Perché Israele non è più l’eccezione alle regole internazionali

Foto di Mustafa Alkharouf/Anadolu Agency
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Ramzy Baroud

1° marzo 2022- Middle East Monitor

Israele può subire pressioni? Oppure è l’unica eccezione alle regole internazionali e all’ordine politico globale in cui ogni Paese, grande o piccolo che sia, è soggetto a pressioni e conseguenti cambiamenti di atteggiamento e di comportamento?

Gli eventi degli ultimi giorni mettono in primo piano la questione della responsabilità legale e morale di Israele. Il 21 febbraio l’Autorità israeliana per la natura e i parchi ha deciso di ritirare un piano che mirava a espropriare, illegalmente, le terre di proprietà della Chiesa sul Monte degli Ulivi nella Gerusalemme est palestinese occupata. Il piano ha suscitato rabbia e resistenza allo stesso modo tra palestinesi cristiani e musulmani. I leader cristiani locali hanno denunciato il proposto furto della terra come un “attacco premeditato ai Cristiani in Terra Santa”.

Dopo che il 2 marzo il Times of Israel ha riferito che il progetto avrebbe dovuto ricevere l’approvazione dal comune di Gerusalemme controllato da Israele, la comunità palestinese e i leader religiosi hanno iniziato a raccogliere sostegno non solo tra i palestinesi ma anche a livello internazionale contro l’ultimo progetto di 

occupazione coloniale.

La decisione di ritirare il piano dimostra ancora una volta che la resistenza palestinese funziona. Ricordiamo la grande mobilitazione palestinese del 2017 dentro e intorno al Nobile Santuario di Al-Aqsa, quando il potere popolare a Gerusalemme costrinse Israele a rimuovere i metal detector e altre “misure di sicurezza” dal sito sacro all’Islam.

Il giorno dopo la decisione israeliana di rinunciare al progetto del Monte degli Ulivi, la Corte di Gerusalemme ha deciso di congelare temporaneamente l’ordine di sfratto contro la famiglia Salem nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah. La famiglia palestinese, che ha vissuto per tre generazioni nella casa presa di mira, si è mobilitata, insieme a molte altre famiglie e attivisti, palestinesi e internazionali, per protestare contro il sequestro illegale da parte di Israele delle case palestinesi nella città occupata.

Sebbene la decisione del tribunale israeliano sia solo temporanea e non smentisca la massiccia e sistematica pulizia etnica in corso a Sheikh Jarrah, Silwan e nel resto di Gerusalemme est, può essere vista in una luce positiva: incoraggia la resistenza popolare nella Gerusalemme occupata e, in effetti, in tutta la patria palestinese

Inoltre, il 25 febbraio, due detenuti palestinesi, Hisham Abu Hawash e Miqdad Al-Qawasmi, sono tornati alle loro famiglie dopo aver trascorso molti mesi in detenzione illegale; erano in sciopero della fame rispettivamente da 141 e 113 giorni. L’immensa sofferenza di questi due uomini, insieme a numerose immagini dei loro corpi emaciati, è stata utilizzata per mesi dai palestinesi per illustrare la brutalità di Israele e l’ormai leggendario sumoud, la fermezza, dei normali palestinesi.

Come previsto, i prigionieri liberati sono stati ricevuti dalle loro famiglie, amici e migliaia di palestinesi festanti. Durante le celebrazioni, la parola “vittoria” è stata ripetuta più e più volte nelle strade, nei notiziari palestinesi e nei social media.

Questi sono solo alcuni esempi di quotidiane vittorie palestinesi che raramente vengono sottolineate, o addirittura riconosciute come tali. Questi risultati, per quanto sembrino poca cosa, sono cruciali per comprendere la natura quotidiana della resistenza palestinese; sono anche altrettanto importanti per rendersi conto che anche Israele, che ama considerarsi uno Stato eccezionale sotto ogni aspetto, può essere soggetto a pressioni.

Quando i palestinesi e molti altri in tutto il mondo hanno chiesto a Israele di porre fine agli sgomberi forzati degli abitanti di Gerusalemme a Sheikh Jarrah lo scorso maggio l’allora primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato che il suo paese “rifiuta fermamente” le pressioni e ha portato avanti senza ostacoli le sue misure coercitive. Ma quando i palestinesi si sono sollevati in massa per solidarietà con Gerusalemme e Gaza, personaggi come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden hanno invitato tutte le parti a “ridimensionarsi“.

Eppure Netanyahu ha continuato a comportarsi come se il suo Paese fosse al di sopra della legge, delle procedure politiche e persino del buon senso. “Sono determinato a continuare con questa operazione fino al raggiungimento dell’obiettivo”, ha insistito. Ha anche affermato che la guerra contro Gaza – in effetti, contro tutti i palestinesi – è “un diritto naturale di Israele”. Quando i palestinesi hanno continuato la loro resistenza, assieme, questa volta, a un crescente movimento di solidarietà globale, Israele è stato costretto ad accettare un cessate il fuoco, raggiungendo pochi, se non nessuno, dei suoi presunti obiettivi.

In questo momento Israele sta cercando l’aiuto di vari mediatori per la restituzione di diversi soldati israeliani – o delle loro spoglie – attualmente trattenuti a Gaza. I palestinesi sono aperti a un accordo di scambio di prigionieri e chiedono la libertà di centinaia di prigionieri politici, comprese importanti personalità palestinesi, detenuti in Israele da molti anni.

Inoltre vogliono ottenere serie garanzie per evitare il ripetersi di uno scambio di prigionieri come quello dell’ottobre 2011, quando oltre 1.000 palestinesi sono stati rilasciati solo per essere poi nuovamente arrestati da Israele poco dopo. Anche in merito a questo Israele ha assicurato che non cederà di fronte alle condizioni palestinesi, ma molto probabilmente lo farà.

Israele non è l’unico paese ad affermare di essere al di sopra delle pressioni e di non dover rendere conto delle proprie azioni. Molti regimi coloniali in passato si sono rifiutati di riconoscere la resistenza popolare nelle rispettive colonie, eppure, in qualche modo, il colonialismo tradizionale si è debitamente concluso con la sconfitta ingloriosa dei colonizzatori.

Questo non vuol dire che l’eccezionalismo israeliano non sia reale; lo è, e lo si può vedere chiaramente nel Congresso degli Stati Uniti e nel comportamento di molti governi occidentali filo-israeliani. Tale eccezionalismo rivela spesso ipocrisia e doppi standard, nonché l’illusione che uno Stato in particolare sia al di sopra dell’ordine naturale e delle regole internazionali che hanno governato per secoli le relazioni statali, la politica e i riallineamenti geopolitici.

Mentre Israele continua ad illudersi di essere al di sopra delle pressioni, i palestinesi devono rendersi conto che la loro resistenza, in tutte le sue manifestazioni, è in grado di arrivare al risultato voluto, la libertà. La crescita del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) a guida palestinese e la sua capacità di sfidare Israele su numerose piattaforme di informazione in tutto il pianeta sono un perfetto esempio di come il popolo della Palestina occupata sia riuscito a portare la sua lotta per la libertà in tutto il mondo. Se Israele non è suscettibile alle pressioni, allora perché dovrebbe combattere il movimento BDS con tanta sfrenata ferocia e, a volte, disperazione?

Israele non è eccezionale in nessun senso. Come altri regimi coloniali e di apartheid del passato alla fine crollerà aprendo la strada a un futuro in cui arabi palestinesi ed ebrei israeliani potranno coesistere alla pari.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente linea editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)