Cosa vogliono i palestinesi dalla comunità internazionale?

foto di BRENDAN SMIALOWSKI/AFP
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Haidar Eid

21 novembre 2018, Middle East Monitor

Due giorni prima dell’attacco criminale di Israele nella Striscia di Gaza avevo scritto un articolo in cui cercavo di spiegare esattamente cosa vogliono i palestinesi, in particolare quelli di Gaza, dalla comunità internazionale. Ho sostenuto che mentre intraprendiamo il nostro lungo cammino verso la libertà, siamo giunti alla conclusione che non possiamo più fare affidamento sui governi; che solo la società civile è in grado di mobilitarsi per l’applicazione del diritto internazionale e per la fine dell’inaudita impunità israeliana.

Ci ispiriamo al movimento anti-apartheid. La mobilitazione della società civile è stata efficace alla fine degli anni ’80 contro il regime di apartheid del Sudafrica bianco, e può fare la stessa cosa a sostegno di una giusta pace in Palestina. Niente può davvero costringere Israele a rispettare il diritto internazionale tranne le persone di coscienza e la società civile.

Affermavo anche che senza l’intervento della comunità internazionale, che è stata efficace contro l’apartheid in Sudafrica, Israele continuerà a perpetrare i suoi crimini di guerra e contro l’umanità. Questo è esattamente ciò che è successo solo due giorni dopo quell’articolo, quando l’apartheid israeliano ha lanciato un massiccio attacco violando – come nel 2009, 2012 e 2014 – un cessate il fuoco non dichiarato con i gruppi di resistenza palestinesi a Gaza, mediato dall’Egitto.

In effetti, a Gaza non ci interessa più la sterile opposizione al processo di normalizzazione avviato dal trattato di Camp David e dagli accordi di Oslo, e consolidato dagli Sceicchi del Golfo. Piuttosto, siamo interessati a elaborare il tipo di reazione che potrebbe effettivamente sconfiggere i diversi livelli del sistema di oppressione sionista: occupazione, pulizia etnica e apartheid. Nel momento in cui la comunità internazionale – società civile e governi – deciderà di agire così come ha fatto contro il sistema di apartheid in Sudafrica, Israele dovrà rimettersi alla voce della ragione – rappresentata dall’appello del 2005 per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS ), sostenuto da oltre 170 organizzazioni della società civile e approvato da quasi tutte le forze politiche influenti nella Palestina storica e nella diaspora.

La domanda urgente, quindi, è quanto a lungo il mondo tollererà il palese razzismo costituzionale di Israele? Sappiamo per certo che ci sono voluti trent’anni perché la comunità internazionale ascoltasse la chiamata dei popoli oppressi del Sud Africa. Quanto tempo dovranno aspettare i popoli oppressi della Palestina?

I recenti successi del BDS sono ciò che chiediamo dal 2005. Per i palestinesi nella Striscia di Gaza è difficile capire come, nonostante la politica di pulizia etnica di Israele e gli ultimi crimini di guerra commessi contro di noi, nonostante i crimini di guerra continuamente documentati da importanti organizzazioni per i diritti umani, e nonostante la colonizzazione israeliana e l’apartheid, per alcune onorate società e istituzioni internazionali gli affari con Israele rimangano normali “as usual”.

Non è chiarissimo a quelle società, dopo tutti questi anni e dopo le migliaia di rapporti da parte delle principali organizzazioni per i diritti umani, che a milioni di palestinesi vengono negati i diritti fondamentali all’istruzione, alla libera circolazione, al lavoro e alle prestazioni sanitarie? Siamo privati di una vita normale a causa degli oltre 600 posti di blocco militari israeliani nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme, dell’assedio medievale di Gaza e della discriminazione ufficiale dell’apartheid verso i cittadini palestinesi nella stessa Israele. Per dirla senza mezzi termini, siamo discriminati perché non siamo ebrei, così come i neri sudafricani venivano discriminati semplicemente perché non erano bianchi

La tendenza sta cambiando: Israele sta perdendo su due fronti di guerra

Nelle carceri israeliane sono detenuti migliaia di palestinesi condannati da tribunali militari; centinaia di loro sono detenuti senza accusa né processo. Tutte le attendibili organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno riferito dettagliatamente in che modo le forze israeliane prendano di mira deliberatamente studenti e istituzioni educative palestinesi, incluse le scuole gestite dall’ONU. Gli studiosi e i ricercatori non dovrebbero essere avvezzi a maneggiare tali rapporti?

Consideriamo nostro diritto aspettarci che le persone di coscienza si uniscano a noi nella lotta contro l’apartheid di Israele, boicottando il regime razzista e militarizzato e le istituzioni che lo fanno prosperare. I palestinesi sono un popolo oppresso senza Stato. Sempre di più facciamo affidamento sul diritto internazionale e sulla solidarietà, per la nostra stessa sopravvivenza.

Ciò che vogliamo, quindi, è l’applicazione del diritto internazionale per porre fine all’occupazione militare israeliana nelle terre arabe occupate nel 1967, per combattere la colonizzazione e l’apartheid di Israele sancite dalle leggi contro la popolazione indigena della Palestina dal 1948, e per consentire il ritorno legittimo dei rifugiati palestinesi vittime di una pulizia etnica quando nelle loro terre fu creato Israele. È una richiesta di por fine allo Stato di Israele? Il boicottaggio dell’apartheid significava porre fine al Sud Africa come nazione, o porre fine alle peggiori forme di razzismo di Stato?

Israele è uno Stato di insediamento coloniale e di apartheid, e gli strumenti usati contro l’apartheid in Sudafrica possono essere modello per la nostra lotta contro l’apartheid di Israele. Trasformare Israele da Stato etno-religioso e di apartheid in un’istituzione autenticamente democratica dovrebbe essere l’obiettivo di ogni persona che crede nella democrazia liberale.

Con le pressioni della comunità internazionale, attraverso una campagna BDS sul modello della Campagna contro l’Apartheid che ha posto fine al razzismo in Sud Africa, crediamo che si possa convincere Israele a liberarsi delle sue strutture di oppressione. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è un embargo sulle armi a Israele per fermare il continuo spargimento di sangue a Gaza.

La campagna BDS tende a ripristinare i diritti democratici del popolo palestinese. Crediamo che le lotte del popolo palestinese nella stessa Israele, nei territori occupati dal 1967 – la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est – così come nella Diaspora siano una cosa sola. Questo è il motivo per cui crediamo che un approccio alternativo basato sui diritti, anziché sull’apparente “pace” di Oslo basata sulla normalizzazione, possa rappresentare per tutti i palestinesi una soluzione che garantisce la pace con giustizia, vale a dire con il diritto al ritorno e all’uguaglianza.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione di Luciana Galliano)