Una definizione di antisemitismo usata in modo strumentale

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Se le università britanniche non adotteranno entro Natale la definizione di antisemitismo proposta dall’International holocaust remembrance alliance (Ihra) rischiano le sanzioni del governo di Londra e il taglio dei finanziamenti. L’aveva annunciato lo scorso ottobre il segretario all’istruzione Gavin Williamson, accusando le università britanniche di ignorare l’antisemitismo, dato che solo 29 istituti su 133 avevano adottato la definizione dell’Ihra. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, il dibattito si è acceso, e alla fine di novembre 122 accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e arabi hanno pubblicato una lettera sul Guardian in cui esprimono le loro preoccupazioni.

Come si può leggere sul sito dell’organizzazione, l’International holocaust remembrance alliance è stata fondata nel 1998 e “unisce governi ed esperti per rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione, la ricerca e la memoria a proposito dell’olocausto”. Nel maggio del 2016, l’Ihra ha adottato una definizione operativa non giuridicamente vincolante di antisemitismo, considerato come “una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei”. Per chiarire la sua posizione, l’Ihra ha aggiunto undici esempi, tra cui “negare agli ebrei il diritto all’autodeterminazione, sostenendo che l’esistenza dello stato di Israele è una espressione di razzismo” e “applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non atteso da o non richiesto a nessun altro stato democratico”.

Spianare la strada
Fin dall’inizio diversi osservatori ed esperti hanno espresso delle riserve su questa definizione, in particolare sul rischio degli usi politici della formulazione adottata dall’Ihra. In uno studio pubblicato dalla Rosa Luxemburg foundation nell’ottobre del 2019, il sociologo tedesco Peter Ullrich ha documentato che la vaghezza e la debolezza della definizione hanno spianato la strada alla sua “strumentalizzazione politica, per esempio per screditare moralmente con l’accusa di antisemitismo le posizioni di chi si trova dall’altra parte nel conflitto arabo-israeliano”. Secondo la studiosa Rebecca Ruth Gold, che a luglio ha pubblicato un lungo articolo su The Political Quarterly, “con il suo intenso focus sulla critica a Israele come segno di antisemitismo, la definizione dell’Ihra è stata pesantemente usata nella soppressione dei discorsi critici nei confronti di Israele negli ultimi anni”. A essere presi di mira, sostengono gli esperti, sono stati in particolare i sostenitori della causa palestinese.

Come sottolinea la lettera pubblicata dai 122 intellettuali arabi sul Guardian, “attraverso gli ‘esempi’ che fornisce, la definizione dell’Ihra fonde l’ebraismo con il sionismo presumendo che tutti gli ebrei siano sionisti e che lo stato di Israele nella sua realtà attuale incarni l’autodeterminazione di tutti gli ebrei”.

La lotta contro l’antisemitismo, continua la lettera, “non dovrebbe essere trasformata in uno stratagemma per delegittimare la lotta contro l’oppressione dei palestinesi, la negazione dei loro diritti e la continua occupazione della loro terra”.

Il terreno è particolarmente scivoloso in un contesto accademico, dove sono in gioco le libertà soprattutto delle persone che si occupano di questioni legate alla Palestina e alle politiche israeliane. Come spiega in un commento mandato per email Nicola Perugini, docente di relazioni internazionali all’università di Edimburgo, “se applicata in ambito universitario, questa problematica definizione di antisemitismo rischia di inibire e reprimere gli insegnamenti, le discussioni insieme agli studenti e alle studenti, e gli eventi accademici pubblici in cui si affrontano le politiche di Stato discriminatorie messe in atto da Israele nei confronti della popolazione palestinese che vive in Palestina e nella diaspora”.

Il terreno è particolarmente scivoloso in un contesto accademico in cui ci si occupa di questioni legate alla Palestina e alle politiche israeliane

A oggi la definizione dell’Ihra è stata adottata da venticinque paesi, tra cui Regno Unito, Germania, Belgio, Svezia e Italia (a gennaio di quest’anno). In molti paesi in cui non è stata formalmente adottata dal governo (compresi gli Stati Uniti), la definizione è stata comunque integrata da agenzie e istituzioni dello Stato, oltre che da consigli comunali, università, mezzi d’informazione, partiti politici e organizzazioni umanitarie. Ma essendo un documento che, come indica Rebecca Ruth Gold, abbonda in “inutili tautologie”, “condizionali” e “modelli di pensiero che non hanno necessariamente una correlazione con l’antisemitismo”, si presta particolarmente a “generare equivoci, applicazioni scorrette e, infine, abusi del suo intento dichiarato”.

Un passo indietro
In un articolo su Middle East Eye, Sai Englert, che insegna economia politica del Medio Oriente all’università di Leida, nei Paesi Bassi, sottolinea che invece di identificare i fattori strutturali e istituzionali che riproducono e amplificano l’antisemitismo e ogni altra forma di razzismo, la definizione dell’Ihra si concentra solo sui rapporti interpersonali, senza alcun riferimento al contesto internazionale né alla lotta globale per il rispetto dei diritti umani. Così facendo, rischia di essere inefficace e addirittura controproducente nella lotta all’antisemitismo, come denunciano anche gli autori della lettera. Secondo Englert, la definizione dell’Ihra è “non solo imprecisa e con deboli basi giuridiche”, ma è anche un “passo indietro nella lotta contro l’antisemitismo e il razzismo in generale”.

Inoltre non fa alcuna differenza tra una condizione di oppressione degli ebrei in quanto minoranza da parte di regimi o gruppi antisemiti e la condizione in cui l’autodeterminazione della popolazione ebraica in Israele è realizzata attraverso l’occupazione e l’esclusione di un altro popolo. Come indica anche la lettera pubblicata sul Guardian, nella sua forma attuale lo Stato d’Israele si basa sullo sradicamento della grande maggioranza della popolazione nativa. I palestinesi che ancora vivono all’interno dei suoi confini sono considerati come cittadini di seconda classe, mentre gli altri sono costretti a vivere sotto occupazione militare in Cisgiordania, sotto assedio nella Striscia di Gaza oppure all’estero. Qualunque diritto di autodeterminazione gli è negato dallo stesso Stato di Israele che lo rivendica per sé. In Israele sono in vigore più di 65 leggi discriminatorie nei confronti dei palestinesi, mentre dal luglio del 2018 è in vigore la legge sullo Stato nazione, che sancisce la supremazia dei cittadini ebrei su tutti gli altri. “Il paradosso”, sostiene Perugini, è che “nel nome della lotta al razzismo e all’antisemitismo la definizione dell’Ihra protegge il razzismo di Stato”.

La lettera degli intellettuali sottolinea anche che la definizione di antisemitismo dell’Ihra e le relative misure legali adottate in vari paesi sono state usate soprattutto contro gruppi di sinistra e per la difesa dei diritti umani che sostengono le rivendicazioni dei palestinesi, ignorando che la vera minaccia nei confronti degli ebrei viene dai movimenti nazionalisti bianchi di estrema destra in Europa e negli Stati Uniti.

In particolare il movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds), che ha lo scopo di esercitare una pressione politica ed economica su Israele per mettere fine all’occupazione, riconoscere i diritti fondamentali dei palestinesi e rispettare il diritto al ritorno dei profughi, è stato colpito da una campagna globale di delegittimazione e discredito. A novembre gli Stati Uniti hanno dichiarato il movimento “antisemita”, mentre il governo britannico ha cercato più volte di ostacolare la sua diffusione nel paese. “Rappresentare la campagna Bds come antisemita”, si legge nella lettera pubblicata sul Guardian, “è una grave distorsione di quello che è fondamentalmente uno strumento legittimo e non violento della lotta per i diritti palestinesi”.

Il dibattito è molto complesso e sicuramente andrà avanti nelle prossime settimane. Quello che non bisogna perdere di vista, conclude Perugini, è che “l’antisemitismo va combattuto insieme a tutte le forme di razzismo, nessuna esclusa”. La lettera degli intellettuali si chiude così: “Crediamo che i valori e i diritti umani siano indivisibili e che la lotta contro l’antisemitismo dovrebbe andare di pari passo con la lotta nel nome di tutti i popoli e i gruppi oppressi per la dignità, l’uguaglianza e l’emancipazione”.

 

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