Nimer Sultany
12 maggio 2021 – Mondoweiss
La realtà del colonialismo da insediamento, della ebraizzazione della Palestina, esiste a Lod, “all’interno di Israele”, tanto quanto a Sheikh Jarrah, nei territori occupati.
Nei giorni scorsi i cittadini palestinesi di Israele hanno protestato contro l’oppressione israeliana a Gerusalemme. Si ribellano allo sfratto e allo spossessamento dei palestinesi di Sheikh Jarrah [quartiere di Gerusalemme est, ndtr.] , all’attacco contro i fedeli all’interno della moschea di Al-Aqsa, ai tentativi della polizia di impedire ai cittadini palestinesi di pregare nella moschea durante il Laylat Al-Qadr [‘la notte del destino’, una delle ultime 10 notti del Ramadan, ndtr.] e al brutale attacco a Gaza.
I media israeliani sono preoccupati della situazione. Stamattina Roni Daniel, corrispondente esperto in materia di sicurezza della TV israeliana, ha sostenuto che il comportamento dei cittadini palestinesi è più preoccupante del conflitto con Hamas. L’esercito si occuperà di Hamas, ha assicurato agli ascoltatori, ma il problema dei disordini all’interno di Israele è molto più grave, ha ribadito, respingendo i tentativi del conduttore di fargli domande su Gaza.
In generale i media israeliani sono allarmati per il crollo della “coesistenza” nelle “città miste” all’interno di Israele: Lod, Ramla, Giaffa, Acri e Haifa. A Lod il sindaco ha chiesto l’intervento dell’esercito in città contro i suoi stessi cittadini. Il governo ha acconsentito: ha dichiarato lo stato di emergenza e imposto il coprifuoco sulla città.
Eppure è difficile prendere sul serio questa invocazione ad una coesistenza perduta. La realtà del colonialismo da insediamento, della ebraizzazione della Palestina, esiste a Lod tanto quanto a Sheikh Jarrah. L’ideologia che vi sta alle spalle è simile. Anche le forze politiche sono le stesse.
Per esempio, nel 2004 Haaretz ha parlato di un “insediamento a Lod”, riferendosi ad un gruppo di coloni religiosi della Cisgiordania che si sono trasferiti a Lod per impedire “il controllo arabo”.
Questo non è stato solo un semplice caso di privati cittadini che si spostano nella città. Nel 2003 l’Amministrazione delle Terre di Israele ha concesso all’associazione Kiryat Eliyashiv, che era l’unico partecipante alla gara d’appalto, sei dunam [1 dunam= 0,1 ettaro, ndtr.] di terra, di fatto gratuitamente (7 shekel israeliani per unità abitativa!) [1,76 euro, ndtr.]
Questi tentativi di insediamento per modificare la “bilancia demografica” tra palestinesi ed ebrei israeliani sono l’espressione di una politica di apartheid: i capi dei coloni religiosi hanno subito chiarito che nessun arabo può ottenere un appartamento nel quartiere di Ramat Eliyashiv. Solo gli ebrei!
Nel 2015 il sito web [israeliano] Walla ha ulteriormente riferito di questa realtà di segregazione a Lod, Ramla e Giaffa, che separa dai ricchi quartieri ebrei i negletti ghetti arabi, afflitti da povertà e delinquenza.
Questa segregazione consiste in muri che dividono i quartieri arabi ed ebraici a Ramla e Lod.
A Lod un muro alto più di 4 metri e lungo 1,5 chilometri separa l’arabo Pardes Shnir dall’ebraico Nir Zvi.
A Ramla un muro alto 4 metri e lungo 2 chilometri separa l’arabo Jawarish dall’ebraico Ganei Dan.
Sembra esserci segregazione anche nel villaggio non riconosciuto di Dahmash. I ricchi quartieri ebraici appena costruiti sono ben forniti. Ma il quartiere di Dahmash, che esiste da oltre 70 anni, è costantemente sotto minaccia di demolizioni. In quanto villaggio non riconosciuto, manca dei servizi essenziali come elettricità e acqua corrente. Ieri un razzo ha ucciso due abitanti di Dahmash. Questo incidente ha messo ulteriormente in luce la vulnerabilità dei cittadini palestinesi. Non disponevano di alcuna rifugio antiaereo.
Il sindaco di estrema destra di Lod (i media lo definiscono un kahanista [seguace del defunto rabbino Kahane, esplicitamente razzista, ndtr.]) ha contribuito alla segregazione anche bloccando le licenze edilizie per impedire agli abitanti arabi di trasferirsi nei quartieri ebraici.
I kahanisti e l’organizzazione [di estrema destra, ndtr.] Lahava, che hanno marciato a Gerusalemme gridando morte agli arabi solo pochi giorni fa, sono calati su Ramla e Lod. Centinaia di questi estremisti hanno attaccato cittadini arabi a Ramla.
Itamar Ben Gvir [capo del partito kahanista, ndtr.], ora membro della Knesset, a Lod ha invitato a sparare a chiunque lanci pietre.
Il Ministro per la Sicurezza interna Amir Ohana [del partito di destra Likud, ndtr.] ha già stabilito che il cittadino ebreo che ha sparato ad un manifestante arabo, Musa Hassouna, da 50 metri di distanza ha agito per autodifesa e che i privati cittadini ebrei con fucili stanno aiutando la polizia! In seguito a questa pressione politica la polizia, che inizialmente aveva arrestato lo sparatore, lo ha rilasciato il giorno dopo. La violenza privata contro i cittadini palestinesi è quindi incoraggiata e sancita dalle autorità dello Stato.
Dunque la realtà è quella di un colonialismo di insediamento in cui i poteri privati e pubblici agiscono di concerto per ebraizzare la terra e scatenare violenze nella Palestina storica, dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo).
È quindi una finzione sostenere che all’interno di Israele vi è “coesistenza” o che ci sono “città miste. È una realtà di ghetti e di apartheid: un ininterrotto progetto coloniale di supremazia ebraica. Jim Crow non era un progetto di coesistenza [ in riferimento alle leggi segregazioniste negli USA tra ‘800 e ‘900, ndtr.] .
È anche fuorviante definire Israele una “democrazia liberale” o semplicemente una “società profondamente divisa”. In un contesto di assenza di una clausola di uguale protezione nella Dichiarazione dei Diritti di Israele, e della Legge sui Comitati di Ammissione del 2011, che consente di escludere i cittadini palestinesi dal poter vivere in centinaia di località, la legge fondamentale [che in Israele funge da costituzione, ndtr.] “Israele Stato Nazione del Popolo Ebraico” del 2018 semplicemente costituzionalizza la supremazia ebraica.
C’è ironia nel fatto che fino a poco tempo fa l’analogia dell’apartheid o la configurazione giuridica del crimine di apartheid sia stata usata con riferimento alla Cisgiordania. Invece uno dei primi casi in cui i palestinesi hanno evocato l’apartheid si riferiva alla situazione coloniale antecedente al 1967. Fayez Sauegh nel suo libro del 1965 “Il colonialismo sionista in Palestina” proponeva un’analogia con l’apartheid del Sudafrica prima dell’occupazione [israeliana della Cisgiordania, ndtr.] del 1967 e all’interno del disegno coloniale da insediamento.
Nimer Sultany è lettore di Diritto Pubblico presso la Scuola di Studi Orientali e Africani. È direttore responsabile del Palestine Yearbook of International Law [Annuario Palestinese di Diritto Pubblico, rassegna giuridica specializzata sulla Palestina, ndtr.], autore di “Law and Revolution: Legitimacy and constitutionalism after the Arab spring” [Legge e rivoluzione: legittimità e costituzionalismo dopo le primavere arabe, (OUP 2017) e di “Citizens without citizenship: Israel and the Palestinian minority 2000-2002” [Cittadini senza cittadinanza: Israele e la minoranza palestinese 2000-2002] (Mada, 2003).
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)