Non c’è Auschwitz a Gaza. Ma è comunque un genocidio

Fuga da un bombardamento a Rafah in novembre 2024. Foto: Mohammed Abed/AFP
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Daniel Blatman, Amos Goldberg

30 gennaio 2025Haaretz

Questo è esattamente ciò che appare come un genocidio, scrivono gli storici israeliani Amos Goldberg e Daniel Blatman

La questione di come definire correttamente le atrocità perpetrate da Israele nella Striscia di Gaza è oggetto di discussione da oltre un anno tra ricercatori, esperti legali, attivisti politici, giornalisti e altri, un dibattito a cui la maggior parte degli israeliani non è esposta. Per le decine di migliaia di bambini morti, feriti e orfani, e per i neonati che ora muoiono congelati a Gaza non fa alcuna differenza quale definizione venga infine assegnata a questo crimine dalla Corte internazionale di giustizia o dagli storici.

Mark Twain scrisse che “Il vero inchiostro con cui tutta la storia è scritta è semplicemente un fluido pregiudizio”. I pericoli di scrivere la storia in modo parziale sono chiari e sottolineano la necessità di definizioni attente e ponderate per raggiungere una comprensione accurata degli eventi che si stanno verificando. Tuttavia un esame comparativo meticoloso degli eventi dell’anno passato porta alla dolorosa conclusione che Israele sta effettivamente commettendo un genocidio a Gaza.

Lo storico Shlomo Sand ha sostenuto in un articolo (Haaretz edizione in Ebraico, 15 dicembre 2024) che nonostante le terribili atrocità e i crimini di guerra commessi da Israele a Gaza essi non costituiscono un genocidio. Come argomento a sostegno Sand ha paragonato la guerra a Gaza a due eventi, a suo parere simili, in cui eserciti di paesi democratici (Francia e Stati Uniti, rispettivamente) hanno commesso atrocità contro popolazioni civili che non erano meno orribili di quelle perpetrate a Gaza, ma le loro azioni non sono state classificate come genocidio: la guerra d’Algeria (1954-1962) e la guerra del Vietnam (1965-1973).

L’affermazione di Sand è inesatta. Ben Kiernan, uno dei principali studiosi di genocidi al mondo, nel suo libro del 2007, “Blood and Soil: A World History of Genocide and Extermination from Sparta to Darfur” (Sangue e terra: Storia mondiale del genocidio e dello sterminio da Sparta al Darfur ), ha stimato che durante l’occupazione coloniale francese dell’Algeria (1830-1875), tra 500.000 e 1 milione di algerini morirono di fame, malattie o uccisioni deliberate; Kiernan ritiene che il colonialismo di insediamento in Algeria abbia portato al genocidio, simile ai genocidi causati dall’occupazione e dall’insediamento coloniale in Nord America e Australia. Leo Kuper, uno storico della prima generazione di ricercatori sui genocidi, ha sostenuto nel suo libro del 1982, “Genocide: Its Political Use in the Twentieth Century” (1982) (Genocidio: il suo utilizzo politico nel XX secolo), che le atrocità commesse dai francesi nella guerra d’Algeria possono essere classificate come “massacri genocidari”. Tuttavia, non soddisfano i criteri di un genocidio a tutti gli effetti.

Per quanto riguarda la guerra del Vietnam Sand è stato ancora meno preciso. Nel 1966, il Tribunale Russell, un organismo non ufficiale avviato dal filosofo britannico Bertrand Russell, si impegnò a investigare, valutare e pubblicizzare le accuse di crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Questo organismo includeva intellettuali, politici e attivisti di spicco, tra cui Jean-Paul Sartre (che presiedeva il tribunale), la scrittrice femminista francese Simone de Beauvoir, la figura politica italiana Lelio Basso e l’eroe di guerra jugoslavo, partigiano e attivista per i diritti umani Vladimir Dedijer. Questo tribunale pubblico concluse che le azioni militari statunitensi in Vietnam costituivano genocidio ai sensi della Convenzione ONU del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. Queste azioni includevano il bombardamento e l’uccisione di civili, l’uso di armi proibite, la tortura e l’abuso di prigionieri di guerra e la distruzione di siti culturali e storici.

Proprio come molti hanno protestato per quello che ritengono un insufficiente riconoscimento internazionale delle atrocità commesse da Hamas che hanno dato inizio all’attuale guerra, le conclusioni del tribunale sono state criticate per non aver affrontato adeguatamente i crimini di guerra del Viet Cong e del Vietnam del Nord contro i cittadini del Vietnam del Sud. Tuttavia, riconoscere le atrocità commesse dal Viet Cong e da Hamas non nega la necessità di definire con precisione cosa hanno fatto i militari statunitensi in Vietnam e cosa ha fatto l’esercito israeliano a Gaza.

Il Tribunale Russell ha spinto la discussione sul genocidio verso altre strade. Kuper ha sostenuto che i bombardamenti strategici, come le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki (nel 1945) e i bombardamenti alleati di Amburgo e Dresda (rispettivamente nel 1943 e nel 1945) potrebbero essere considerati atti di genocidio perché in ogni caso l’intenzione era quella di distruggere i civili. Anche se Israele non ha sganciato una bomba nucleare su Gaza (nonostante la proposta di farlo del ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu), le recenti azioni nella guerra di Gaza hanno violato barriere che Israele in precedenza era stato cauto a non oltrepassare.

Un’inchiesta di Yuval Abraham su +972 Magazine ad aprile [vedi Zeitun], in seguito corroborata da un’inchiesta separata del The Washington Post, ha rivelato che l’IDF stava usando l’intelligenza artificiale nei suoi bombardamenti a Gaza, causando danni maggiori a civili innocenti. Questa macchina ha creato bersagli praticamente infiniti. A volte la distruzione di interi quartieri e l’uccisione di 300 non combattenti sono stati approvati solo per colpire un leader di Hamas. Questa logica rende tutti i residenti di Gaza obiettivi legittimi. Infatti, secondo la meticolosa e impressionante raccolta di dati assemblata dallo storico Dr. Lee Mordechai sul suo sito web Witnessing the War [vedi Zeitun], si può stimare che tra il 60 e l’80 percento delle vittime a Gaza siano non combattenti, più di qualsiasi precedente rapporto tollerato dall’IDF e più che in qualsiasi altra guerra fino ad oggi nel 21° secolo. Di fatto, questa è la prova di una politica che consente l’esecuzione di un genocidio.

Tuttavia la difficoltà principale nel definire legalmente gli atti di omicidio di massa come genocidio è la necessità di provare l’intenzione. La Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948 richiede di dimostrare l’esistenza di un “intento di distruggere, in tutto o in parte,” il gruppo che è vittima della distruzione, che può essere una comunità nazionale, religiosa, etnica o razziale. La questione dell’intento è stata inclusa nella convenzione in parte a causa di un interesse reciproco degli Stati Uniti e dell’URSS, che, durante la Guerra fredda, temevano di potersi ritrovare sul banco degli imputati presso la Corte Internazionale di Giustizia per azioni violente che avevano commesso in passato o avrebbero potuto commettere in futuro. La Corte Internazionale di Giustizia è stata un fattore relativamente marginale nelle relazioni internazionali durante la guerra fredda. In effetti la prima volta che un tribunale penale internazionale ha condannato qualcuno accusato di aver commesso un genocidio è stato Jean-Paul Akayesu, che è stato condannato all’ergastolo nel settembre 1998 per la responsabilità del suo governo nel genocidio dei Tutsi in Ruanda nel 1994.

Le corti internazionali esercitano grande cautela prima di stabilire che si è verificato un genocidio. La corte d’appello che si è occupata del genocidio dei musulmani bosniaci a Srebrenica nel luglio 1995 da parte dei serbi bosniaci ha affrontato la questione della distruzione di una parte di un gruppo (come menzionato nella Convenzione delle Nazioni Unite) e ha stabilito che la parte deve essere distinta e definita e che la sua eliminazione deve mettere a repentaglio l’esistenza dell’intero gruppo. In due sentenze riguardanti la guerra nell’ex Jugoslavia la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che per provare “un intento di distruggere” le azioni e i comportamenti devono essere tali da non poter essere ragionevolmente interpretati in nessun altro modo. In altre parole, non è sufficiente che l’intento di distruggere sia l’interpretazione più plausibile delle azioni; deve essere dimostrato che non vi è altra interpretazione ragionevole.

Pertanto, in una sentenza del 2015 riguardante una causa intentata dalla Croazia contro la Serbia presso la Corte Internazionale di Giustizia, in cui si sosteneva che quest’ultima aveva commesso un genocidio nella guerra contro la Croazia negli anni ’90, la corte ha concluso che entrambe le parti avevano commesso atti di omicidio e violenza durante la guerra. Tuttavia questi non soddisfacevano la soglia richiesta per stabilire che si fosse verificato un genocidio. Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia si è astenuto dal definire qualsiasi caso di violenza in quella guerra come genocidio, ad eccezione del massacro di Srebrenica del luglio 1995, commesso dai serbi bosniaci contro i musulmani bosniaci, in cui furono uccisi 8.000 uomini, mentre donne e bambini furono sfollati.

L’intento può essere dimostrato nel caso di Gaza? A parte l’idea di usare armi atomiche, i politici israeliani, tra cui il primo ministro Benjamin Netanyahu, il presidente Isaac Herzog e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, e alti funzionari militari hanno rilasciato numerose dichiarazioni che indicano un intento genocida, tutte documentate: “Non ci sono innocenti a Gaza”; “Faremo una seconda Nakba”; “Dobbiamo distruggere Amalek” e altro ancora. Tuttavia, il concetto di intento, in generale, è molto problematico. William Schabas, uno dei principali giuristi esperti di genocidio, lo spiega nel suo importante libro “Genocide in International Law: The Crime of Crimes” (2000) (Il genocidio nel diritto internazionale: il crimine dei crimini) in cui analizza le decisioni dei tribunali internazionali speciali che hanno giudicato gli autori del genocidio in Ruanda e Jugoslavia.

La prova dell’intento richiesta per condannare una persona o uno Stato per genocidio, sostiene Schabas, è molto più impegnativa e complessa di quella necessaria in un normale processo per omicidio criminale. In particolare quando si tratta di uno Stato, cosa può essere considerato un’espressione dell’intento dello Stato? Se gli autori eseguono le loro azioni mentre rilasciano dichiarazioni, ordini, discorsi, ecc. che sono genocidari è più facile stabilire tale intento. In assenza di tali dichiarazioni, l’accusa deve basarsi sulle prove del crimine stesso e sulla determinazione con cui gli assassini hanno eseguito gli omicidi che devono riflettere un chiaro desiderio di distruggere il gruppo delle vittime. La corte che si è occupata del genocidio in Ruanda ha stabilito che l’intento genocida poteva essere dedotto dalle azioni stesse, “dalla loro natura di massa e/o sistematica o dalle loro atrocità”.

Nel contesto di Gaza, Schabas ritiene che il caso contro Israele per genocidio, che è stato depositato presso la Corte Internazionale di Giustizia dal Sudafrica, con altri 14 paesi in procinto di unirsi, sia solido, sia per le innumerevoli dichiarazioni genocidarie fatte dai decisori israeliani, sia per la natura delle azioni stesse. Queste includono il sistematico affamare la popolazione di Gaza, la massiccia distruzione delle infrastrutture, la pulizia etnica della Striscia settentrionale, il bombardamento di aree designate come “sicure” e altro ancora.

La maggior parte dei casi di genocidio in epoca moderna si è verificata dopo un conflitto violento e prolungato tra il gruppo che lo ha perpetrato e il gruppo delle vittime. Ad esempio, prima del genocidio degli armeni da parte degli ottomani, iniziato nel 1915, gli armeni si ribellarono alla tirannia ottomana e alla soppressione delle loro aspirazioni nazionali, impegnandosi in atti di terrore contro lo Stato già alla fine del XIX secolo. Il popolo Herero nell’Africa sudoccidentale (in quella che oggi è la Namibia) si ribellò al dominio imperiale tedesco (che, in risposta, quasi li sterminò) dopo aver messo in opera politiche che avevano cancellato i loro mezzi di sostentamento (mandrie di bovini). Gli hutu uccisero i tutsi in Ruanda nel 1994 dopo lunghi anni di conflitto che avevano avuto origine dai privilegi concessi dal dominio coloniale belga ai tutsi dopo la prima guerra mondiale. In questo contesto è essenziale notare che per la maggior parte gli atti di genocidio sono percepiti dai loro autori come atti di autodifesa contro le loro vittime. Il conflitto israelo-palestinese rientra senza dubbio in questa categoria: il genocidio a Gaza è visto dalla maggior parte degli israeliani come una guerra difensiva in seguito al terribile attacco di Hamas.

Il genocidio non deve conformarsi al paradigma nazista, che vedeva ogni ebreo come un nemico da sterminare. Il genocidio non è mai lineare e al suo interno esistono sempre processi contraddittori. Ad esempio mentre gli armeni venivano deportati e massacrati in vaste aree dell’Impero ottomano, in grandi città come Smirne e Istanbul furono coinvolti in maniera estremamente marginale. In alcuni casi Heinrich Himmler, l’architetto della Soluzione finale nazista, interruppe temporaneamente lo sterminio degli ebrei in luoghi o momenti specifici per considerazioni economiche o diplomatiche, il che consentì una stretta finestra di salvataggio. Allo stesso modo, Israele ha consentito l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza (che viene spesso sfruttato da Israele per promuovere bande criminali locali) uccidendo contemporaneamente civili innocenti.

Quasi sempre gli ordini di compiere omicidi di massa sono vaghi, sfuggenti e aperti all’interpretazione. Questo è stato anche il caso della soluzione finale dei tedeschi. Lo storico britannico Ian Kershaw, nel suo libro “Fateful Choices: Ten Decisions That Changed the World, 1940-1941” (2007) (Scelte fatali: dieci decisioni che hanno cambiato il mondo, 1940-1941), spiega che l’affermazione che ci fu una decisione di sterminare può essere fuorviante poiché può creare l’impressione che ci fu un momento specifico in cui fu dato un ordine esplicito di commettere un genocidio. Dal vertice della piramide (Adolf Hitler) alla base non fu emesso nessun ordine di sterminio; invece interazioni complesse che includevano luci verdi per intensificare misure violente, accenni di approvazione per atti omicidi e iniziative di base si combinarono per sommarsi in un’escalation progressiva. Solo in una fase successiva il processo si cristallizzò in una chiara risoluzione il cui impatto divenne visibile sul campo. Qui l’analogia con ciò che sta accadendo a Gaza è anche rilevante.

Yaniv Kubovich ha riportato su Haaretz a dicembre una testimonianza agghiacciante su quanto accaduto lungo il corridoio Netzarim a Gaza. Chiunque abbia oltrepassato una linea immaginaria in questa “zona di uccisione”, che si tratti di persone armate o di semplici civili che hanno sbagliato strada, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane. La violenza arbitraria regna in un luogo in cui chiunque può sparare a qualsiasi palestinese che passa e ogni vittima, persino un bambino, è considerata un terrorista, proprio come ogni persona giovane o anziana assassinata dalla Wehrmacht nei villaggi nel profondo dell’URSS durante la seconda guerra mondiale è stata definita un partigiano che meritava la morte. Nessuno ha dato ai soldati del corridoio Netzarim, che stanno uccidendo persone innocenti, un ordine esplicito di farlo. Ma coloro che lo fanno (e non sono certamente tutti i soldati) capiscono che non subiranno alcuna conseguenza. Una combinazione di suggerimenti dall’alto (da parte di politici e ufficiali militari, come il generale di brigata Yehuda Vach) e di illegalità omicida dal basso: ecco come viene portato a termine il genocidio.

Nel marzo 2022, parlando allo United States Holocaust Memorial Museum di Washington, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che gli Stati Uniti considerano le azioni del Myanmar contro i musulmani Rohingya del Paese come un genocidio. Blinken ha spiegato di aver scelto di fare questa dichiarazione all’Holocaust Museum perché le lezioni dell’Olocausto sono ancora rilevanti oggi. All’epoca, nessuno si scandalizzò del fatto che Blinken stesse banalizzando la Shoah, o che tali paragoni non dovessero essere fatti. Questo è stato l’ottavo caso riconosciuto dagli Stati Uniti come genocidio, oltre all’Olocausto. Gli altri casi sono il genocidio armeno, la carestia dell’Holodomor in Ucraina negli anni ’30; il genocidio dei Khmer Rossi in Cambogia negli anni ’70; i genocidi in Ruanda, Srebrenica e Darfur; e il genocidio compiuto dall’ISIS contro gli Yazidi un decennio fa in Iraq. Proprio di recente, il 9 gennaio, l’amministrazione Biden (sempre in una dichiarazione di Blinken) ha riconosciuto un decimo caso di genocidio: quello commesso dalla milizia Rapid Support Forces nella brutale guerra civile in corso in Sudan dalla caduta del presidente Omar al-Bashir nel 2019.

In Myanmar, a partire dal 2016, circa 850.000 Rohingya sono stati espulsi in Bangladesh e circa 9.000 sono stati assassinati. Ciò significa che non c’è stato uno sterminio fisico di tutti i Rohingya, ma solo di una piccola percentuale del gruppo. Attualmente una causa contro il Myanmar è in corso presso la Corte Internazionale di Giustizia. È stata presentata dal Gambia, a cui si sono uniti diversi altri paesi, tra cui Germania e Regno Unito. Le dichiarazioni dei funzionari del Myanmar sull’intenzione del Myanmar di sterminare i Rohingya sono deboli e incidentali rispetto al flusso di dichiarazioni genocidarie udite da tutti i corridoi della politica, della società, dei media e dell’esercito in Israele che esprimono un’estrema disumanizzazione dei palestinesi e un desiderio di un loro ampio sterminio. Il genocidio è qualsiasi azione che porti alla distruzione della capacità di un gruppo di esistere, non necessariamente al suo totale annientamento. Si stima che circa 47.000 persone siano state uccise a Gaza e oltre 110.000 ferite. Il numero di coloro che sono sepolti sotto le macerie potrebbe non essere mai conosciuto. La stragrande maggioranza delle vittime sono non combattenti. Secondo le Nazioni Unite, il 90% della popolazione di Gaza è stata sfollata dalle proprie case più volte e vive in condizioni subumane che non fanno che aumentare i livelli di mortalità. L’omicidio di bambini, la fame, la distruzione delle infrastrutture, tra cui quella del sistema sanitario, la distruzione della maggior parte delle case, tra cui la cancellazione di interi quartieri e città come Jabalya e Rafah, la pulizia etnica nella Striscia settentrionale, la distruzione di tutte le università di Gaza e della maggior parte delle istituzioni culturali e delle moschee, la distruzione delle infrastrutture governative e organizzative, le fosse comuni, la distruzione delle infrastrutture per la produzione alimentare locale e la distribuzione dell’acqua: tutto questo dipinge un quadro chiaro di genocidio. Gaza, come entità umana, nazionale-collettiva, non esiste più. Questo è esattamente come appare un genocidio.

Una volta finita la guerra noi israeliani dovremo guardarci allo specchio nel quale vedremo riflessa una società che non ha protetto i suoi cittadini dall’attacco omicida di Hamas e ha trascurato i suoi figli e figlie rapiti, ma ha anche commesso questo atto a Gaza, questo genocidio che macchierà la storia ebraica da ora in poi e per sempre. Dovremo affrontare la realtà e comprendere la profondità dell’orrore che abbiamo inflitto.

Ciò che sta accadendo a Gaza non è l’Olocausto. Lì non c’è Auschwitz e non c’è Treblinka. Tuttavia, è un crimine della stessa famiglia, un crimine di genocidio.

Il Prof. Daniel Blatman e il Prof. Amos Goldberg sono storici dell’Olocausto e degli studi sul genocidio presso l’Università Ebraica di Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti