Elizabeth Tsurkov
Lunedì 16 maggio 2022 – The Guardian
Le scene di violenza a Gerusalemme sono un sintomo di una cultura dell’impunità all’interno della leadership israeliana e delle forze di polizia da lei gestite
Molte persone sono rimaste scioccate dalle immagini dell’aggressione della polizia di frontiera israeliana al corteo funebre della celebre giornalista palestinese Shireen Abu Aqleh, non solo per la crudeltà della polizia, ma anche per il suo proposito di non curarsi del danno all’immagine recato dall’attacco. L’uccisione di Abu Aqleh, probabilmente da parte di un cecchino israeliano, la successiva incursione nella sua casa di famiglia e l’intimidazione della polizia nei confronti di suo fratello prima del funerale indicano il crescente senso di impunità che coinvolge i decisori politici e l’esercito israeliano.
La classe dirigente politica israeliana aveva promesso all’amministrazione Biden che il funerale di Abu Aqleh sarebbe stato “rispettoso”. Non sarà probabilmente soddisfatta dei video virali che mostrano poliziotti che tentano di strappare le bandiere palestinesi dalla bara di Abu Aqleh mentre picchiano con i randelli i portatori del feretro, facendolo quasi cadere a terra. Eppure per anni la leadership del Paese non ha subito ripercussioni internazionali per le sue azioni nei territori occupati. Nelle sue miti dichiarazioni sull’assalto al funerale, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha descritto le forze israeliane come “intrufolate nel corteo funebre”, come se fossero dei semplici ospiti non invitati.
Israele può contare sull’inerzia internazionale, mentre qualsiasi azione rivolta a punire i poliziotti o condannare il cecchino che ha sparato ad Abu Aqleh, la quale indossava un giubbotto che indicava chiaramente che era una giornalista, porterà attacchi al governo da parte della destra israeliana. Per oltre un decennio la quasi totale scomparsa della sinistra israeliana ha fatto sì che la competizione politica di un qualche rilievo fosse tutta interna al blocco di destra israeliano. Insieme alla crescente forza dell’estrema destra israeliana (sostenuta dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu) ciò ha portato i principali politici a spostarsi ulteriormente a destra per evitare di perdere il sostegno della loro base.
Il primo ministro israeliano Naftali Bennett e Netanyahu hanno cercato a tutti i costi di evitare di apparire teneri con le forze di sicurezza israeliane, indipendentemente dai loro crimini. Nel 2016, dopo che il soldato israeliano Elor Azaria venne ripreso dalla telecamera mentre uccideva ad Hebron un aggressore palestinese reso inoffensivo, Netanyahu condannò inizialmente il suo gesto. Successivamente, dopo aver visto i risultati di un sondaggio, ribaltò la sua posizione e chiese la grazia per Azaria. Azaria finì per scontare solo nove mesi in una prigione militare. Dopo il suo rilascio divenne una delle principali celebrità nei circoli di destra. Non sono stati processati dei poliziotti ripresi mentre picchiavano giornalisti a Gerusalemme, o dei soldati coinvolti nella detenzione di un anziano palestinese-americano, che è stato legato, imbavagliato e bendato e che è morto poco dopo sembra in seguito ad un attacco cardiaco.
Questi famosi casi di impunità non sono un’eccezione. I dati raccolti dalla ONG israeliana per i diritti umani Yesh Din mostrano che solo lo 0,7% delle denunce presentate dai palestinesi contro i soldati porta a procedimenti giudiziari, mentre l’80% dei casi viene chiuso senza un’indagine penale. I militari israeliani non hanno motivo di aspettarsi delle conseguenze personali per l’uccisione di una giornalista o per l’attacco al suo funerale, trasmesso in diretta in tutto il mondo.
Prima del funerale di Abu Aqleh la polizia israeliana ha ingiunto alla sua famiglia di impedire che l’evento si trasformasse in una protesta, un chiaro tentativo di dimostrare il dominio di Israele. Non è la prima volta che la classe dirigente e l’esercito israeliani tentano di fare prepotenze simili: all’inizio di quest’anno la leadership israeliana ha permesso ai fedeli ebrei di salire sul Monte del Tempio/Haram al-Sharif [sito religioso situato nella città Vecchia di Gerusalemme importante per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, ndtr.] e di pregare lì, violando un precedente accordo con il Waqf islamico [ente deputato al controllo degli edifici religiosi islamici, ndtr.] di Gerusalemme e con la Giordania.
Nel 2017, in un’altra dimostrazione di forza, Israele ha installato metal detector agli ingressi della moschea di al-Aqsa. Le rivolte di massa hanno portato Israele a fare marcia indietro e rimuoverli dopo diverse settimane. Durante il mese del Ramadan i poliziotti israeliani hanno impedito ai palestinesi di sedersi vicino alla Porta di Damasco, un popolare spazio comune, e hanno effettuato arresti di massa di coloro che lo facevano. Di recente lo Shin Bet [agenzia di intelligence per gli affari interni dello Stato di Israele, ndtr.] dopo aver triangolato i loro telefoni ha inviato a dei palestinesi nella moschea di al-Aqsa messaggi con minacce di vendetta per loro presunte partecipazioni a rivolte.
I violenti tentativi della polizia israeliana di rimuovere le bandiere palestinesi issate durante il funerale di Abu Aqleh sono solo l’ultima manifestazione di una politica che mira a schiacciare i segni dell’identità palestinese a Gerusalemme. Nel 2018 il governo israeliano ha stanziato 2 miliardi di shekel (567.307.000 milioni di euro, ndtr.] per “incrementare la sovranità israeliana su Gerusalemme est”, con l’obiettivo di far sì che più scuole passino dall’insegnamento del programma giordano a quello israeliano. Le autorità israeliane hanno costretto le poche scuole della città che ancora insegnavano il programma palestinese a censurare i libri di testo che trattavano la storia palestinese. All’inizio di quest’anno i poliziotti israeliani hanno arrestato studenti palestinesi all’Università Ebraica di Gerusalemme per aver cantato quelle che la polizia sosteneva fossero canzoni nazionalistiche palestinesi.
L’uccisione di Abu Aqleh e la violenza esercitata sulle persone in lutto ha sicuramente causato danni alla reputazione di Israele. Ma a meno che la disapprovazione internazionale non si traduca in un cambiamento politico tangibile la leadership israeliana non ha motivo di smettere di esercitare altri abusi in futuro. I suoi leader sono impegnati a placare una base di destra che richiede a come minimo il pieno sostegno delle forze di sicurezza israeliane. Finché gli alleati di Israele continueranno a tollerare questi abusi, l’impunità rimarrà la regola, non l’eccezione.
Elizabeth Tsurkov è ricercatrice presso il Forum for Regional Thinking, un centro di ricerca israelo-palestinese.
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)