I pescatori di Gaza presi tra l’incudine e il martello 

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Motasem A Dalloul

9 agosto 2021 middleeastmonitor

“La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più.”

Samya e Omayya Abu Watfa hanno perso il padre undici anni fa. Si stanno preparando per il nuovo semestre all’università, dove Samya studia chimica e Omayya studia sicurezza alimentare. Ognuno ha bisogno di circa 1.100 – 1.200 dollari per le tasse scolastiche, ma dipendono dal fratello Mohammad, 33 anni, che è un pescatore. Ciò significa che il denaro scarseggia.

“Lavora giorno e notte per provvedere a noi, a nostra madre e ai tre fratelli”, mi ha detto Samya. Mohammad è per noi fratello, padre, tutto.” Ha anche la sua famiglia a cui pensare, una moglie e quattro figli.

A 22 anni Mohammad Abu Watfa ha ereditato la barca da suo padre. Ha lasciato l’università per lavorare e provvedere alla famiglia. “Lavoravo con mio padre quando era vivo, anche durante gli studi. Voleva che diventassi ingegnere, ma non potevo lavorare e continuare a studiare”.

Come tutti gli altri pescatori di Gaza, Abu Watfa sarebbe contento del suo lavoro, anche se è molto duro, se non fosse per le restrizioni imposte da Israele e per le quotidiane violenze esercitate dalla marina israeliana.

Il capo del Sindacato dei Pescatori di Gaza ha ribadito come l’occupazione israeliana abbia imposto un rigoroso blocco terrestre, aereo e marittimo sulla Striscia di Gaza dal 2006. “Questo rende insopportabile la vita di oltre 2 milioni di persone a Gaza”, ha affermato Nizar Ayyash. “La pesca è uno dei settori più colpiti dal blocco. Più di 4.500 pescatori, che hanno complessivamente a carico circa 50.000 persone, vivono e lavorano sotto un’estrema pressione e stress a causa delle misure israeliane connesse al blocco”.

Secondo gli Accordi di Pace di Oslo firmati nel 1993 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, i palestinesi dovrebbero avere accesso alla pesca senza restrizioni fino a 20 miglia nautiche al largo della costa di Gaza. Tuttavia, non sono mai stati autorizzati ad avventurarsi oltre le 16 miglia. Normalmente, sono bloccati entro le 12 miglia; spesso molto meno.

La scorsa settimana, ad esempio, la marina di occupazione israeliana ha ridotto la zona di pesca a sei miglia nautiche in risposta a ciò che Israele ha affermato essere il lancio di palloni incendiari da Gaza verso Israele. È stato poi esteso di nuovo a 12 miglia nautiche. Questo è il gioco israeliano con i pescatori palestinesi dal 2005. Ci sono momenti in cui lo Stato di occupazione vieta del tutto la pesca per giorni o settimane con il più debole dei pretesti.

“Dal 2007”, ha affermato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari ( OCHA) in un recente rapporto, “Israele ha mantenuto incerta la zona di pesca come parte della sua politica di ‘zone cuscinetto’ marittime, ovvero limposizione unilaterale da parte di Israele di inaccessibili zone militari nelle acque palestinesi, spesso vietando completamente la pesca ai palestinesi”.

La pesca è sempre stata un lavoro pericoloso per uomini come Abu Watfa, che mette in gioco la propria vita per portare il cibo in tavola. “A volte ci sono branchi di pesci a circa 15 miglia al largo. Se vogliamo catturarli, dobbiamo andare più in là e spingerli a riva. Quando lo facciamo, la marina israeliana ci insegue, ci spara e poi ci vieta di pescare”.

L’ OCHA ha sottolineato che “Nel corso degli anni, gli attacchi illegali e ingiustificati di Israele – comprese forme di forza letale e altri eccessi, arresti arbitrari, confisca e distruzione di barche e altri materiali da pesca – e restrizioni punitive contro i pescatori palestinesi hanno reso la pesca al largo della costa di Gaza un rischio per la vita e la sicurezza e ridotto la comunità dei pescatori in povertà estrema”.

Queste pratiche, ha aggiunto l’ONU, fanno parte della attuale politica di Israele di interdizioni nella Striscia di Gaza. “Equivalgono a una punizione collettiva illegale degli oltre due milioni di residenti palestinesi, e sono tra le pratiche, leggi e politiche che costituiscono il regime di apartheid di Israele contro il popolo palestinese”.

Bilal Bashir, 42 anni, lavora insieme ad altri dieci pescatori sulla stessa barca. Si è lamentato delle ripetute aggressioni israeliane contro di loro. “A volte, Israele decide di ridurre la zona di pesca proprio mentre siamo in mare. Apprendiamo della restrizione solo quando la marina apre il fuoco contro di noi o i marinai ci urlano contro con gli altoparlanti”.

La sua barca è stata colpita più volte dal fuoco israeliano. Nel marzo 2015, ricorda con amarezza, il suo collega Tawfiq Abu Riala, 32 anni, è stato ucciso. “Quando Tawfiq è stato colpito siamo rimasti scioccati e abbiamo chiesto aiuto. Invece di aiutarci, la marina ha arrestato altri due uomini”.

L’ultimo incidente del genere è accaduto nel febbraio 2018. Le forze di occupazione hanno spiegato cosa è successo: “Una nave sospetta [sic] ha lasciato la zona di pesca al largo della Striscia di Gaza settentrionale, con a bordo tre sospetti [per cui i marinai israeliani hanno iniziato] il protocollo di arresto, che include richiami [di stop], spari di avvertimento in aria e spari alla barca stessa… A seguito degli spari, uno dei sospetti è stato gravemente ferito e in seguito è morto per le ferite riportate”.

La pesca è un affare costoso. Un giorno in mare di una barca con dieci pescatori a bordo può costare fino a 1.500 dollari. “Quando navighiamo entro le 15 miglia nautiche, difficilmente il pescato può coprire le spese”, ha osservato Kinan Baker, 27 anni. “Quando la zona di pesca viene ridotta a sei miglia nautiche è una perdita enorme perché il pescato non copre le spese .”

Ayyash ha descritto l’industria della pesca come il settore più vulnerabile sotto l’assedio imposto a Gaza dall’occupazione israeliana. “Israele sfrutta tutto per mettere sotto pressione la resistenza palestinese. Questa [punizione collettiva] è una chiara violazione del diritto internazionale”. Il capo del sindacato ha chiesto al mondo di esercitare pressioni su Israele affinché smetta di mettere in pericolo la vita e il sostentamento dei pescatori per motivi politici o di sicurezza.

Le punizioni collettive equivalgono a crimini di guerra, e se parte di una politica diffusa o sistematica sono crimini contro l’umanità e sono i fattori principali del deterioramento della situazione umanitaria a Gaza”, ha aggiunto il Center Al Mezan for Human Rights [organizzazione non governativa con sede nel campo profughi palestinese di Jabalia nella Striscia di Gaza, ndtr.]

Nel giugno dello scorso anno la Banca Mondiale ha affermato che “la pesca è una fonte vitale di occupazione, con più di 100.000 persone che beneficiano del settore”. Oltre ai pescatori e alle loro famiglie, ha indicato come beneficiari del settore i commercianti al dettaglio, i proprietari di ristoranti, gli operatori di vivai e i trasportatori del pesce. “Tuttavia, il mare non è più generoso come una volta. La gente di Gaza non può far conto sul proprio pesce, e a volte nemmeno permetterselo. La maggior parte delle famiglie di pescatori sono povere e il loro reddito sta diventando sempre più precario man mano che gli ecosistemi marini continuano a degradare.”

La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più. I pescatori di Gaza sono presi tra l’incudine dell’occupazione e il martello delle difficoltà economiche.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)