo il Times.

I negoziati sono finiti,” ha ricordato di aver detto al comandante del carrarmato il generale Hiram. “Fate irruzione, anche a costo di vittime civili,” ha aggiunto il giornale.

È allora che un carrarmato ha sparato quello che il Times descrive come “due granate leggere” contro la casa. Come citato sul Times, Hiram non ha menzionato il fatto che i combattenti palestinesi avrebbero detto di aver intenzione di uccidere se stessi e gli ostaggi, da cui la necessità di un’azione immediata per salvarli.

Un altro veterano dell’incidente, un certo colonnello Ashi, ha rilasciato il proprio resoconto in un’intervista con la rete ufficiale israeliana Kan, mandata in onda il 1 marzo.

Secondo Ashi tutti i civili uccisi nella casa di Pessi Cohen erano già morti quando Hiram ha dato l’ordine di sparare le granate.

Non credo che ci fossero ancora persone vive lì,” ha affermato Ashi. “Per quanto ne so le bombe del carrarmato hanno colpito in alto, sopra le travi della casa, quindi non penso affatto che qualcuno ne sia rimasto ferito.”

Ashi ha aggiunto: “In seguito sono entrato nella casa e di nuovo non penso che qualcuno sia stato ferito dalla granata sparata all’interno.”

Il racconto di Ashi è totalmente smentito dalle sopravvissute Hadas Dagan e Yasmin Porat, e contraddice il suo stesso comandante Barak Hiram, che ha sostenuto che il bombardamento era motivato dal desiderio di liberare gli ostaggi vivi.

Nonostante le palesi contraddizioni con le mutevoli versioni degli eventi date da Hiram, neppure Ashi sostiene che un’imminente minaccia da parte dei rapitori palestinesi abbia provocato il bombardamento del carrarmato.

Pentola a pressione”?

Benché il rapporto non usi esplicitamente questo termine, il resoconto ufficiale dell’esercito israeliano sembra dipingere retrospettivamente l’incidente alla casa di Pessi Cohen come un’ordinaria applicazione della cosiddetta procedura militare della “pentola a pressione”, una forma di esecuzione extragiudiziaria abitualmente utilizzata contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Tuttavia c’è scritto che il bombardamento del carrarmato è stato effettuato “in modo professionale, una decisione congiunta presa congiuntamente dai comandanti di tutte le organizzazioni di sicurezza dopo un’attenta riflessione e una valutazione della situazione” con l’“intento di mettere pressione sui terroristi e salvare i civili presi in ostaggio all’interno.”

Nella procedura della pentola a pressione l’esercito circonda un edificio e vi spara contro proiettili progressivamente più potenti, iniziando con quelli piccoli, passando poi a mitragliatrici dei carrarmati, alle granate dei carrarmati o ai missili anticarro, nel tentativo di obbligare ad arrendersi una persona ricercata che si trova all’interno. Se si rifiuta di uscire alla fine le forze israeliane demoliscono la casa su di lei.

In tali casi la demolizione finale della casa intende uccidere gli occupanti. Persino in base agli standard dell’esercito israeliano questa forma di attacco ovviamente non sarebbe servita a salvare gli ostaggi.

Ma concepire l’incidente come l’applicazione di una procedura ben definita potrebbe, nella mente degli autori del rapporto, giustificare le uccisioni in un modo più presentabile per l’opinione pubblica israeliana.

Forse corrisponderebbe più adeguatamente alla direttiva Hannibal, la regola d’ingaggio dell’esercito israeliano, ampiamente applicata il 7 ottobre, che consente l’uccisione di prigionieri insieme ai loro rapitori per impedire che israeliani vengano presi in ostaggio come moneta di scambio.

Imputando ai combattenti della resistenza palestinese le orrende morti che ha provocato, l’esercito assolve il generale di brigata Barak Hiram e lo applaude per aver agito “in coordinamento e con professionalità di fronte a una situazione difficile e complessa.”

La conduzione della battaglia da parte di Hiram è stata guidata dall’obiettivo “di salvare quanti più cittadini possibile,” afferma il capo di stato maggiore Halevi nella sintesi ufficiale del rapporto in ebraico. L’11 luglio, presentando il rapporto ai media israeliani, il portavoce dell’esercito, contrammiraglio Daniel Hagari, ha lodato Hiram per il suo comportamento alla casa di Pessi Cohen il 7 ottobre: “Barak ha agito nel modo migliore possibile. Ha creato l’ordine dove c’era il caos,” ha affermato Hagari.

I complimenti dell’esercito per la conduzione delle operazioni da parte di Hiram quel giorno sarebbero stati eliminati dalla versione presentata, ore prima che il rapporto venisse reso pubblico, agli abitanti di Be’eri e ai loro parenti.

Se l’esercito avesse osato condividere con loro il suo grande elogio di Hiram “ogni uovo rimasto dopo la colazione gli sarebbe stato lanciato addosso,” ha detto a Ynet uno dei presenti.

Significative omissioni

Non sorprende che il rapporto non citi il modo in cui il colonello Golan Vach, comandante dell’unità di soccorso del fronte interno dell’esercito israeliano, ha raccolto i corpi dei morti dopo la battaglia e ha mentito su di essi alla stampa: ha detto a decine di giornalisti di aver raccolto personalmente nel soggiorno di Pessi Cohen i corpi carbonizzati di 15 israeliani, tra cui “otto neonati” che non sono mai esistiti.

Non fa menzione neppure del fatto che Hiram si è impossessato della storia inventata da Vach riguardo agli otto neonati giustiziati dai combattenti palestinesi e ha ripetuto questa sanguinosa calunnia senza fondamento nella sua intervista di ottobre a Ilana Dayan dell’israeliano Channel 12.

In quell’intervista Hiram ha mentito anche quando ha sostenuto che i combattenti palestinesi hanno legato gli otto inesistenti bambini insieme a due adulti e poi li hanno giustiziati tutti e dieci.

Come Dayan, la maggioranza dei media israeliani sta ripetendo acriticamente le menzogne dell’esercito riguardo alla battaglia presso la casa di Pessi Cohen e ignorando la notevole mole di prove che le smentiscono totalmente.

Akiva Novick, inviato dell’emittente pubblica israeliana Kan, ha rimproverato le critiche a Hiram su X, noto in precedenza come Twitter,: “Ora dovrebbero dimostrare umiltà e chiedergli scusa,” ha postato Novick dopo la pubblicazione del rapporto.

Un altro giornalista, Nati Kalish della stazione radiofonica religiosa Kol Chai, ha chiesto un’azione legale contro i detrattori di Hiram: “Chiunque dica anche solo la minima cosa sull’eroe israeliano Barak Hiram deve essere processato per calunnia,” ha twittato Kalish.

Hiram è stato osannato da un suo collega ufficiale che ha anche lui inventato storie di atrocità il 7 ottobre, il maggiore Davidi Ben Zion. “Barak Hiram, tu sei un eroe israeliano! Il popolo ebraico ti saluta,” ha twittato Ben Zion.

Ben Zion, che ha falsamente affermato di aver visto 40 neonati israeliani giustiziati da Hamas, ha aggiunto: “Grazie per quello che hai fatto a Be’eri e scusa per il coro di calunniatori che si è affrettato a giudicarti ingiustamente.”

Il portale d’informazione israeliano Walla ha dato notizia che, pronto ad essere promosso in anticipo a comandante della divisione Gaza o a un’altra posizione importante, il 15 luglio Hiram ha iniziato ad addestrare il successore che lo sostituirà come comandante della Brigata 99.

Benché abbia nascosto come il fuoco del carrarmato ha ucciso almeno tre civili e probabilmente tre volte tanto, se non di più, il rapporto critica anche duramente la condotta di soldati e ufficiali israeliani che il 7 ottobre hanno combattuto a Be’eri.

L’indagine ha rilevato che centinaia di soldati di varie unità si trovavano nei pressi dell’ingresso del kibbutz, ma non vi sono entrati; che le truppe hanno portato via soldati feriti anche mentre civili venivano uccisi nelle proprie case e rapiti verso la Striscia di Gaza; che non hanno aiutato i civili che cercavano di salvarsi; che a volte hanno lasciato il kibbutz senza aver informato i propri comandanti. Ha anche scoperto che i soldati hanno combattuto in modo non professionale in una zona piena di civili,” ha informato Haaretz.

L’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] ha fallito nella sua missione di proteggere gli abitanti del kibbutz Be’eri,” ha concluso il portavoce militare Hagari. È penoso e difficile per me dirlo.”

Se questo è il disprezzo che Israele dimostra per le vite dei suoi stessi civili e per la verità riguardo a come sono morti, allora il suo spregio per le vite dei palestinesi, le vittime del genocidio da parte di Israele, non può che essere superiore come ordine di grandezza.

David Sheen è l’autore di Kahanism and American Politics: The Democratic Party’s Decades-Long Courtship of Racist Fanatics [Il Kahanismo e la politica americana: il fidanzamento durato decenni tra il partito Democratico e i razzisti fanatici] e Ali Abunimah è direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

(tradotto dall’inglese da Amedeo Rossi)