A questa famiglia palestinese vivere vicino alla moschea di Al-Aqsa costa molto caro

Foto Aseel Jundi
image_pdfimage_print

Aseel Jundi da Gerusalemme est occupata

20 febbraio 2021 – Middle East Eye

Da anni la famiglia Bashiti vive un ciclo senza fine di soprusi israeliani perché rifiuta di abbandonare la propria casa in posizione strategica

Mohammed Bashiti guida con estrema cautela la sua auto in via al-Wad, nella Città Vecchia di Gerusalemme. Al cartello di Bab al-Majlis [quartiere del centro storico di Gerusalemme, ndtr.] gira a destra verso la sua casa e parcheggia la macchina.

Bashiti si avvia con moglie e figlia verso un commissariato della polizia israeliana situato a destra dell’entrata della porta di Al-Aqsa ed entra in casa, solo a un metro dalla moschea di Al-Aqsa [principale edificio religioso della Spianata delle Moschee, ndtr.].

Mohammed, Binar e Baylasan sono gli unici membri della famiglia a cui è consentita questa parziale libertà di movimento. Gli altri tre figli, Hisham, Hatim e Abdul-Rahman, passano la maggior parte del loro tempo nelle prigioni israeliane, in centri di interrogatorio o agli arresti domiciliari.

Per capire le ragioni che stanno dietro queste continue vessazioni israeliane contro la famiglia è sufficiente entrare in casa, con le finestre e il cortile che si affacciano su Al-Aqsa.

Ma, poiché la famiglia conserva la proprietà rifiutandosi di venderla, le autorità israeliane hanno cercato di fare pressione su di loro provocando una difficoltà dopo l’altra, al punto che essi affermano di passare tutti i loro giorni a cercare di spegnere incendi.

I ragazzi Bashiti

Il figlio maggiore di Mohammed, il ventenne Hisham, è in prigione dall’ottobre scorso accusato di aver lanciato molotov contro forze di occupazione nella cittadina di Isawiya, nei pressi di Gerusalemme.

Si sono tenute udienze nei tribunali israeliani, ma non si è ancora raggiunto un verdetto.

Nel contempo il diciassettenne Hatim è stato il più fortunato tra i fratelli, in quanto quest’anno è riuscito a tornare a scuola e a prepararsi per la maturità.

Tuttavia continue angherie, compresi arresti, pongono ancora una minaccia alla sua istruzione e potrebbero spegnere i sogni di sua madre di vedere i figli con le uniformi di diplomati.

Il terzo figlio, Abdul-Rahman, un ragazzo di 16 anni affetto da diabete da quando ne aveva 4, recentemente è stato obbligato a lasciare la sua casa a Gerusalemme in seguito ad accuse poco chiare e attualmente è agli arresti domiciliari nella cittadina di Shuafat, a nord di Gerusalemme.

I servizi segreti israeliani hanno chiesto che i genitori rimangano con lui giorno e notte. Se devono andare nella Città Vecchia, la nonna rimane con lui finché non tornano. Mohammed, 46 anni, parla con Middle East Eye nella piccola casa di Gerusalemme per la quale la sua famiglia sta pagando un prezzo così alto per rimanervi.

Egli afferma che la causa principale che sta dietro tutto questo calvario è la posizione strategica della casa, con vista sulla moschea, oltre al rifiuto della famiglia di prendere in considerazione offerte allettanti perché lascino la proprietà.

Mohammed afferma che la sua famiglia ha delle proprietà nel quartiere di al-Sharaf, che è stato sotto il controllo di Israele dall’occupazione di Gerusalemme est nel 1967.

Nel 2004 denunciò il ministero israeliano degli Affari Religiosi chiedendo la restituzione delle sue proprietà confiscate, una delle quali era stata trasformata in una sinagoga.

Mohammed sostiene che i lavori di ristrutturazione della sinagoga vennero bloccati da un ordine del tribunale perché, riguardo a questa specifica proprietà, essa è effettivamente registrata a nome della famiglia Bashiti, come dimostra il catasto israeliano.

Tuttavia, date le spese elevate della causa e l’enorme pressione che la famiglia ha dovuto affrontare in mancanza di un qualunque appoggio ufficiale da parte palestinese, i Bashiti non ebbero altra scelta che rinunciare a proseguirla.

In seguito alla causa in tribunale le autorità dell’occupazione israeliana accentuarono la pressione su Mohammed ed iniziarono a fare irruzione più spesso nella sua casa di Gerusalemme.

Quando Hisham compì i 13 anni l’esercito israeliano iniziò a vessarlo, come è in seguito avvenuto ad Hatim e Abdul-Rahman.

“I miei tre figli e la loro sorella Baylasan non hanno mai goduto di un’infanzia pacifica,” afferma Mohammed. “Al contrario, la loro infanzia è stata segnata da irruzioni, incursioni, arresti, botte, tortura, separazione e arresti domiciliari. Le autorità dell’occupazione israeliana intendono piegarli perché vanno regolarmente a pregare nella moschea di Al-Aqsa e hanno un buon rapporto con la popolazione della Città Vecchia, una cosa che all’occupazione non piace.”

Un sacco di debiti

Fra le altre ragioni dei maltrattamenti c’è il ruolo della famiglia nella rivolta di Gerusalemme est nell’estate 2017, quando le autorità israeliane installarono metal detector e porte elettriche agli ingressi di Al-Aqsa.

I ragazzi della famiglia Bashiti appoggiarono i manifestanti che tenevano sit-in alla porta di Al-Nather, fornendo loro coperte, cibo ed acqua. Sorvegliarono e ripulirono anche la zona prima del sit-in del giorno successivo.

Mohammed lavora come badante di un anziano, ma qualche mese fa ha anche preso il lavoro di Hisham come guardia giurata per garantirgli uno stipendio mentre è in prigione. I debiti del padre aumentano di giorno in giorno.

A ogni nuovo arresto o separazione, deve pagare multe, soldi per la cauzione e costi legali, oltre a un sacco di altre spese che lo hanno oberato.

Mohammed è preoccupato di come riuscirà a far fronte ai debiti che deve rispettare e sta continuamente cercando nuovi garanti ogni volta che ha bisogno di soldi.

Ormai da anni passa la maggior parte del suo tempo in tribunali e in centri di interrogatorio, in carcere e in banca per cercare prestiti che lo aiutino ad affrontare le spese per gli arresti dei suoi figli. “Ho un armadio pieno di documenti riguardanti gli arresti dei miei tre figli, in cui ci sono decisioni del tribunale, ordini di arresto, ispezioni domiciliari, ammende e onorari,” afferma. “Ma semmai ciò non fa che aggiungere ancora più determinazione e risolutezza a rimanere in questa casa attigua a uno dei luoghi più sacri al mondo.”

L’undicenne Baylasan è seduta vicino a suo padre Mohammed. Mentre gioca con uno dei suoi giocattoli prima che tornino a Shuafat per rispettare l’ordine di risiedere con Abdul-Rahman, ascolta con attenzione quello che lui dice.

Fin dalla prima infanzia Baylasan ha assistito alle persecuzioni israeliane contro la sua famiglia, compresa la detenzione di suo padre e i continui arresti dei suoi fratelli, che sembrano non finire mai.

“Solo da poco ho iniziato ad accettare l’invito alla preghiera del muezzin della moschea di Al-Aqsa, perché per anni ho collegato la sua voce al momento in cui l’esercito attacca la nostra casa e arresta uno dei miei fratelli,” dice Baylasan a MEE.

“Ogni volta che compro vestiti nuovi da mettermi per un picnic con la famiglia o per andare da qualche parte ciò non avviene. Ora mi compro vestiti nuovi per andare a visitare mio fratello Hisham in prigione, dato che è diventata l’unico posto in cui vado.”

Baylasan parla della sua esperienza con l’esercito e i servizi segreti l’hanno perquisita mentre lei ripeteva loro che era lì da sola e non c’era nessun altro da arrestare.

“I colpi alla porta erano terrificanti e ho dovuto aprire. All’inizio ho cercato di controllarmi, ma quando è entrata mia madre ho perso il controllo ed ho iniziato a piangere in modo isterico,” dice.

“Spero che potrò vivere una vita pacifica come una qualunque bambina ovunque nel mondo, perché gli attacchi e le perquisizioni alla nostra casa e gli arresti dei miei fratelli mi terrorizzano e turbano il mio percorso educativo.” 

Mentre suo marito parla, Binar, sua moglie, ascolta in modo composto, ma la sua voce si rompe mentre parla degli anni di vessazioni contro i suoi ragazzi, soprattutto quando menziona il figlio malato, Abdul-Rahman, che è stato arrestato 20 volte in un anno. La scena della sua ultima detenzione è ancora vivida nella sua mente.

Abdul-Rahmam è stato arrestato all’alba del 4 gennaio mentre lui, suo fratello Hatim e due loro amici stavano mangiando sul tetto della casa. Il reparto Yamam della polizia, un’unità antiterrorismo, ha fatto irruzione nella casa e Binar ha sentito le parole “state fermi lì”.

Allora è corsa fuori e ha trovato i quattro giovani a terra e ammanettati, e Abdul Rahman le ha chiesto di dargli dell’acqua e il kit per il diabete. Dopo l’arresto Abdul-Rahman è stato trasferito in ospedale.

In seguito i suoi genitori hanno saputo dal medico di turno che era arrivato dal centro di interrogatorio a Gerusalemme est in uno stato molto grave, che avrebbe potuto portarlo a perdere la vista, in coma o persino alla morte.

Il figlio è rimasto in isolamento per 20 giorni prima di essere rilasciato e messo agli arresti domiciliari, dove in qualunque momento potrebbe essere convocato per essere interrogato. Durante l’ultima detenzione Abdul-Rahman ha perso 10 kg.

Benché Binar sia estremamente preoccupata per il peggioramento delle condizioni di Abdul-Rahman, è ancora più preoccupata per il maggiore, Hisham, negli ultimi quattro mesi detenuto nel carcere di Majedo.

Hisham è stato arrestato a Isawiya dal Mustaribeen, un’unità d’élite israeliana in borghese che si finge palestinese. È stato duramente picchiato e di conseguenza è stato ricoverato in ospedale per tre giorni prima di essere spostato in una cella per gli interrogatori, dove è rimasto 45 giorni.

Quando è andata a visitarlo la prima volta, Hisham ha detto a sua madre: “Durante l’arresto non ho visto niente. Ho solo sentito aprirsi le portiere dell’auto dei Mustaribeen e armare le pistole, pronte a fare fuoco.

“Sono stato gravemente ferito e mi sono svegliato in ospedale.”

Binar dice che tutto quello che spera è avere una vita stabile con tutti i membri della sua famiglia sotto lo stesso tetto e che le autorità israeliane smettano di perseguitare i suoi figli ad ogni minimo segno di disordini, persino quando si dà il caso che in quei momenti siano lontani dalla Città Vecchia.”

Detenuti palestinesi

Anche Muhammad Mahmoud, l’avvocato che rappresenta i ragazzi Bashiti, pensa che la ragione che sta dietro al fatto che questa famiglia sia presa di mira sia la collocazione strategica della loro casa. Le autorità israeliane stanno cercando di spingere il padre alla disperazione con l’intento di obbligarlo ad accettare di abbandonare la sua casa, afferma.

“A un’udienza per il caso di Abdul-Rahman erano presenti un rappresentante del servizio segreto di Gerusalemme, il consigliere giuridico dello Shabak (Il servizio di sicurezza interna di Israele) e il rappresentante incaricato della stanza quattro del centro di interrogatori,” dice Mahmoud.

“Per me era una situazione stridente e ridicola: tutti quegli ufficiali di alto rango erano venuti di persona per un ragazzino a chiedere la prosecuzione della sua detenzione.” Durante la sua carriera l’avvocato ha notato che gli investigatori israeliani evitano di tenere giovani detenuti in isolamento, salvo nei casi che considerano estremi, come presunti tentativi di accoltellamento.

Secondo Mahmoud questo fatto rende la detenzione di Abdul-Rahman in isolamento per un periodo così lungo un mistero e una violazione sia delle leggi israeliane che del diritto internazionale.

Alcune organizzazioni palestinesi, tra cui il Palestinian Prisoners Club [Centro per i Detenuti Palestinesi], la Commission of Detainees’ Affairs [Commissione per le Questioni dei Detenuti], il Prisoner Support [Appoggio ai Detenuti], la Human Rights Association [Associazione per i Diritti Umani] e il Wadi Hilweh Information Center [Centro di Informazione di Wadi Hilweh], hanno pubblicato insieme un rapporto in cui affermano che nel 2020 le autorità dell’occupazione hanno arrestato 4.634 palestinesi, tra cui 543 minorenni e 128 donne.

Gli ordini di detenzione amministrativa [cioè senza capi di imputazione né sentenze di condanna, ndtr.] emessi nello stesso periodo hanno raggiunto il numero di 1.114.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)