Cosa significa lo “status quo” alla moschea Al-Aqsa di Gerusalemme?

Un' incursione di coloni ebrei estremisti nella spianata delle moschee . Foto Jerusalem Islamic Waqf - Anadolu Agency
image_pdfimage_print

Adam Sella

11 aprile 2023 Al Jazeera

Lo status quo del complesso della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme è il motivo per cui un singolo raid della polizia può far precipitare una guerra a tutto campo.

Lo status giuridico del complesso della Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme, noto agli ebrei come il Monte del Tempio, è un punto critico ricorrente nel conflitto israelo-palestinese.

La scorsa settimana la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa, attaccando e arrestando i fedeli palestinesi che si trovavano all’interno della sala di preghiera. Per rappresaglia sono stati lanciati dei razzi contro Israele da Gaza e dal Libano, provocando una breve esplosione di violenza.

Nel 2021 un raid simile ha portato a un assalto israeliano di 11 giorni alla Striscia di Gaza.

Per capire come un singolo raid della polizia possa scatenare una guerra bisogna capire lo status quo che governa il complesso della moschea di Al-Aqsa.

Qual è lo status quo?

Per i palestinesi – e secondo il diritto internazionale – la questione è abbastanza semplice.

Israele non ha sovranità su Gerusalemme [est] e quindi non ha sovranità su Al-Aqsa”, che si trova nella Gerusalemme est occupata da Israele, afferma Khaled Zabarqa, un esperto legale palestinese della città e del complesso. Di conseguenza, afferma Zabarqa, il diritto internazionale impone che Israele non sia autorizzato ad attuare alcuno status quo.

Secondo Nir Hasson, un giornalista di Haaretz che si occupa di Gerusalemme, per i palestinesi e il Waqf, la fondazione nominata dalla Giordania che gestisce il complesso di Al-Aqsa, si tratta di uno status quo radicato nell’amministrazione del sito sotto l’Impero ottomano, che ordinava che i musulmani avessero il controllo esclusivo di Al-Aqsa.

Gli israeliani, invece, la vedono diversamente, nonostante il diritto internazionale non riconosca alcun tentativo da parte di una potenza occupante di annettere il territorio che ha occupato.

Hasson spiega che “Lo status quo di cui parlano gli israeliani è completamente diverso dallo status quo di cui parlano il Waqf e i palestinesi”.

Per Israele lo status quo fa riferimento a un accordo del 1967 formulato da Moshe Dayan, l’allora ministro della difesa israeliano. Dopo che Israele occupò Gerusalemme Est, Dayan propose un nuovo accordo basato in parte sullo status ottomano.

Secondo lo status quo israeliano del 1967 il governo israeliano consente al Waqf di mantenere il controllo quotidiano dell’area e solo i musulmani possono pregare lì. Tuttavia la polizia israeliana controlla l’accesso al sito ed è responsabile della sicurezza e i non musulmani possono visitare il sito come turisti.

Shmuel Berkovits, avvocato ed esperto di luoghi santi in Israele, afferma che lo status quo stabilito nel 1967 non è protetto da alcuna legge israeliana. Infatti afferma che nel 1967 Dayan stabilì lo status quo senza l’autorità del governo.

Dal 1967, la legislazione, le azioni giudiziarie e le dichiarazioni del governo israeliano hanno creato un quadro istituzionale per questo status quo. Berkovits spiega che, sebbene nessuna legge israeliana proibisca agli ebrei di pregare ad Al-Aqsa, la Corte Suprema israeliana ha deciso che il divieto è giustificato per mantenere la pace.

Per molti israeliani, alla luce della loro vittoria nella guerra del 1967, anche questo è considerato “generoso”.

Recenti modifiche allo status quo

Tra il 1967 e il 2000 i non musulmani potevano acquistare i biglietti dal Waqf per visitare il sito come turisti. Tuttavia, dopo lo scoppio della seconda Intifada, o rivolta, dei palestinesi nel 2000 in seguito alla controversa visita dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon ad Al-Aqsa, il Waqf chiuse il sito ai visitatori.

Il sito è rimasto chiuso ai visitatori fino al 2003, quando Israele costrinse il Waqf ad accettare l’ingresso di non musulmani. Da allora i visitatori non musulmani sono stati ammessi dalla polizia israeliana in orari limitati e in giorni specifici.

Secondo Hasson, il Waqf non accetta questi visitatori e li considera “intrusi”.

Nel 2015 un accordo a quattro tra Israele, Palestina, Giordania e Stati Uniti ha riaffermato lo status quo del 1967. Come parte dell’accordo il leader israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito l’impegno del suo paese per lo status quo.

Mentre a parole la versione del 1967 dello status quo è ancora rispettata oggi, Zabarqa afferma: “Questo è [solo, ndt] un tentativo di ingannare l’opinione pubblica internazionale”.

Secondo Eran Zedekiah, dell’Università Ebraica di Gerusalemme e del Regional Thinking Forum dal 2017 agli ebrei è stato tacitamente permesso di pregare nel complesso.

Non tutti gli ebrei sono responsabili di queste violazioni. Infatti, i visitatori, prima di entrare nel complesso di Al-Aqsa passano davanti a un cartello che avverte gli ebrei che l’ufficio del Rabbino capo vieta loro l’ingresso a causa della santità del luogo.

Hasson afferma che sono soprattutto i sionisti religiosi, attualmente rappresentati nel governo israeliano da estremisti come il ministro della sicurezza di estrema destra Itamar Ben-Gvir, che pregano nel sito e fanno pressioni per cambiare lo status quo.

Per loro questa pressione ha dato i suoi frutti. Hasson afferma che dal 2017 la polizia ha concesso più libertà agli ebrei che pregano nel complesso di Al-Aqsa.

Zabarqa lamenta che le forze di polizia israeliane “si sono trasformate da un organismo professionale che preserva lo stato di diritto a un organismo che assicura protezione alle persone che violano la legge”.

Zabarqa afferma che, nel frattempo, i palestinesi vedono questi cambiamenti come un tentativo di “rendere il complesso ebraico e di cacciare i musulmani e l’Islam da Al-Aqsa”.

Per loro Al-Aqsa è l’ultimo piccolo angolo di Palestina non sotto la piena occupazione israeliana.

Hasson dice che i palestinesi sono quindi orgogliosi di resistere all’occupazione israeliana del sito, ma se i palestinesi perdono Al-Aqsa, sarà come se “è tutto perduto. Non è rimasto niente.”

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)