La morte di una neonata beduina

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Caccia mortale: famiglia palestinese piange una bambina uccisa mentre scappava da un’incursione dell’esercito israeliano

Come a molti beduini che vivono nella valle del Giordano, i soldati israeliani hanno dato la caccia per anni ai Kaabnahs. Questa volta l’inseguimento è finito in tragedia

Di Shatha Hammad

a Gerico, Cisgiordania occupata

2 settembre 2019 – Middle East Eye

 

Nelle prime ore del mattino del 5 agosto la ventiquattrenne Sara Kaabnah si è svegliata per allattare al seno sua figlia di tre mesi, Hanaa. Ma non si trattava solo di occuparsi di lei.

Sara e tutta la sua famiglia di 16 membri hanno dovuto prendere in gran fretta le proprie cose, compresa la tenda collettiva in cui vivono, e poi mettersi in cammino.

La famiglia beduina, che vive nel villaggio di al-Hadidiya, nel nord della valle del Giordano di Gerico, aveva progettato di spostarsi temporaneamente verso una comunità vicina nota come Jiftlik,  a 40 minuti di distanza.

Trasferendosi, la famiglia sperava di prevenire l’arrivo dell’esercito israeliano per confiscare il loro unico serbatoio d’acqua. I soldati erano andati da loro il giorno prima, avevano fatto fotografie della cisterna per l’acqua e minacciato che sarebbero tornati a sequestrarlo.

Come per altre famiglie beduine che dipendono dall’allevamento come principale fonte di sostentamento, l’acqua per le pecore è indispensabile. Trovare il modo per sfuggire all’esercito israeliano è parte della sopravvivenza della famiglia.

Sara ha preso la piccola Hanaa  tra le braccia ed è partita con la sua famiglia su un trattore, il loro unico mezzo di trasporto. Una parte del gruppo ha guidato le pecore a piedi e un altro ha aspettato fino a quando il trattore fosse tornato a prenderlo.

Ma le cose non sono andate come previsto. Sara ed Hanaa non sono mai arrivate a Jiftlik.

Dato che la famiglia viaggiava nel buio quasi assoluto, due veicoli israeliani hanno urtato il trattore nei pressi di un posto di controllo militare. Il trattore si è rovesciato, Hanaa è caduta dalle braccia di sua madre ed è morta. Sara è rimasta sotto il pesante veicolo.

L’equipe dell’ambulanza israeliana ha subito informato la famiglia che Hanaa era rimasta uccisa nell’incidente. Sua madre è rimasta in coma, inconsapevole che non rivedrà né avrà mai più tra le braccia la sua unica figlia.

“Siamo scappati per paura che ci venisse confiscato il nostro serbatoio, per paura della sete,” ha detto a Middle East Eye  Odeh Kaabnah. “Nostra figlia è morta a causa del fatto che l’esercito israeliano ci insegue in continuazione, ed ora potrei perdere anche mia moglie.”

Con voce tremante e lacrime agli occhi, Odeh spiega che la coppia aveva chiamato la neonata Hanaa, che significa ‘felicità’ in arabo, dal nome di sua madre. È un’ironia della sorte, dice il ventiquatrenne, che Hanaa non abbia avuto l’opportunità di provare e comprendere il sentimento espresso dal suo nome.

Quando Hanaa aveva 10 giorni l’esercito israeliano ha demolito la casa della famiglia. Prima che arrivasse ai due mesi, l’esercito ha di nuovo demolito la loro casa ed ha espulso la famiglia. E quando aveva tre mesi è morta mentre la sua famiglia cercava di scappare dall’ultima operazione dell’esercito contro la loro casa.

“L’esercito israeliano ha demolito le nostre cinque tende e baracche, in cui viviamo o che utilizziamo per ricoverare le pecore,” dice Odeh. L’hanno fatto due volte in un mese, spiega, la prima il 30 giugno e poi il 20 luglio.

 

Beduini nella valle del Giordano

I Kaabnahs riempiono quotidianamente la loro cisterna con l’acqua di una sorgente di una zona vicina. Poi devono riportarla ad al-Hadidiya per uso personale e per far bere le pecore. Questa attività fondamentale richiede almeno un’ora al giorno.

“Se loro (l’esercito israeliano) ci confiscano il serbatoio per l’acqua perderemo le nostre pecore e non potremo più vivere qui. La nostra cisterna per l’acqua e il trattore sono le uniche due cose di cui siamo proprietari e che ci consentono di vivere una vita molto semplice,” dice Odeh.

Al-Hadidiya e molte altre comunità beduine tradizionalmente nomadi nella valle del Giordano sono state bersaglio di politiche israeliane intese a creare condizioni coercitive per spingere le comunità ad andarsene. Queste politiche si sono presentate sotto forma di demolizioni quasi quotidiane, de-sviluppo intenzionale e ostacoli ad ogni tentativo di costruire infrastrutture come servizi idrici o elettrici.

L’espulsione forzata, diretta o indiretta, di una popolazione civile occupata è considerata dalle leggi internazionali un crimine di guerra.

La maggioranza delle comunità beduine della Cisgiordania si trova a vivere in quella che è stata denominata Area C, che copre il 60% della Cisgiordania occupata, come parte degli accordi di Oslo del 1993 firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Da quando gli accordi sono stati firmati l’area è stata sotto totale controllo dell’amministrazione civile e del sistema di sicurezza israeliani. È stata delimitata così per includere le colonie israeliane che ospitano più di 600.000 coloni in Cisgiordania, che per il diritto internazionale sono tutte illegali.

Mentre le colonie israeliane continuano a prosperare, l’esercito israeliano impedisce alla comunità palestinesi dell’Area C di espandersi o persino di rimanere sulla terra in cui vivono attualmente. L’esercito richiede permessi di costruzione per qualunque cosa, dai recinti per gli animali alle case, e nel contempo si rifiuta di concederli. Poi procede a demolizioni punitive delle strutture per la sopravvivenza delle comunità.

 

Politiche dell’acqua

Muayyad Bisharat, il coordinatore della zona nord della valle del Giordano per l’Unione delle Commissioni per il Lavoro Agricolo (UAWC), un’associazione no profit che aiuta contadini e pastori palestinesi, afferma che l’esperienza della famiglia Kaabnah è comune nella valle del Giordano.

In base agli accordi di Oslo circa l’87% delle risorse idriche in Cisgiordania ricade sotto il controllo israeliano. Con le politiche discriminatorie israeliane i palestinesi hanno gravissimi problemi di accesso all’acqua.

Bisharat spiega che la maggioranza dei pozzi sotterranei è stata scavata tra il 1948 e il 1967 durante il governo giordano in Cisgiordania e raggiungono solo la profondità di circa 70 metri. Con il passar del tempo in alcuni dei pozzi l’acqua è diventata salata ed altri si sono asciugati a causa delle politiche israeliane che hanno impedito ai palestinesi di risistemarli ed ampliarli.

Nel contempo le autorità israeliane consentono ai coloni di scavare i loro pozzi a una profondità di 500 metri, pompando grandi quantità di acqua per le colonie agricole e le basi militari.

“Le tubature idriche passano sotto comunità beduine e villaggi palestinesi, ma ai palestinesi è vietato utilizzare quest’acqua. La grande maggioranza è obbligata a comprarla e a trasportarla da lunga distanza, al costo di circa 50 dollari per un serbatoio d’acqua,” dice Bisharat.

In varie occasioni la dirigenza israeliana ha manifestato l’intenzione di conservare il totale controllo della valle del Giordano, che contiene la maggior parte delle ricche risorse naturali della Cisgiordania ed è ritenuta da Israele indispensabile.

“L’esercito ci dà la caccia, le guardie dei coloni ci danno la caccia, l’amministrazione civile israeliana ci dà la caccia e tutti i giorni fa irruzione nelle nostre case. Ci aggrediscono davanti alle nostre famiglie senza ragione,” dice Odeh, aggiungendo di credere che gli attacchi non siano solo fisici ma anche psicologici, intesi a instillare paura nelle famiglie.

In base alle tradizioni beduine Odeh e Sara si sono sposati molto giovani nel 2016. Lui immaginava che la sua vita sarebbe stata molto più stabile, dice.

“Ho costruito una stanza in cemento con un tetto di zinco perché ci andassimo a vivere. Pochi mesi dopo il nostro matrimonio l’esercito israeliano ha demolito la stanza,” dice.

“Da quando ci siamo sposati ed abbiamo formato una famiglia abbiamo sofferto a causa dell’ esercito israeliano e delle sue persecuzioni. La mia vita si è trasformata in paura ed ansia, e in spostamenti da un posto all’altro.”

 

Continue sofferenze

Odeh è riuscito ad andare a trovare sua moglie Sara in ospedale solo una volta, e solo per pochi minuti. Sta aspettando un altro permesso israeliano, di cui ha bisogno per entrare a Gerusalemme, dove lei è in cura nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Hadassah.

“Dall’incidente Sara è in coma. È stata colpita alla testa, ha fratture al cranio e al volto ed emorragie interne nei polmoni,” dice Odeh.

Da una parte teme di perderla. Dall’altra ha paura del momento in cui dovrà dirle della morte della loro figlioletta. Come farà a dirglielo nel momento in cui lei chiederà di Hanaa? Cosa le dirà? si chiede.

Esita prima di riuscire a descrivere com’era ridotta Sara quando è andato a trovarla.

“Era come un cadavere. Niente si muoveva, tranne il suo petto quando respirava. Ho molta paura che muoia.

“Tutto quello che spero in questo momento è che Sara viva, che torni con noi. Abbiamo sofferto troppo, vogliamo solo vivere.”

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)