Biden avrebbe dovuto rinunciare a causa di Gaza, ma la sua uscita di scena potrebbe essere un punto di svolta

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Prem Thakker

21 luglio 2024 – The Intercept

Kamala Harris è meno gravata dal disastroso appoggio di Biden alla guerra di Israele, suscitando qualche speranza nei sostenitori dei palestinesi.

Domenica, alla vigilia della visita del primo ministro Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden ha annunciato che non correrà per la rielezione nel 2024.

Mentre l’annuncio potrebbe aver dissipato le preoccupazioni generali che circondavano la capacità di governare del candidato democratico, soprattutto rispetto al candidato repubblicano Donald Trump, aleggia ancora in modo consistente sulla campagna elettorale la questione che ha provocato proteste di massa contro il candidato democratico: il sostegno pressoché incondizionato di Biden alla guerra di Israele contro Gaza.

Durante tutti i bombardamenti israeliani contro Gaza Biden ha tenuto un atteggiamento sostanzialmente deferente e solidale. Ora alcuni vedono la sua rinuncia come una possibilità per rivedere la politica USA verso Israele.

L’ex-incaricato politico di Biden per il ministero dell’Educazione Tariq Habash, che ha dato le dimissioni a gennaio per protesta contro la politica di Biden nella guerra di Gaza, nota che una parte significativa della base è già disillusa da Biden a causa della sua ritrosia nell’applicare le leggi statunitensi e nel chiamare Israele a rispondere delle violazioni delle leggi umanitarie internazionali. La decisione di Biden giunge anche solo due giorni dopo che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione israeliana della Palestina rappresenta una forma illegittima di apartheid.

“Chiunque sostituisca il presidente nella candidatura deve dimostrare agli elettori che ci sarà un sostanziale cambiamento di politica che ponga fine alla disumanizzazione dei palestinesi e sostenga i diritti umani dei palestinesi, le leggi internazionali e la pace,” ha detto Habash.

“Ovviamente sia i democratici che i repubblicani devono percorrere un lungo cammino,” ha aggiunto. “La visita di Netanyahu questa settimana è emblematica di questo, come lo è il rifiuto del presidente Biden di attenersi alla sua linea rossa, di applicare la [legge] Leahy [legge che proibisce di fornire assistenza a Stati che violano i diritti umani, ndtr.] o quella sull’Assistenza all’Estero [che vieta di fornire assistenza a Paesi che violano i diritti umani, ndt.], di raggiungere un cessate il fuoco permanente o il ritorno degli ostaggi palestinesi e israeliani.”

Molti critici hanno notato che la posizione di Biden sulla guerra di Israele ha rivelato segnali preoccupanti sulla sua capacità di governo e duttilità molto prima del fatidico dibattito [con Donald Trump] di giugno.”

“Non è stato il fallimento del dibattito di Biden a mostrare che non è adatto a governare. Sono state le decine di migliaia di bombe che ha spedito per uccidere le famiglie palestinesi,” ha affermato in un comunicato la U.S. Campaign for Palestinian Rights [Campagna USA per i Diritti dei Palestinesi]. “Il rifiuto di Biden di rispettare le leggi internazionali o di applicare le leggi USA ha aggravato l’illegale occupazione militare israeliana. Venerdì l’ultimo parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia ha affermato che ogni Stato ha l’obbligo legale ‘di non fornire aiuto o assistenza alla perpetuazione della situazione creata dal rifiuto israeliano di rispettare i diritti dei palestinesi.”

Riley Livermore, maggiore dell’aeronautica militare, che quando ha dato le dimissioni a giugno ha affermato che l’amministrazione Biden “è complice di genocidio”, sostiene che, indipendentemente da chi sostituirà Biden, l’attuale contingenza presenta la possibilità di un punto di svolta nella politica statunitense riguardo alla guerra di Israele.

“Ciò detto, Biden non si è ritirato a causa delle pressioni su quanto è stata brutale la sua politica a Gaza. Dal mio punto di vista il genocidio in corso a Gaza ha avuto un impatto da minimo a nullo sulle pressioni perché rinunciasse. Sono ancora sconfortato dal fatto che al partito Democratico non importi dei palestinesi e continui ad offrire un sostegno incondizionato a Israele,” dice Livermore a The Intercept, ripetendo di aver dato le dimissioni a causa delle politiche di Biden su Gaza, non per la sua età.

Un importante consigliere democratico ha detto a The Intercept di essere stato molto preoccupato del procedimento affrettato per rimpiazzare il candidato, e che questo non ha avuto molto a che fare riguardo a come il sostegno di Biden a una guerra che a Gaza ha ucciso 15.000 minori possa aver irreparabilmente danneggiato le sue possibilità tra segmenti fondamentali dell’elettorato: “Il Paese ha bisogno di ascoltare un candidato contrario alla guerra che veda i palestinesi come esseri umani,” afferma. “È importante che il nostro prossimo candidato sia scelto attraverso un processo democratico in una convention aperta.”

Biden, molti rappresentanti eletti e assemblee di partito hanno già reso noto il loro sostegno alla vicepresidente Kamala Harris perché guidi il binomio democratico a novembre. E ci sono stati segnali che lei potrebbe allontanarsi dal sostegno incondizionato di Biden alla campagna militare israeliana a Gaza.

Alla fine dello scorso anno Harris avrebbe sollecitato la Casa Bianca ad essere più sensibile verso le sofferenze dei palestinesi e più decisa contro Netanyahu per cercare una pace a lungo termine. A marzo a Selma, Alabama, Harris ha fatto un discorso chiedendo con forza un “immediato cessate il fuoco” e sollecitando Israele a fare di più per incrementare il flusso di aiuti a Gaza. “Non ci sono scusanti,” ha insistito. Mentre sembrava che il discorso segnasse un cambiamento nella posizione dell’amministrazione sulla guerra, sono emerse alcune informazioni secondo cui funzionari del Consiglio per la Sicurezza Nazionale avevano edulcorato parti del suo intervento.

“Dobbiamo avere un obiettivo su cui iniziare a lavorare subito, per la pace e misure di sicurezza uguali per israeliani e palestinesi.” In seguito, sempre a marzo, Harris ha detto: “I palestinesi hanno il diritto all’autodeterminazione, alla dignità e dovremmo lavorare su questo.”

Queste notizie non sono passate inosservate alle persone che sperano in un cambiamento nella politica USA.

Livermore dice di essere fiducioso che se Harris diventerà il prossimo presidente coglierà l’opportunità per cambiare drasticamente la posizione statunitense verso Israele. “Harris ha l’alternativa tra ascoltare la sua umanità e la volontà della stragrande maggioranza del popolo americano o dare retta ai donatori e a particolari gruppi di interesse, continuando a rendere il genocidio parte del suo programma e così facendo a delegittimare gli Stati Uniti sul piano internazionale.”

“Dirigenti come me ed altri leader religiosi afroamericani che hanno firmato lettere aperte per fare pressione su Biden affinché chieda un cessate il fuoco permanente a Gaza pensano che, se candidata, Harris sarebbe molto più solidale con la causa palestinese,” ha affermato in una dichiarazione il reverendo Michael McBride, pastore e fondatore del Black Church PAC [Comitato delle Chiese Afroamericane]. “Ciò potrebbe contribuire a rivitalizzare una parte della base decisamente dubbiosa sul voto a Biden.”

Anche Waleed Shahid, cofondatore del Uncommitted National Movement [Movimento Nazionale Non Impegnato], che ha raccolto oltre 700.000 persone in tutto il Paese che hanno espresso voti di protesta contro l’appoggio incondizionato di Biden a Israele, ha notato una maggiore disponibilità dei dissenzienti nei confronti di Harris.

“Anche se non è affatto un’esponente della causa [palestinese], ho sentito molte persone notare che la vicepresidente Harris ha manifestato una reazione emotiva profondamente diversa verso le storie delle sofferenze dei palestinesi rispetto al presidente Biden,” ha affermato in una dichiarazione. “Mentre la vicepresidenza ha poteri limitati, molti ritengono che lei rappresenterebbe un miglioramento rispetto alla gravissima mancanza di empatia di Biden per i palestinesi e ai suoi legami con la vecchia guardia dell’AIPAC [principale associazione della lobby filo-israeliana negli USA, ndt.] all’interno del partito. Tuttavia scontrarsi con il potere dell’AIPAC nell’establishment del partito Democratico rimane un arduo compito indipendentemente da chi sia il candidato.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)