Awad Abdelfattah
28 marzo 2025 – Middle East Monitor
I lineamenti del conflitto coloniale in Palestina e la direzione nella quale sta andando sono diventati più evidenti che mai, configurando un chiaro ed esplicito piano genocidario e di sterminio. Gli assassini proseguono con i loro massacri senza ritegno, controllo morale o alcun riguardo per le istituzioni giuridiche internazionali e senza preoccuparsi delle conseguenze che avrà per loro in futuro.
È un’ironia il fatto che quando queste caratteristiche non erano ancora così evidenti e le notizie dei crimini erano meno diffuse a livello internazionale sia tra le istituzioni che tra la pubblica opinione, vi era ancora un certo limite alla brutalità. Oggi invece, nonostante l’evidente natura del crimine e la sua barbarie senza precedenti, esso ha il supporto e la legittimazione dell’impero americano e della maggior parte dei regimi occidentali, nel silenzio e nell’indifferenza delle grandi potenze orientali. Ciò provoca terrore non solo a questa parte del mondo, ma a tutti i popoli.
Siamo di fronte ad una realtà in cui è in atto un processo di normalizzazione del genocidio e di giudaizzazione della Palestina. Viene avanzato un piano di deportazione in negoziati con regimi arabi che da tempo sono caduti nella palude della dipendenza e della vergogna. L’amministrazione imperiale americana cerca di attuare il piano e di imporre la normalizzazione ai regimi arabi come via per porre fine alla causa palestinese e stabilire un controllo diretto israeliano sulla regione. Questo viene ottenuto col normalizzare le relazioni tra il regime criminale israeliano e il regno dell’Arabia Saudita, che finora appare riluttante, proponendo ancora una volta la soluzione dei due Stati. Tuttavia riproporre tale soluzione senza definire in che cosa essa consisterà, compresi i confini dello Stato e la sua sovranità, significa sostanzialmente normalizzare le relazioni con il regime di apartheid, il progetto coloniale e gli sforzi per portare a compimento la giudaizzazione della Palestina.
Tramite la lobby sionista americana Israele trova nelle attuali circostanze internazionali una storica opportunità per risolvere il conflitto una volta per tutte a vantaggio del suo progetto, che si estende oltre la Palestina fino al Libano, alla Siria e al resto della regione araba. Le persone sensate con una formazione storica sanno che attuare il suo progetto strategico, che consiste nel seppellire la causa palestinese e risolvere il conflitto attraverso l’emarginazione politica o fisica del popolo palestinese, è impossibile. Il popolo palestinese non è la Germania o il Giappone durante la seconda guerra mondiale, come afferma la propaganda sionista. Questi due Paesi erano sotto regimi nazista e fascista nel primo caso, ed espansionista, coloniale e militarista nel secondo caso. La Palestina invece è una terra usurpata, in cui è nato un movimento di liberazione nazionale, che resiste e persegue l’indipendenza e la libertà, come avviene nella maggior parte dei Paesi colonizzati. La Palestina non ha invaso una potenza straniera ed il suo popolo non ha aggredito un’altra nazione.
Al contrario, la terra e il popolo sono stati, e continuano ad essere, vittime della barbara aggressione di un’alleanza coloniale occidentale-sionista. Prima e dopo la Nakba del 1948, soprattutto negli anni ’60 del 1900, questo movimento nazionale si offrì di accettare la presenza di ebrei europei in Palestina e la coesistenza in un unico Stato e questo movimento palestinese fece una concessione, senza precedenti in qualunque movimento di liberazione nazionale nella storia moderna, accettando l’ingiusta “soluzione dei due Stati” e firmò un accordo preliminare, gli Accordi di Oslo del 1993, sperando di ottenere uno Stato indipendente sul 22% della sua patria. Questo movimento nazionale ed il suo popolo hanno pagato e continuano a pagare un caro prezzo per essere caduti in questa illusione mortale. Ciò ha rivelato la natura del progetto sionista che non può tollerare la richiesta di pace e giustizia, poiché la sua struttura e ideologia sono fondate sull’assoluta negazione dell’altro, non sulla coesistenza con esso su un piano di parità.
Nessuno avrebbe potuto immaginare, in quest’epoca, che la discussione non avrebbe riguardato come rinnovare gli sforzi per arrivare alla pace e risolvere un lungo e vasto conflitto con una soluzione giusta, ma piuttosto quali strumenti usare per fare pulizia etnica di un popolo indigeno: vuoi attraverso una migrazione volontaria, vuoi continuando a spargere sangue e eliminare il maggior numero possibile di palestinesi. Così l’occidente ci ha riportati a quelle epoche oscure in cui ha spazzato via intere nazioni dalla faccia della terra per acquisire e ottenere ricchezza.
In questa fase violenta del conflitto il popolo palestinese ha fatto sacrifici astronomici ed ha subito gravi perdite che, agli occhi della maggioranza, sono il prezzo per ottenere la libertà. Questa libertà non può arrivare adesso, ma un giorno arriverà. Comunque questa questione deve essere oggetto di una sincera discussione e revisione, specialmente su come gestire il conflitto con il colonialismo, su quali costi il popolo può sopportare e, cosa più importante di tutte, su come affrontare la fase attuale e quelle future, con quali strumenti e strategie. Non c’è dubbio che il popolo palestinese e il suo movimento nazionale abbiano urgente bisogno di un radicale ripensamento della questione.
Stante il fatto che le speranze di raggiungere una liberazione anche parziale si stanno affievolendo, il popolo palestinese si trova ad un punto di svolta storico significativo e molto pericoloso. La sua priorità è diventata porre fine al genocidio prima di riprendere la strada della liberazione. Tuttavia questa catastrofe è esacerbata dal fatto che non vi è niente all’orizzonte per la sua salvezza se non la propria risolutezza nel sopportare questa fase del conflitto. L’aspetto più pericoloso è l’impossibilità di raggiungere l’unità dei palestinesi e un accordo su una leadership unita e responsabile che sia all’altezza dei sacrifici del suo popolo. Non realizzare questa missione resta una ferita profonda nella coscienza palestinese.
Perciò le priorità e i compiti del popolo palestinese, vista la diminuzione della sua influenza [sullo scenario mondiale, ndt.], restano imperniati sul mettere pressione per fermare il genocidio e proseguire negli sforzi e iniziative nazionali indipendenti per creare una forza popolare di pressione e mobilitare le masse, di concerto con i movimenti delle generazioni palestinesi all’estero e col movimento popolare mondiale che esemplifichi l’intersezionalità della lotta.
E’ diventato chiaro che non c’è soluzione all’orizzonte, neanche sul medio termine, a meno che intervengano improvvisi sviluppi che ribaltino gli equilibri. Vi saranno molti anni in cui il progetto israeliano prevarrà, grazie alla forza militare, al supporto dell’impero americano e all’assenza degli arabi e dei musulmani dal processo. Perciò il compito principale di affrontare questo progetto di sterminio pesa sulle spalle della forza popolare palestinese, sia dentro che fuori la Palestina, e sui suoi alleati, il cui numero è cresciuto e la cui consapevolezza della realtà del sistema criminale globale è anch’essa cresciuta.
Data questa brutalità e l’assenza di un supporto per il popolo palestinese, soprattutto da parte degli arabi, diviene più evidente l’importanza degli sforzi, della perseveranza e della determinazione delle forze libere professionali e politiche, sia palestinesi che internazionali, per impedire la normalizzazione del genocidio in Palestina. Questo deve accadere, per quanto brutali siano gli assassini, per quanto gli attivisti nel mondo, o i funzionari delle istituzioni internazionali, siano perseguitati, vilipesi e minacciati. Questi sforzi servono ad accumulare prove che valgano come strumenti per mettere all’angolo gli assassini e i loro complici in una lunga battaglia per ristabilire l’umanità e la giustizia. Il giorno in cui la battaglia si placherà e si svelerà la portata degli orribili crimini sta arrivando e Israele e i suoi leader verranno continuamente perseguiti fino a che si ottengano giustizia e punizione.
Questo articolo è apparso in arabo su Arab48 il 25 marzo 2025
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.
(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)Inizio modulo