Nils Adler
7 gennaio 2024 – Al Jazeera
La popolarità di Netanyahu non è mai stata così bassa. Secondo alcuni analisti gli omicidi di Beirut non cambieranno in modo sostanziale la situazione.
È stato un inizio di 2024 difficile per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Lunedì primo gennaio la Corte Suprema di Israele ha bocciato una controversa legge presentata dal governo Netanyahu nel 2023 per limitare alcuni poteri dell’Alta Corte che ha scatenato diffuse proteste in tutto il Paese.
Poi, il giorno dopo, l’attacco contro un appartamento di Beirut ha ucciso importanti membri di Hamas. Anche se Israele non ha rivendicato l’azione, alcuni analisti affermano che ha avuto in tutto e per tutto le caratteristiche di un attacco mirato israeliano. Ciò contribuirà a fermare la perdita di popolarità del primo ministro israeliano più a lungo in carica?
La decisione della Corte Suprema è una “importante battuta d’arresto”
La bocciatura del progetto di riforma giudiziaria è un’“importante battuta d’arresto” per Netanyahu e l’estrema destra israeliana che avevano investito “un significativo impegno politico sulla questione”, dice ad Al Jazeera Nader Hashemi, professore associato di Medio Oriente e Politica Islamica alla Georgetown University [prestigiosa università statunitense, ndt.] .
Per alcuni israeliani, afferma Hashemi, l’insistenza di lunga data di Netanyahu sulle modifiche del sistema giudiziario ha “diviso la società israeliana e l’ha resa più debole, consentendo ciò che è avvenuto il 7 ottobre.
Recenti sondaggi di opinione mostrano che la stragrande maggioranza degli israeliani pensa che Netanyahu dovrebbe ammettere pubblicamente le sue responsabilità per gli errori che hanno portato all’attacco di Hamas il 7 ottobre nel sud di Israele, in cui circa 1.200 persone sono state uccise e più di 200 sono state prese in ostaggio. Da allora a Gaza le bombe e il fuoco di artiglieria israeliani hanno ucciso più di 22.000 palestinesi.
Nimrod Goren, ricercatore esperto delle questioni israeliane presso il Middle East Institute [centro studi statunitense fondato nel 1946, ndt.], dice ad Al Jazeera che la sentenza della Corte Suprema è stata vista come una “grande vittoria per la democrazia israeliana”.
Dopo questa decisione il ministro della Giustizia Yariv Levin ha attaccato la Corte, affermando che il momento scelto per il suo verdetto è stato “l’opposto dell’unità necessaria per il successo dei nostri combattenti al fronte.”
Tuttavia il leader dell’opposizione Yair Lapid ha messo in guardia il governo Netanyahu dall’ignorare la sentenza, affermando che se lo facesse ciò “dimostrerebbe che non ha imparato niente dal 7 ottobre”. Anche l’ex ministro della Difesa Benny Gantz, che fa parte del gabinetto di guerra di Netanyahu, ha chiesto che la decisione venga rispettata.
Secondo Goren i battibecchi politici seguiti alla sentenza, dopo mesi di relativa unità dopo il 7 ottobre, sono serviti da “promemoria di quello che ci attende (come israeliani) quando la guerra sarà finita.”
Egli afferma che concentrarsi sulle riforme proposte, una questione divisiva prima della guerra, “invece di fare i conti con gli importanti problemi che dobbiamo affrontare (ora)” non fa che aggiungersi alle critiche della società israeliana a Netanyahu.
Le uccisioni di Beirut sono una “fotografia della vittoria” per il gabinetto di guerra
Eppure, se la sentenza della Corte Suprema è stata un colpo per Netanyahu, l’assassinio di importanti dirigenti di Hamas a Beirut ha rappresentato un momento trionfale per lui e il suo gabinetto di guerra, che include il ministro della Difesa Yoav Gallant e Gantz, ora membro dell’opposizione.
“Penso che le clamorose uccisioni di questo tipo contro nemici giurati di Israele aiutino politicamente Netanyahu,” dice Hashem.
Un articolo pubblicato dal giornale israeliano di sinistra Haaretz ha affermato che le notizie da Beirut sono state viste “positivamente” dalla società israeliana e hanno fornito ai dirigenti del Paese una “fotografia della vittoria” indispensabile mentre la guerra si sta avvicinando al terzo mese.
Ma, secondo l’articolo, per le famiglie degli oltre cento ostaggi ancora trattenuti a Gaza la notizia è giunta come “una pugnalata al cuore”.
Martedì Netanyahu ha incontrato le famiglie e le ha informate che si stava per concretizzare un possibile accordo con Hamas che avrebbe potuto portare alla liberazione degli ostaggi.
Subito dopo è filtrata l’informazione dell’uccisione di importanti dirigenti di Hamas a Beirut, seguita da notizie secondo cui i passi avanti del possibile accordo per il rilascio degli ostaggi erano in fase di stallo.
Haaretz, citando Eli Shtivi, padre del ventottenne Idan Shtivi, rapito durante il festival musicale Supernova, ha affermato che le notizie hanno spento il crescente ottimismo tra i familiari riguardo alle prospettive di un accordo. Shtivi ha detto alla televisione israeliana che le uccisioni “sono avvenute in un momento in cui pensavamo che avremmo visto la reale possibilità che altri ostaggi tornassero a casa.”
È una sensazione che Gil Dickmann, la cui cugina Carmel Gat è stata rapita da Hamas, non condivide.
Egli sostiene che la politica dovrebbe aspettare e che la priorità assoluta delle famiglie degli ostaggi è appoggiare qualunque cosa il governo stia facendo per riportarli a casa.
“Quando tutto sarà finito avremo il tempo sufficiente per parlare di politica, ma voglio che mia cugina Carmel sia qui quando lo faremo,” dice ad Al Jazeera.
Fino ad allora, afferma, “appoggeremo qualunque tentativo” per il rilascio degli ostaggi. “Penso che la cosa più importante sia che il governo sappia di avere l’appoggio della stragrande maggioranza degli israeliani.”
Le uccisioni di Beirut dimostrano che non c’è nessuna volontà di arrivare a un cessate il fuoco
Comunque gli omicidi hanno irritato molti israeliani che chiedono ad alta voce una soluzione pacifica della guerra.
Nelle scorse settimane Standing Together [Stare uniti], un movimento ebreo-arabo per la pace, ha portato migliaia di persone in piazza per chiedere un cessate il fuoco bilaterale e la fine dell’attuale campagna militare a Gaza.
Alon-Lee Green, il suo co-direttore, dice ad Al Jazeera che gli omicidi sono stati un messaggio di Netanyahu e del suo gabinetto di guerra che “non siamo disposti a negoziare”.
Una vittoria militare, non politica
Secondo alcuni analisti quanto successo a Beirut potrebbe essere visto da molti israeliani come un successo militare, ma non si traduce necessariamente in una vittoria politica di Netanyahu.
Piuttosto, secondo Goren, ciò allarga il divario tra la “mancanza di fiducia nell’attuale dirigenza del governo e il costante alto livello di fiducia nei confronti degli ambienti dell’apparato della sicurezza, nonostante tutto quello che è successo il 7 ottobre.”
Secondo lui il fatto che anche Gantz, un oppositore politico, faccia parte del gabinetto di guerra dimostra che l’obiettivo di dare la caccia ad Hamas è condiviso dalla maggioranza dei dirigenti politici, e di conseguenza i successi militari non sono attribuibili solo a Netanyahu.
Yossi Mekelberg, professore associato del programma MENA [Medio Oriente e Nord Africa] presso la Chatham House [prestigioso centro studi britannico, ndt.], afferma che, anche se avvenimenti come le uccisioni di Beirut possono offrire una breve tregua alla criticatissima dirigenza israeliana, non cambieranno la precaria situazione politica di Netanyahu.
Il primo ministro è generalmente considerato responsabile di quanto avvenuto il 7 ottobre, quindi secondo Mekelberg anche se ci fosse un cessate il fuoco l’opposizione probabilmente contesterebbe la sua posizione e chiederebbe nuove elezioni.
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)