Il nuovo status quo dopo l’attacco israeliano contro il nord della Cisgiordania

Dopo un'incursione nel campo profughi di Jenin. Foto: QASSAM MUADDI/MONDOWEISS)
image_pdfimage_print

Qassam Muaddi

30 agosto 2024 – Mondoweiss

La vecchia politica israeliana di contenimento della resistenza armata in Cisgiordania è finita. Ora i palestinesi si stanno chiedendo se la guerra contro Gaza si sia estesa alla Cisgiordania.

La continua offensiva militare israeliana contro le città di Jenin, Tulkarem e Tubas, nel nord della Cisgiordania, è ora entrata nel suo terzo giorno. L’esercito israeliano ha insistito nel descriverla come l’invasione più vasta della Cisgiordania dall’operazione “Scudo di Difesa” nel 2002, un messaggio destinato soprattutto all’opinione pubblica israeliana e forse anche inteso a terrorizzare i palestinesi come una forma di guerra psicologica – il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha affermato che Israele dovrebbe fare i conti con la Cisgiordania nello stesso modo in cui lo sta facendo con Gaza, anche “evacuando temporaneamente” gli abitanti.

Le attuali dimensioni dell’operazione “Campi Estivi”, come Israele l’ha denominata, finora non è stata delle dimensioni dell’invasione della Cisgiordania di 22 anni fa, ma in ogni caso i palestinesi si chiedono: questo è l’inizio per noi di quello che sta toccando a Gaza?

Fin dalle prime ore dell’occupazione le forze israeliane hanno isolato Jenin e assediato il suo ospedale pubblico, mentre altre forze hanno fatto irruzione nei campi profughi di Nur Shams a Tulkarem e di al-Fara’a a Tubas. Per molti aspetti non si è trattato di uno spettacolo inconsueto in questi campi anche prima del 7 ottobre. La repressione israeliana contro la resistenza armata nel nord della Cisgiordania e altrove è progressivamente aumentata dalla fine del 2021.

La nascita della Brigata Jenin, seguita da quella delle Brigate di Tubas e Tulkarem e del Covo dei Leoni a Nablus, di breve durata, hanno sfidato seriamente i tentativi israeliani di conservare la stabilità in Cisgiordania mentre espandeva il suo progetto di colonizzazione.

Le aree di Jenin, Tubas, Tulkarem e Nablus sono diventate sempre più difficili da attaccare per le forze israeliane, obbligando Israele a militarizzare ulteriormente queste zone e a far ricorso ad attacchi aerei e ai blindati.

Ciò ha cambiato il contesto della sicurezza in Cisgiordania per un intero anno prima del 7 ottobre.

Un’estensione della guerra a Gaza?

Dal 7 ottobre Israele ha incrementato le sue incursioni nelle città del nord della Cisgiordania, soprattutto nei campi profughi che sono serviti come rifugio per i gruppi della resistenza. La strategia israeliana è stata prevenire l’ulteriore sviluppo di attività armate palestinesi in risposta all’operazione Inondazione al-Aqsa e per neutralizzare la Cisgiordania come fronte aggiuntivo della guerra contro Gaza. Mentre la Cisgiordania nel suo complesso è stata largamente pacificata, il nord era rimasto un campo di battaglia attivo. Invece di essere scoraggiati, a Tulkarem, Jenin e altrove i gruppi della resistenza hanno incrementato le loro capacità, soprattutto in termini di produzione di ordigni artigianali. Poi la resistenza armata ha iniziato a diffondersi nelle zone rurali del nord della Cisgiordania, segnando un incremento della presenza di gruppi armati.

Con il passare dei mesi la retorica degli alleati di Netanyahu, come il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, hanno chiesto sempre più insistentemente un’azione decisiva in Cisgiordania, per estendervi la guerra totale contro Gaza. Ciò è stato accompagnato da un aumento dell’espansione delle colonie e delle misure per l’annessione, con Smotrich e Ben-Gvir che spingevano in questa direzione con il sostegno della loro base popolare dei coloni militanti.

Tuttavia il continuo impegno di Israele a Gaza e la sua impossibilità di dichiarare una vittoria militare decisiva contro Hamas ha reso più difficile aprire nuovo fronte di guerra la Cisgiordania, soprattutto con un secondo fronte aperto contro Hezbollah lungo il confine meridionale del Libano.

Nel contempo negli ultimi mesi la guerra a Gaza si è trasformata in una guerra di attrito, aumentando le pressioni interne ed esterne su Netanyahu per porvi fine. È qui che entra in gioco l’attacco contro la Cisgiordania.

Mentre si prevede che Israele esaurisca e riduca le operazioni a Gaza, ora si attende che estenda le operazioni in Cisgiordania per prolungare il più possibile lo stato di guerra, dato che gli interessi di Netanyahu sono in linea con la continuazione dello scenario di tensione. Se è così, ciò significa che l’attacco in Cisgiordania è solo nelle sue fasi iniziali; quando le forze israeliane si ritireranno da Gaza saranno libere di intensificare la pressione in Cisgiordania.

Oltretutto la Cisgiordania è di importanza strategica per Israele, dato il suo tentativo di annettere vaste zone dell’Area C, che comprende oltre il 60% della sua estensione. Questo piano è il fulcro del progetto politico della destra israeliana, che attualmente domina anche la politica di Israele. In più la vicinanza geografica della Cisgiordania con il centro di Israele e la porosità del muro di separazione rendono intollerabile per Israele l’idea di un progetto di resistenza armata in Cisgiordania.

Cambiamento di strategia

Le ultime operazioni israeliane in Cisgiordania hanno già ucciso 17 palestinesi, tra cui due gemelli adolescenti. Ha distrutto più infrastrutture nelle città prese di mira, mentre decine di abitanti sono stati arrestati. Mentre questa situazione diventa gradualmente lo status quo in Cisgiordania, quello che emerge è un cambiamento nella strategia israeliana. Avremmo già potuto rendercene conto dal 7 ottobre, ma le ultime operazioni in Cisgiordania lo hanno messo chiaramente a fuoco: è il passaggio da una politica di contenimento a una di attacco intensificato.

Per anni Israele ha seguito la politica di evitare gravi disordini e conservare la stabilità impegnandosi in ridotte incursioni in Cisgiordania, soprattutto scatenando grandi campagne di arresti che, in molti casi, sono stati per loro natura preventivi. Dal 7 ottobre questa politica ha lasciato il posto a quella di terrorizzare la popolazione palestinese nel suo complesso: non è solo una campagna per prevenire la rivolta contro i gruppi della resistenza armata, ma una guerra contro la società palestinese in Cisgiordania come mezzo per scoraggiarla dal resistere.

Indipendentemente dal fatto che la guerra in Cisgiordania sia un’estensione di quella contro Gaza, ciò che è chiaro è che stiamo entrando in una nuova fase della politica israeliana nei confronti della Cisgiordania. Anche se la guerra a Gaza finisse domani, la Cisgiordania ora diventerà la nuova arena dell’escalation e dell’espansione annessionista della colonizzazione nel futuro immediato. Il vecchio status quo di una stabilità artificiosa è stato distrutto e non c’è ritorno al passato. Ciò favorisce sia le ambizioni di colonizzazione israeliane, ma è anche a suo discapito, in quanto ciò rischia di provocare un’esplosione in Cisgiordania e nell’intera regione.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)