Shir Hever, Nadia Nasser-Najjab
19 agosto 2020 – MiddleEastEye
Anche se quest’estate con l’allentamento delle misure di sicurezza alcuni palestinesi sono potuti andare in spiaggia, dietro questo si celano i problemi che affliggono il primo ministro israeliano.
Questa estate i media israeliani hanno riferito con sorpresa una scena inaudita: migliaia di famiglie palestinesi sulle spiagge di Tel Aviv e di altre città israeliane. Gli israeliani si sono abituati a svolgere la loro routine senza vedere i 2 milioni e mezzo di vicini della Cisgiordania occupata, che vivono giusto dall’altra parte del muro di separazione.
Da una spiaggia di Tel Aviv, dei palestinesi hanno condiviso il video di un bagnino israeliano che lasciava entrare i palestinesi di Nablus. La voce che i soldati stessero chiudendo un occhio di fronte ai famosi varchi nel muro si è diffusa rapidamente tra i palestinesi, che si sono affrettati ad approfittare dell’occasione, pagando prezzi esorbitanti ai taxi per andare oltre il muro.
Molti giovani palestinesi hanno visto per la prima volta il mare (che dista meno di 100 chilometri da gran parte della Cisgiordania occupata) e alcune famiglie hanno approfittato dell’occasione per visitare le zone in cui vivevano le loro famiglie prima della Nakba del 1948.
Qualche giornalista ha aspettato a riferire questi fatti finché i passaggi nel muro non sono stati nuovamente chiusi. In effetti la scorsa settimana, non appena la notizia delle famiglie palestinesi sulle spiagge è apparsa sulle pagine dei giornali israeliani, l’esercito ha rapidamente e aggressivamente richiuso i varchi per evitare l’accusa di essere indulgente con i palestinesi.
Rafforzare il potere coloniale
Negli ultimi anni, migliaia di lavoratori palestinesi sono entrati in Israele attraverso i buchi nel muro di separazione in cerca di lavoro e spesso muovendosi proprio sotto gli occhi dei soldati israeliani. La richiesta di manodopera palestinese a buon mercato, e la consapevolezza tra i politici israeliani del fatto che il reddito ricavato dal lavoro fatto in Israele sia un’ancora di salvezza essenziale per l’economia palestinese in rovina hanno dissuaso l’esercito israeliano dal sigillare quei buchi.
Ma nell’epoca del coronavirus è stato davvero sorprendente vedere che i buchi nel muro venivano usati non solo dai lavoratori, ma anche da intere famiglie.
La politica arbitraria di apertura e chiusura dei passaggi attraverso il muro crea tra i palestinesi un senso di incertezza, e rafforza il potere coloniale delle autorità israeliane sulla popolazione palestinese.
Quando l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha impartito direttive alle persone perché rispettassero il blocco del Covid-19 e rimanessero a casa, sapeva benissimo che le sue istruzioni sarebbero state ignorate. E con il coordinamento della sicurezza con Israele sospeso per via dei piani di annessione del primo ministro Benjamin Netanyahu, le forze di sicurezza palestinesi non si sono nemmeno preoccupate di impedire alle persone di entrare in Israele – un’ulteriore umiliazione e indebolimento per l’autorità e la legittimità dell’ANP.
I palestinesi però sanno che l’improvvisa e inaspettata clemenza rispetto ai valichi non è un segno della generosità israeliana. Il colonizzatore “non regala niente per niente”, come disse una volta il filosofo Frantz Fanon.
Per anni, un piccolo gruppo di donne israeliane ha fatto entrare clandestinamente [in Israele] dei palestinesi sulle proprie auto attraverso i posti di blocco, prendendo le corsie riservate agli ebrei israeliani. La più famosa è Ilana Hammerman, che ha spesso sfidato le autorità israeliane portando palestinesi attraverso il checkpoint.
Non è mai stata arrestata, probabilmente perché ciò svelerebbe regole dell’apartheid che consentono agli ebrei di attraversare i posti di blocco solo se non hanno palestinesi in auto. Ma lasciando che le aperture nel muro rimangano aperte, le autorità israeliane rendono irrilevante l’attivismo di Hammerman e altri.
Distogliere l’attenzione del pubblico
Una spiegazione ancora migliore per la decisione presa dal governo di allentare il blocco è la precaria situazione politica di Netanyahu. Ogni volta che le proteste contro il suo governo si fanno sentire, Netanyahu utilizza una crisi nella sicurezza per distogliere l’attenzione pubblica dai problemi economici e legali che affliggono la sua amministrazione.
Dieci anni fa, mentre i manifestanti invocavano giustizia sociale, Netanyahu ha falsamente accusato gli abitanti della Striscia di Gaza di essere coinvolti in un attacco che aveva avuto origine in Egitto, e ha ordinato il bombardamento del territorio costiero. Allo stesso modo, nel 2014-15, mentre gli investimenti stranieri in Israele crollavano e il Paese affrontava una crisi abitativa, Netanyahu spostò l’attenzione sull’Iran, affermando che prima di potersi prendere cura della qualità della vita bisogna prendersi cura della “vita stessa”.
Adesso i manifestanti stanno protestando contro le pesanti conseguenze economiche provocate dal blocco del Covid-19, la massiccia disoccupazione e il fatto che Netanyahu sia piuttosto impegnato a combattere le accuse di corruzione che ad affrontare la crisi – e niente può essere più utile di una piccola guerra o di una rivolta palestinese per dichiarare elezioni anticipate e vincerle come “Mr. Security”.
Sembra ormai chiaro che Benny Gantz, il “primo ministro di rimpiazzo” e rivale di Netanyahu, abbia interessi opposti. Nella sua qualità di ministro della Difesa è nella posizione ideale per mettere a frutto quanto appreso come comandante dell’esercito israeliano, vale a dire che le restrizioni alla libera circolazione dei palestinesi non creano sicurezza per gli israeliani, anzi – e che lasciare le famiglie palestinesi passare attraverso i varchi del muro diminuisce la loro motivazione immediata ad attaccare Israele.
Provocazioni fallite
Netanyahu non ha perso l’occasione di scatenare un po’ di violenza e cavalcare l’ondata di paura per un altro mandato come primo ministro, ma i suoi tentativi di provocare uno scontro con Hezbollah in Libano sono falliti, con l’esplosione di Beirut che rende il momento particolarmente inopportuno perché le forze israeliane scatenino attacchi mentre il resto del mondo invia aiuti.
Quindi, proprio come il suo predecessore Ehud Olmert, Netanyahu ha spostato l’attenzione dal Libano alla Striscia di Gaza. All’inizio di questo mese, alcuni palloni che trasportavano materiali incendiari sono stati lanciati da Gaza in Israele, provocando incendi nei campi israeliani. Non sono stati riportati feriti, tuttavia Netanyahu li ha usati come giustificazione per lanciare attacchi aerei, chiudere posti di blocco, fermare l’importazione di combustibile a Gaza e persino bloccare gli aiuti del Qatar al territorio assediato.
Tutto ciò, tuttavia, non è riuscito finora a indurre Hamas ad un attacco di ritorsione. Hamas ha già una chiara comprensione della politica israeliana e sa esattamente cosa Netanyahu stia cercando di ottenere.
Qualche gita al mare non farà dimenticare ai palestinesi il dolore dell’occupazione, né allevierà lo stress e la paura di una vita senza diritti – ma questa breve storia è sufficiente a dimostrare che il muro non ha mai riguardato la sicurezza israeliana, e che separare le diverse popolazioni che vivono sotto il controllo israeliano non è sostenibile.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.
Shir Hever è membro del consiglio di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East [Voce ebraica per una pace giusta in Medio Oriente].
(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)