Noam Yonai
4 marzo 2025 – Haaretz
* Nota redazionale: l’articolo che segue può suscitare nei lettori un moto di fastidio. É stato scritto da una ex-soldatessa che manifesta apprezzamento per il suo lavoro nei servizi dell’intelligence militare e che quindi ha contribuito al sistema di oppressione e di violenza messo in atto contro i palestinesi. Tuttavia riteniamo significativo che persino una persona che si dice apprezzata dal contesto militare e gratificata da quello che faceva abbia ciononostante deciso, pur in modo confuso e contraddittorio, di prendere le distanze dal massacro in corso.
Sono stata arruolata in una prestigiosa posizione nell’intelligence militare nel gennaio 2017. Avevo amici che si sono rifiutati di fare il servizio militare. Sebbene sapessi che avrebbe potuto essere un’alternativa, ho scelto di non percorrere quella strada. Pensavo che nell’esercito avrei imparato qualcosa sul sistema stesso e forse su come influenzarlo. Ero un ufficiale e alla fine ho prestato servizio per quasi cinque anni per poi andarmene senza rimpianti.
Tuttavia non ho fatto una vita da civile per molto. Il 7 ottobre, poco dopo aver finito la leva, mi sono offerta come volontaria riservista. Senza neanche rendermene conto ho fatto il militare per un anno e programmato di farlo ancora più a lungo. Era diventato il mio posto di lavoro e mi piaceva veramente. Sentivo un senso di appartenenza, ero accettata e apprezzata, ero brava in quel che facevo, sentivo che me la stavo cavando bene, che mi stavo facendo notare.
Ma un conflitto stava nascendo in me. Soffrivo di insonnia, incubi e sensi di colpa causati dall’essere nell’esercito in questo periodo. Al di fuori del contesto militare mi aggiravo con una vergogna che con il tempo è cresciuta. Ogni giorno mi chiedevo come fosse possibile voler così tanto fare un lavoro che sapevo parte della macchina da guerra che stava uccidendo decine di migliaia di palestinesi e causando sofferenze in tanti altri.
E così me ne sono andata. Tutto il mio corpo diceva di no, voleva che rimanessi per continuare come al solito e ignorare quello che stava succedendo. Non sono una grande attivista ma ci sono riuscita. Questo è ciò che ho scritto al mio comandante a settembre: “Dal 7 ottobre si è parlato molto dell’Olocausto. Lei ci ha parlato di sua nonna che urlava nel sonno, di come la sicurezza della nazione e del Paese fossero nel suo sangue. Voi siete persone intelligenti, ufficiali di alto grado di questa unità. Così mi sono chiesta come può essere che la lezione che lei ha imparato dall’Olocausto sia che dobbiamo continuare a combattere a Gaza? Com’è possibile che il presupposto fondamentale che la guida è che dovremo vivere per sempre con la spada?”
Dall’Olocausto io ho imparato lezioni diverse. Una è quella di non essere mai un ingranaggio nel sistema. La seconda è non stare mai inerti di fronte alle sofferenze di persone innocenti. Pensavo che queste fossero le lezioni che i miei maestri a scuola, i miei genitori e i miei istruttori del movimento giovanile si aspettavano che imparassi. Forse mi sono sbagliata e forse volevano che arrivassi alla triste e sconfortante conclusione che la guerra è eterna. Mi rifiuto di crederlo. Mi rifiuto di restare a guardare passivamente le decine di migliaia di uomini e donne che sono state uccise a Gaza, gli attacchi aerei senza limiti e le operazioni che hanno messo in pericolo i miei migliori amici.
Anche se avrei veramente voluto esserlo, mi rifiuto di rappresentare un ingranaggio nel sistema della difesa israeliana. Lei potrebbe dire che io sono pazza ma io direi che ultimamente sembra più che lo siano tutti gli altri.
Quando mi sono arruolata mi sono chiusa in me stessa, dedicandomi alla routine quotidiana, con la sua carica di adrenalina, senza ritenermi responsabile, accettando e riconoscendo la mia colpa. Quando mi sono congedata ho provato un danno morale, come se l’apatia fosse svanita.
A posteriori penso che molti di coloro che ho incontrato durante il mio servizio militare fossero così… dimentichi di loro stessi e delle proprie coscienze. Ma, e se non lo fossimo stati? E se tutti noi fossimo stati attenti alle nostre emozioni? E se fossimo stati esposti ad altri media e immagini da Gaza? E se avessimo guardato meglio? Forse la realtà ci sarebbe sembrata diversa?
Io non so quante persone si sono comportate così. Mi fa pensare che forse è così che si possono cambiare le cose. Forse è un’alternativa che deve essere ancora presa in esame, un modo nuovo che potrebbe aprire nuovi canali dentro di noi… forse è così che si può porre fine alla guerra. Mi sono chiesta se comportarmi così mentre ero nell’esercito potesse essere efficace. Per ora la mia risposta è no. Cambiare le cose da dentro il sistema non è un’alternativa nelle attuali circostanze.”
In seguito ho parlato con quel comandante per ore. Ha veramente cercato di capire e anche se non sono riuscita a spiegarmi, ho detto che, dato che nella presente situazione contribuire significava sostenere le politiche attuali, ciò non mi andava bene. Sono troppo sensibile.
Mi sono poi resa conto che non aveva quasi importanza se pensavamo che fosse giusto o sbagliato. Nelle nostre vite facciamo quello che è giusto per noi, quello che possiamo fare e continuare a dormire sonni tranquilli. Io so quello che è giusto non perché ho fatto un’analisi intellettuale. So quello che è giusto con l’intuizione e se l’ascolto e le fornisco informazioni da elaborare, mi urla quello che devo fare.
La vita dopo il servizio militare fa paura. Sono passati 3 mesi e mi sento ancora come chi ha lasciato il mondo ortodosso e ha perso il legame con dio. Questa è la mia piccola lotta nel nostro mondo al contrario. Fa male, è difficile, devo guardarmi in faccia ogni mattina e capisco perché molte altre donne non hanno fatto la scelta che ho fatto io. Ma vi consiglio di “conoscere voi stessi,” nutrire la vostra intuizione e ascoltarla. È potente e vera e significa una vita vera, non la quasi-vita in cui sono stata immersa per così tanto tempo.
Vorrei che la guerra finisse, che tutti gli ostaggi tornassero e che potessimo leccarci le ferite, non più grattarcele. Spero che diventi sicuro e bello vivere qua, che si possa semplicemente vivere le nostre piccole vite, leggere un libro, portare a spasso il cane nel bosco e mangiare qualcosa di buono.
(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)