Alcune riflessioni sulla decisione della Corte Penale Internazionale riguardante la sua giurisdizione territoriale in Palestina

La sede della Corte Penale Internazionale. (ENFOQUE DERECHO)
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François Dubuisson

6 febbraio 2021 – Mondoweiss

La decisione della CPI di indagare sui crimini di guerra in Palestina ha un enorme significato simbolico e, date le recenti denunce, prenderà probabilmente in considerazione il crimine di apartheid.

È eufemistico affermare che la decisione della Camera di prima istanza della Corte penale internazionale sull’apertura di un’indagine riguardante la situazione della Palestina fosse attesa, dato che, da quando nel 2009 è stato fatto il primo tentativo, l’iter per portare davanti alla CPI l’indagine sui crimini internazionali commessi in territorio palestinese nel contesto dell’occupazione israeliana è stato lungo e tumultuoso. Nella sua decisione del 5 febbraio il giudice del dibattimento preliminare ha confermato la posizione dell’Ufficio del Procuratore, esposta nel documento a lui trasmesso nel dicembre 2019, secondo cui la Corte ha giurisdizione per indagare su tutti i crimini commessi in tutti i Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme est.

Nella sua decisione la Camera ha adottato un approccio cauto per limitare la portata del suo ragionamento al quadro specifico dello Statuto di Roma e della competenza della Corte, senza influenzare l’esito più ampio della controversia tra Palestina e Israele. Tuttavia, il significato simbolico di questa decisione va al di là del quadro relativo esclusivamente alla Corte penale internazionale.

La Camera ha stabilito per la prima volta che la Palestina debba essere considerata uno “Stato contraente dello Statuto di Roma”, a seguito del riconoscimento, nel 2012, attraverso l’adozione della Risoluzione 67/19, di uno “status di Stato osservatore non membro presso le Nazioni Unite”. In quanto Stato membro la Palestina può quindi fare appello alla giurisdizione della CPI, in particolare alla sua giurisdizione territoriale, e può anche presentare un deferimento all’Ufficio del Procuratore, cosa che ha fatto nel 2018. Il secondo punto cruciale è stato determinare l’estensione precisa dei territori sui quali la Corte può esercitare la propria giurisdizione penale. Secondo lo Statuto di Roma, la Corte può esercitare la giurisdizione sui crimini commessi nel territorio di uno Stato contraente. Nel caso specifico la questione era determinare la precisa estensione del territorio della Palestina, tenendo conto dell’occupazione israeliana e dell’annessione di Gerusalemme est. Al riguardo sono state sollevate varie obiezioni dinanzi alla Camera, osservando che non dovesse spettare alla CPI determinare i confini dello Stato palestinese, che restano oggetto di contenzioso da parte di Israele, e che persistessero troppe incertezze al riguardo. Ancora una volta, la Camera è stata cauta nell’indicare che avrebbe dovuto solo determinare il quadro relativo alla giurisdizione penale territoriale nel contesto dello Statuto di Roma, e non indicare i confini tra Palestina e Israele. Al fine di stabilire che il territorio della Palestina su cui la Corte ha giurisdizione comprende tutti i territori palestinesi occupati, la Camera si è basata principalmente sul diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, come stabilito in numerose risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In particolare, la Camera ha fatto riferimento alla risoluzione 67/19 che concede alla Palestina lo status di Paese osservatore, il che “riafferma il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza del proprio Stato di Palestina nel territorio palestinese occupato dal 1967″. Infine, la Camera ha ritenuto che gli Accordi di Oslo, che escludono i cittadini israeliani dalla giurisdizione penale dell’Autorità Nazionale Palestinese, non avessero effetti sulla determinazione della giurisdizione territoriale della Corte.

La Camera ha quindi convalidato la giurisdizione della Corte nella massima misura possibile, senza restrizioni territoriali, il che consentirà all’Ufficio del Procuratore di condurre le proprie indagini su tutti i crimini commessi dal giugno 2014 sul territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est. Quali saranno le esatte conseguenze della decisione della Camera riguardo il procedimento dinanzi alla CPI ma anche, più in generale, nel contesto del conflitto israelo-palestinese?

L’Ufficio del Procuratore (OTP) potrà ora aprire formalmente un’indagine per stabilire le responsabilità penali individuali per i crimini previsti dallo Statuto (in particolare crimini di guerra e crimini contro l’umanità). Finora l’OTP ha identificato quattro categorie principali di crimini di guerra che intende indagare: crimini commessi da Hamas e altre organizzazioni palestinesi nel contesto della guerra di Gaza del 2014 (Operazione “Margine Protettivo”), consistenti principalmente nel lancio di missili sulla popolazione civile israeliana; crimini commessi nello stesso contesto dall’esercito israeliano, consistenti principalmente nel prendere di mira e uccidere civili palestinesi e nella distruzione di edifici civili; crimini commessi dall’esercito israeliano nel contesto della “Grande Marcia del Ritorno” del 2018 a Gaza, durante la quale i soldati hanno aperto il fuoco e ucciso circa 200 civili palestinesi e ferito molti altri; crimini commessi nel contesto della politica di colonizzazione del territorio palestinese, in particolare l’insediamento della popolazione civile ebraica israeliana.

L’Ufficio del Procuratore ha rilevato che nel corso delle indagini questi diversi fatti potrebbero essere integrati da altri. In effetti, sono stati identificati solo i crimini di guerra, mentre molti rapporti internazionali si riferiscono a crimini contro l’umanità, specialmente se si considera la politica di occupazione israeliana nel suo insieme. A questo proposito, si dovrà probabilmente prendere in considerazione l’esame del crimine di apartheid, in particolare alla luce dei recenti rapporti delle associazioni israeliane Yesh Din e B’Tselem [ONG impegnate nella testimonianza delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi nei territori occupati, ndtr.], che hanno stabilito l’esistenza di un crimine di apartheid imputabile all’autorità israeliana, tenendo conto di tutte le caratteristiche della politica di occupazione, che discrimina sistematicamente tra i coloni israeliani e la popolazione palestinese.

Il compito dell’Ufficio del Procuratore sarà ora quello di indagare in modo più accurato sui fatti più gravi e identificare le persone responsabili, nei cui confronti dovrebbe essere tenuto un processo. Da questo punto di vista la situazione sarà diversa per i sospetti palestinesi e israeliani. Per i primi, la Corte può fare affidamento sull’obbligo di cooperazione incombente sulla Palestina in quanto Stato contraente dello Statuto, che riguarderà sia l’indagine sui fatti che il possibile arresto delle persone nei cui confronti fossero mosse delle accuse. Per i crimini che coinvolgono funzionari israeliani, la situazione sarà più complicata, poiché Israele rifiuterà la cooperazione e ostacolerà l’accesso degli investigatori al territorio sia israeliano che palestinese. L’indagine dovrà quindi basarsi principalmente su informazioni fornite da altre fonti e da rapporti internazionali esistenti. Sarà anche estremamente difficile ottenere l’arresto di israeliani sospettati. Tuttavia, per gli aspetti più evidenti dei crimini commessi da governanti israeliani, come la politica di insediamento portata avanti in modo molto ufficiale, attraverso canali decisionali abbastanza facilmente identificabili, la determinazione della responsabilità penale individuale sarà normalmente più facile e potrà essere fatta risalire ai massimi livelli dello Stato. Anche se lo svolgimento di un processo all’Aia contro governanti israeliani potrebbe rivelarsi molto ipotetico, il semplice atto d’accusa o l’emissione di un mandato di arresto contro alti responsabili militari o politici israeliani avrebbe già una grande forza simbolica, probabilmente in grado di stabilire un certo grado di pressione sugli Stati occidentali, alleati dello Stato di Israele.

Sebbene la Camera sia stata attenta a limitare la portata della sua decisione al quadro rigoroso della Corte penale internazionale, è necessario notare che la posizione giuridica della Palestina sulla scena internazionale viene di conseguenza rafforzata. In primo luogo, la Palestina deve effettivamente essere considerata come uno Stato per tutti i procedimenti legali che è probabile che intraprenda davanti alla Corte Penale Internazionale o altrove (come i procedimenti pendenti dinanzi alla Corte internazionale di giustizia relativi al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme). In secondo luogo, e ancora più fondamentale, si riconosce che il diritto del popolo palestinese a uno Stato si applica a tutti i territori occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est. Sebbene la Camera abbia formalmente sottolineato che si stesse pronunciando solo sulla giurisdizione penale della Corte, in realtà la sua decisione si riferisce alla sostanza del diritto all’autodeterminazione e al quadro territoriale entro il quale debba essere esercitato. Viene quindi riconosciuto che i palestinesi “hanno diritto” a tutti i territori occupati al di là della linea verde [confine dello Stato di Israele dal 1949, sulla base degli accordi dell’armistizio tra Israele e Stati arabi, fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, ndtr.] e che le rivendicazioni territoriali di Israele a questo riguardo, che si sono recentemente manifestate attraverso i piani di annessione, sono infondate. Questo punto è cruciale nella prospettiva di qualsiasi soluzione, sia essa una soluzione a due Stati o a uno Stato.

La prosecuzione del processo di indagine dell’OTP richiederà probabilmente molti altri anni, quindi ci vorrà del tempo perché emergano risultati concreti. Ma il significato pratico e simbolico della decisione è già un dato di fatto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)