Yousef M. Aljamal
24 settembre 2019 – Mondoweiss
Karam Marwan, di 22 anni, voleva aprire un negozio di videogiochi. Nel 2016 ha ottenuto un prestito di 5.000 dollari da un suo conoscente per aprire l’attività. Marwan si era appena laureato al college in contabilità, ma, date le scarse prospettive di lavoro nella Striscia di Gaza dove vive, ha fatto la scommessa di aprire una piccola attività in proprio. In meno di un anno il negozio di video avrebbe chiuso e Marwan sarebbe andato in prigione con una condanna a tre mesi per non aver potuto restituire il denaro preso a prestito.
Secondo la legge sull’esecuzione delle pene n. 23 approvata nel 2015, a Gaza l’insolvenza dei debiti è un illecito civile punibile con un massimo di 91 giorni di condanna. La normativa consente ai giudici di incarcerare un palestinese che abbia un debito, a prescindere che quel debito sia nei confronti di un tradizionale istituto di credito o di un privato. Nella maggior parte dei casi un giudice media una conciliazione tra debitori e creditori. Ogni anno i programmi di condono di finanziamenti e prestiti gestiti da Hamas, come anche da enti indipendenti no-profit, durante il mese sacro islamico del Ramadan rimborsano o cancellano alcuni debiti, ma molti palestinesi vengono abbandonati a se stessi.
Secondo l’European Asylum Support Office [Ufficio Europeo Assistenza Asilo], a Gaza sono stati incarcerati per debiti solo maschi.
Un portavoce della polizia di Gaza, Ayman al-Batniji, ha detto al canale britannico New Arab che nel 2018 sono stati incarcerati per debiti o prestiti scaduti 93.314 palestinesi, anche se non ha specificato la durata della detenzione. In base ai dati forniti dalla magistratura di Gaza ed analizzati da New Arab ciò segnala un incremento rispetto ai circa 80.000 detenuti a Gaza sia per frode che per debiti nel 2015.
In un rapporto pubblicato lo scorso anno dall’AFP [Agenzia di stampa francese], la polizia di Hamas ha fornito cifre che presentano un andamento contraddittorio, affermando che nel 2017 erano state incarcerate per debiti circa 45.000 persone.
Nel decennio scorso, con una maggior fiducia negli istituti di credito, sempre più palestinesi hanno contratto debiti per affrontare necessità fondamentali della vita o per comprare a rate beni come telefoni cellulari. In uno studio del 2018 Islamic Relief’ [agenzia umanitaria internazionale, ndtr.] ha scoperto che “il 92% delle famiglie si è indebitato per assicurarsi le necessità basilari di cibo o altri beni di uso quotidiano.”
Marwan, il proprietario del negozio di videogiochi, ha contratto un prestito che avrebbe dovuto essere restituito in quote di 200 dollari al mese. “All’inizio tutto andava bene, ma con la prospettiva di interruzioni di elettricità a Gaza, ho dovuto procurarmi l’elettricità privatamente.” L’incremento dei costi per i servizi, unito ad una minor domanda di acquisto di giochi alimentati con l’energia elettrica, ha ridotto le sue entrate.
“Sette mesi dopo l’apertura del negozio i debiti hanno iniziato ad accumularsi”, ha detto Marwan.
Preoccupato, ha chiesto denaro ad amici e conoscenti per ripagare il suo debito. Il creditore gli ha concesso due mesi e poi avrebbe sporto denuncia, ma in quelle otto settimane Marwan ha cercato di sfuggirgli.
“Ho iniziato a spegnere il cellulare e sono andato via da casa. Ho smesso di aprire il negozio per nascondermi all’uomo che pretendeva i suoi soldi”, ha detto.
“Una mattina si è presentato a casa mia un poliziotto che mi ha consegnato una citazione, il che mi ha sconvolto”, ha raccontato Marwan. Per l’ angoscia è finito in ospedale. “Quando sono uscito dall’ospedale sono stato arrestato”, ha detto.
“Il tribunale mi ha condannato a tre mesi di prigione all’anno fino a che non avrò pagato i restanti 4.000 dollari”, ha detto, aggiungendo: “La mia vita in prigione era dura e il marito di mia sorella ha pagato il mio debito.”
Oggi il negozio di Marwan è chiuso e lui è senza lavoro, cosa non rara a Gaza. La Banca Mondiale ha rilevato che il tasso di disoccupazione a Gaza è salito al 52% nel 2018. Nello stesso periodo l’economia, in cui dal 70 all’80% dei redditi proviene dagli aiuti internazionali e dal sostegno dell’Autorità Nazionale Palestinese della Cisgiordania, è scesa dell’8%.
Le condizioni economiche sono peggiorate negli ultimi dieci anni sotto il blocco di Israele ed Egitto iniziato a Gaza nel 2007, dopo che Hamas ha preso il potere. Secondo la Banca Mondiale, mentre nei primi anni di assedio il PIL di Gaza ha continuato a crescere, i danni alle infrastrutture causati da tre guerre in dieci anni e i recentissimi drastici tagli dei finanziamenti dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno portato l’economia di Gaza ad una situazione di “caduta libera”. I palestinesi che adesso non possono pagare l’affitto finiscono in prigione.
Raed al-Hawajri, di 42 anni, vive in una casa di una stanza con la moglie e quattro figli nel campo profughi di al-Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Non ha un lavoro fisso o un reddito sicuro, per cui ha difficoltà a pagare l’affitto. Fino a due anni fa ha svolto lavori occasionali come guardia di sicurezza, piastrellista, idraulico e nell’edilizia.
L’affitto gli costa 125 dollari al mese, che lo scorso aprile non ha pagato.
“Ho smesso di lavorare a causa della cattiva situazione economica nella Striscia di Gaza. Sono stato sfrattato da casa dal proprietario, per cui io e la mia famiglia siamo diventati dei senzatetto, che chiedono aiuto a dio e a chi può aiutarci”, ha detto.
Allora il padrone di casa ha tentato di querelare Raed per circa 400 dollari di morosità. Ha sporto denuncia, ma quando Raed non è stato in grado di saldare il conto è stato arrestato. Dopo tre giorni è intervenuto un amico benestante che ha pagato sia il suo debito pregresso che le rate future per l’anno dopo.
Anche i palestinesi che hanno contratto debiti per sostenere spese mediche sono finiti in prigione. A Gaza le malattie croniche affliggono il 42% delle famiglie.
Mofeed Badwan, un uomo di mezza età con una solida carriera come imbianchino, nel 2012 ha contratto un tumore alla gola. È stato curato in un ospedale israeliano sei volte in sei anni per un totale di quattro mesi. Ha speso i risparmi di una vita, 20.000 dollari, per sostenere le spese.
“Sono rimasto senza soldi e ho dovuto pagare tutte le spese e rimborsare di tasca mia le cure in un ospedale israeliano”, ha detto. All’inizio di quest’anno, senza più soldi, Badwan ha cercato di proseguire le cure in un ospedale di Gaza. Ha ottenuto un prestito da due amici e dal suo farmacista.
“Ho dovuto farmi prestare un totale di 10.000 shekel israeliani [oltre 2.500 euro, ndtr.] per sostenere i costi e le spese in medicinali e sono finito in prigione perché non ho potuto restituire i miei debiti”, ha detto. Ha passato due giorni in carcere ed è stato rilasciato eccezionalmente a causa delle sue condizioni di salute.
Moin Rajab, un professore in pensione dell’università Al-Azhar nella Striscia di Gaza, ha detto a Mondoweiss che un crescente numero di palestinesi ha contratto debiti lo scorso anno. Al contempo, negli ultimi due anni, i dipendenti pubblici dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno percepito solo il 70% dei loro salari, mentre migliaia di altri non hanno percepito nulla.
“Credo che affrontare simili contenziosi mettendo di mezzo la polizia non risolverà il problema. La gente deve parlare con personalità pubbliche per risolvere queste questioni, il carcere non è mai una buona soluzione”, ha detto Rajab.
Altri palestinesi sono detenuti nel carcere per debiti contratti per sostenere le spese del matrimonio.
Ismail Sadi, di 27 anni, nel 2017 ha chiesto un prestito per sposarsi. Sadi intendeva restituire la somma con il guadagno dei suoi due lavori. Dava una mano al negozio di oreficeria di suo padre in una stanza della casa dei genitori e guidava un taxi. Viveva in casa dei suoi per risparmiare. Per sposarsi si è fatto prestare circa 2.800 dollari da una società privata di Gaza.
Ha restituito la metà del prestito con 100 dollari al mese. Ma quando il proprietario del taxi ha chiesto la restituzione della sua vettura, “i soldi non erano più sufficienti per pagare la società e sostenere le mie spese famigliari. La società si è rivolta alla polizia perché per tre volte di seguito non ho pagato la rata mensile. La polizia mi ha rintracciato e arrestato”.
Sadi è stato condannato a dieci giorni di carcere.
“Mio padre ha anche cercato di farsi prestare del denaro dai suoi amici e conoscenti per farmi uscire di prigione, ma non ha potuto ottenere l’intera cifra. È riuscito ad avere solo 1000 shekel israeliani [280 dollari] e li ha dati alla società”, ha detto.
Alla fine un’organizzazione senza scopo di lucro ha garantito il denaro per estinguere i debiti dei palestinesi in difficoltà economica. Non è un servizio regolare, avviene occasionalmente a Gaza come forma di assistenza.
“Della gente ricca”, ha detto Sadi, “ha pagato il mio debito nel mese sacro del Ramadan e sono riuscito ad uscire di prigione.”
Yousef M. Aljamal è un profugo di Gaza e attualmente è dottorando in Studi sul Medio Oriente all’università di Sakarya in Turchia. È il traduttore di ‘Sognando la libertà: parlano i bambini palestinesi prigionieri’.
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)