Amira Hass
31 maggio 2021 Haaretz
La polizia ha sparato due volte al fotografo Abdel-Afo Bassam in quel violento venerdì sul Monte del Tempio. Questa rubrica sceglie di raccontare ciò che è ordinario, che non fa sensazione, che si ripete.
Il dipartimento del ministero della Giustizia che indaga sulle accuse di cattiva condotta della polizia non indagherà sugli spari contro Abdel-Afo Bassam e sul suo ferimento: anche se è successo nel cuore del complesso della moschea di Al-Aqsa; anche se era chiaro che il giovane gerosolimitano stava fotografando; anche se la polizia gli ha sparato due volte; anche se era uno dei cinque fotografi palestinesi a cui la polizia ha sparato nel luogo sacro quel giorno, venerdì 7 maggio. Quel giorno un’altra decina di fotografi sono stati attaccati da agenti di polizia in altri luoghi di Gerusalemme.
Questa rubrica vuole raccontare ciò che è ordinario, che non fa sensazione, che si ripete, ciò che è stato dimenticato nella foga degli eventi più drammatici. E in Israele niente fa meno notizia che sparare a un palestinese che sta fotografando.
Bassam, 28 anni, fotografo freelance che vive nel quartiere palestinese di Beit Hanina a Gerusalemme Est, quel venerdì è arrivato nella piazza di Al-Aqsa verso le 18. “L’atmosfera era tranquilla e piacevole, le famiglie arrivavano da ogni parte. Dal nord, da Gerusalemme e dalla Cisgiordania», mi ha detto due giorni dopo. La guerra scoppiata il giorno successivo ha interrotto il mio progetto originale di scrivere sui fotografi presi di mira e feriti.
“Ho fatto delle foto all’ora di pranzo”, ha detto Bassam. “In seguito mi sono avvicinato a Bab al-Silsila [Porta delle catene, una delle porte di quello che gli ebrei chiamano il Monte del Tempio e i musulmani chiamano Al-Haram al-Sharif]. Ho visto che c’era molta tensione e la gente si era radunata per vedere cosa stava succedendo. Ma la gente continuava a offrirsi reciprocamente cibo. Verso le 20 ho sentito la prima granata stordente esplodere nella piazza. La polizia si è radunata a Bab al-Silsila, come se avesse intenzione di fare irruzione. Penso che i giovani abbiano lanciato loro bottiglie di plastica vuote, forse pomodori, per cercare di impedire l’irruzione. Non credo che si siano lanciate pietre”, ha raccontato Bassam.
“Se la polizia individua poche persone che stanno commettendo crimini, non ti aspetti che attacchi l’intera piazza piena di decine di migliaia di persone, comprese donne e bambini, giusto? Ma hanno attaccato. La chiamata alla preghiera è iniziata circa mezz’ora dopo la prima granata stordente. E anche prima, e fino alla preghiera notturna, i membri del Waqf [fondazione religiosa islamica] hanno gridato dagli altoparlanti, hanno pregato la polizia di non fare irruzione e hanno chiesto alle persone di mostrare moderazione.
“Mi hanno sorpreso le granate stordenti che la polizia ha lanciato sulla piazza e il gran numero di militari che hanno fatto irruzione. In modo aggressivo, sparando alle persone con proiettili di metallo dalla punta di gomma – proprio così, in tutte le direzioni. Ho fotografato il primo ferito: indossava una maglietta rossa, era steso a terra. Pochi secondi dopo sono stato colpito al braccio destro. Guarda, c’è ancora il segno sul braccio, tondo come il proiettile. Sono caduto e dei giovani mi hanno portato in clinica.
“Eravamo solo in due, il ragazzo con la maglia rossa e io. E poi, nel giro di meno di 10 minuti, nella clinica non c’era più posto. All’interno c’erano almeno 20 feriti. Alcuni avevano ferite alla testa. Ricordo di aver visto un ragazzo, tre o quattro vecchi e una donna che venivano curati. Ero ancora un po’ stordito. I medici hanno messo del ghiaccio nel punto in cui sono stato colpito. Ho preferito andarmene, per far posto a chi aveva ferite peggiori delle mie. Sono rimasto fuori e non potevo credere che stesse accadendo ciò che stava accadendo. Ogni centimetro era pericoloso.
“Gli scontri continuavano, ho cercato un posto un po’ sicuro. Ma la sparatoria proseguiva, non c’era minuto senza che una o più persone fossero ferite. I medici lavoravano senza sosta. Ho fotografato persone in fuga verso la Cupola della Roccia (che di solito è destinata a donne e bambini). C’erano altri quattro o cinque fotografi accanto a me e ho visto la polizia che ci puntava i fucili.
“Il soldato che mi ha sparato era a circa 50 metri da me. Ero con la mia macchina fotografica, di fronte a lui, in qualche modo ho girato la testa nel momento in cui ha premuto il grilletto e sono stato colpito sotto la scapola destra, alla schiena. Questa volta era uno sparo intenzionale, non casuale”. Poiché il dolore non diminuiva, Bassam è stato visitato e ha scoperto di avere una costola rotta.
“Se non mi fossi voltato, mi avrebbe colpito in un punto più vulnerabile. Ho sentito dalle squadre della Mezzaluna Rossa [la Croce Rossa araba, ndtr.] che tre persone hanno perso gli occhi nella sparatoria di quel giorno. Il gran numero di feriti (205) non è un caso.
“Sono caduto di nuovo e mi hanno riportato in clinica. Il dolore era peggiore della prima volta e la clinica era più affollata di prima. Ci sono voluti circa 10 minuti prima che i medici avessero tempo per me. Di nuovo mi hanno messo del ghiaccio sulla ferita e sono andati a prendersi cura degli altri: molti erano stati feriti da schegge di granate stordenti e sanguinavano.
“Ho visto un ragazzo colpito al petto da un proiettile che sanguinava dalla bocca. Non potevo andarmene, perché continuavano a sparare. Questa volta sono rimasto per circa mezz’ora. Sono uscito e non ho potuto fare foto. Sono stato sorpreso a vedere che la piazza era vuota, solo agenti di polizia ovunque che correvano come pazzi, e tutti i cancelli di uscita dalla piazza erano chiusi, quindi i restanti fedeli non potevano andarsene. La polizia ha chiuso le porte della moschea orientale [la principale] con le catene.
“Sono entrato nella Cupola della Roccia, come altri uomini che c’erano entrati per trovare riparo. La gente bloccava le porte in modo che la polizia non facesse irruzione. Ma la polizia ha lanciato granate stordenti alle porte e un poliziotto ha gridato chiedendo a tutti di uscire. Ero vicino alla porta, ho sentito un membro del servizio d’ordine del Waqf dire a un poliziotto: “Dammi cinque minuti e usciranno tutti”. Il poliziotto ha detto: “Un minuto”. Questo ha davvero spaventato la gente, le donne hanno iniziato a gridare, altri sedevano e leggevano il Corano e piangevano. Sono rimasto lì tutta la notte, sveglio, ho recitato la preghiera dell’alba e sono tornato a casa, stanco morto”.
(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)