Sotto copertura in pieno giorno: raid militari israeliani nelle città della Cisgiordania

Un Palestinese di Nablus affronta l'esercito israeliano alla fine di febbraio 23. Foto: AFP
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Ola Marshoud, Nablus, Palestina occupata

16 aprile 2023Middle East Eye

Soldati israeliani travestiti da palestinesi si infiltrano nei quartieri quando sono più affollati e li trasformano in campi di battaglia

Un tranquillo mercoledì mattina Allam Abdulhaq stava pulendo il suo piccolo negozio in Mreij Street a Nablus nella Cisgiordania occupata quando si è trovato nel mezzo di un violento raid israeliano clandestino.

Gli sono bastati pochi secondi perché si rendesse conto che un gruppo di addetti alle telecomunicazioni giunto nel suo quartiere pochi istanti prima era in realtà un’unità delle forze israeliane che si preparava ad arrestare il combattente palestinese Mohammed Hamdan.

Il raid del 22 marzo è avvenuto come parte di una serie di analoghe incursioni militari israeliane in varie città e quartieri della Cisgiordania con l’obiettivo di arrestare o assassinare dei ricercati combattenti della resistenza palestinese.

Molti di questi raid hanno provocato l’uccisione di diversi palestinesi in quella che dei funzionari palestinesi hanno descritto come una serie di “massacri”.

Con voce tremante Abdulhaq ha ricordato gli eventi di quella mattina.

“Ho visto due giovani vestiti come operai delle telecomunicazioni o dell’azienda elettrica. Portavano attrezzature e i loro indumenti erano impolverati e sporchi”, dice con voce tremante il cinquantacinquenne proprietario del negozio nel ricordare gli eventi di quella mattina.

“Uno di loro ha parlato con il suo collega in arabo e poi ha comprato una bottiglia d’acqua. Pochi istanti dopo è arrivata un’auto con una scala fissata sul tettuccio e ne sono scesi quattro uomini. Hanno chiesto ai due giovani: ‘Pronti?’. Hanno risposto: “Sì, pronti”.

“I quattro si sono poi diretti all’agenzia di consegne di fronte e gli altri due sono rimasti vicino al mio negozio”.

“Sono passati alcuni minuti prima che Hamdan uscisse di corsa dall’agenzia, inseguito dai quattro uomini che gli hanno puntato contro le pistole e gli hanno sparato iniziando poi a urlare e insultarlo con parole volgari“.

Mentre Abdulhaq osservava lo svolgersi dei fatti i due giovani gli hanno puntato le pistole alla tempia, costringendolo a voltare le spalle alla scena.

Tuttavia ha cercato di dare un’occhiata per vedere se Hamdan, che era stato colpito alla coscia, fosse ancora vivo.

“Pensavo che fosse un problema familiare o una sorta di litigio, fino a quando sono arrivati dei rinforzi militari su un autobus che trasportava agenti sotto copertura e soldati. Solo allora ho capito che quello che stava succedendo era un raid militare per arrestare un palestinese ricercato”, riferisce Abdulhaq a Middle East Eye.

Tre settimane dopo il raid Abdulhaq sembra trovarsi ancora sotto shock.

“Ero terrorizzato. Ho il diabete ed ero in pessime condizioni, quindi mio fratello, che è medico, ha chiamato un’ambulanza”, ricorda.

“Non posso dimenticare la voce di Mohammed Hamdan che gridava mentre veniva arrestato: ‘Salutate le mie figlie’. Non riesco a togliermelo dalla mente”.

Travestiti per assassinare

Dal 2021 l’esercito israeliano ha intensificato i suoi raid nelle città della Cisgiordania, dove le operazioni di arresti e assassinii sono solitamente condotte da forze speciali sotto copertura.

Dei soldati israeliani compaiono in un quartiere palestinese vestiti come gente del posto – anche travestiti da religiosi musulmani, operai, giornalisti o medici – per condurre operazioni militari altamente riservate.

Da allora le forze sotto copertura riescono ad entrare nelle città palestinesi utilizzando camion e veicoli che portano nomi di aziende e industrie alimentari palestinesi, o auto con targa palestinese.

Sorprendentemente la maggior parte delle incursioni sono condotte nelle ore di punta in mercati e quartieri sovraffollati, trasformandoli in campi di battaglia.

Un mese prima del raid sotto copertura a Nablus, il 22 febbraio le forze israeliane hanno preso d’assalto la città e ucciso 11 palestinesi.

Secondo i resoconti dei testimoni oculari i soldati israeliani sotto copertura sono entrati in un mercato affollato travestiti da rappresentanti del clero, portando tappetini da preghiera in cui tenevano nascoste le armi e si sono diretti alla Moschea Grand Salahi.

Le forze speciali hanno quindi lasciato la moschea e si sono spostate verso un edificio vicino dove si vociferava si trovassero dei combattenti palestinesi, prima di essere raggiunti da ingenti rinforzi militari.

La casa è stata posta sotto assedio e sono stati lanciati dei razzi contro l’edificio, mentre nelle vicinanze venivano avvistati dei cecchini israeliani.

Si è anche visto un elicottero militare israeliano sorvolare la città.

Sotto copertura in pieno giorno

Tre settimane dopo, il 16 marzo, è stato condotto un raid simile nella città di Jenin in Cisgiordania, anche se con alcune varianti.

In un affollato giovedì pomeriggio in via Abu Baker, dove il mercato centrale di Jenin è solitamente gremito di gente in vista del fine settimana, quattro uomini armati sono scesi da un veicolo e hanno aperto il fuoco contro la folla di acquirenti e pedoni, prendendo di mira due combattenti della resistenza palestinese.

I due uomini, identificati come Nidal Khazem, 28 anni, e Youssef Shreim, 29, avevano lasciato quel giorno il campo profughi di Jenin dove erano nascosti per recarsi da un barbiere e presso un negozio di dolciumi in città.

Si trovavano su una moto quando sono stati uccisi insieme ad altri due, di cui un ragazzo di 16 anni. Secondo il Ministero della Salute palestinese nel raid sono rimaste ferite anche altre ventitré persone.

“Tutti urlavano, piangevano e correvano ovunque. Donne e bambini erano terrorizzati, mentre gli uomini cercavano di proteggerci e di farci entrare nei negozi per evitare di essere colpite“, ha detto Sora Abu al-Rob, che quando si è verificato l’incidente stava uscendo da una clinica odontoiatrica.

“Ho deciso di rientrare nella clinica. Ho pensato che forse sarebbe stato più sicuro della strada. Ma la finestra della clinica si affacciava direttamente sul tetto dell’edificio di fronte, dove i combattenti della resistenza si nascondevano dietro i serbatoi d’acqua e si scontravano con le forze speciali.”

Abu al-Rob e altri pazienti della clinica si sono riparati dalla sparatoria in uno dei corridoi.

Prima della visita Abu al-Rob aveva incontrato degli amici che non vedeva da sette mesi.

“Abbiamo camminato per i quartieri della città e abbiamo parlato di quanto la amiamo e del senso di familiarità che proviamo nel viverci. Ma questa familiarità è svanita in un batter d’occhio e si è trasformata in paura e orrore”, ricorda.

“[Quando è iniziata la sparatoria] ho provato a contattare i miei amici per assicurarmi che stessero bene, ma non ci sono riuscita”, dice.

“I raid [militari] non sono una novità per il popolo palestinese, ma di solito sono condotti alla periferia delle città e dei quartieri.

“Ciò che ha reso orribile quella circostanza è il fatto che sia successo all’interno di un mercato sovraffollato”.

In seguito all’incidente Abu al-Rob ha dichiarato in un post su Facebook: “Questa è una scena a cui non ci possiamo abituare, non importa quante volte si verifichi. Queste voci di dolore non scompaiono con il tempo. Questo enorme senso di perdita non svanisce con il tempo. Piuttosto genera paura, odio, sete di vendetta, e forse… un po’ di speranza.”

Sei un palestinese: sei un bersaglio

Non appena inizia un raid Mohammed Ordonia, allenatore di calcio e fotografo, indossa la sua divisa da paramedico e si precipita nel campo per curare i feriti.

Ordonia afferma che in tali occasioni lui e i suoi colleghi paramedici “dimenticano la paura” poiché la loro prima preoccupazione e priorità diventa “salvare vite”.

Il paramedico di 28 anni e molti suoi colleghi, che fanno parte di una squadra di soccorso medico di 25 persone, erano presenti nell’area di Bab al-Saha a Nablus il giorno del raid del 22 febbraio.

“Ci siamo distribuiti in più aree per assicurarci di poter intervenire in caso di ferimenti nelle aree degli scontri”, riferisce Ordonia a MEE.

“Abbiamo curato un gran numero di ferite causate da proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni”.

Ordonia afferma che durante i raid militari le forze israeliane non fanno differenza tra paramedici, civili e combattenti della resistenza.

“Sei un palestinese: sei un bersaglio. I paramedici si trovano sempre nell’elenco degli obiettivi dell’occupazione”, aggiunge.

A dicembre il suo collega paramedico Hamza Abu Hajar è stato gravemente ferito al fegato e alla milza mentre cercava di curare un palestinese ferito.

“Non smetto di pensare cosa succederebbe se un giorno fossi al suo posto”, dice Ordonia. “Ma una volta che riceviamo la chiamata a salvare i feriti e nel momento in cui indosso la divisa da paramedico faccio le abluzioni e prego, quindi mi precipito sul campo. In quel momento, questi pensieri cessano e mi dimentico della morte.”

In molti casi, le ambulanze sono prese di mira dai colpi di arma da fuoco israeliani o viene loro impedito di evacuare i feriti e raggiungere gli ospedali.

“Molti dei feriti arrivano in auto private piuttosto che in ambulanze. In tal caso i giovani del Campo, che resistono anchessi all’occupazione, lavorano come paramedici”, ha detto Nawal Anboussi, addetta alle pubbliche relazioni presso l’Ibn Sina Hospital, adiacente al Campo Profughi di Jenin.

Le conseguenze del lutto

Durante i raid, lontano dagli scontri per le strade, negli ospedali si svolge un altro tipo di combattimento.

“Non appena inizia il raid l’ospedale vicino al luogo dell’incidente si prepara a ricevere i feriti. I medici di tutti i reparti sono chiamati ad assicurarsi di essere completamente attrezzati per ricevere e curare tutte le ferite, lavorando instancabilmente per salvare vite umane”. afferma Anboussi.

I pronto soccorso si affollano di vittime e famigliari che si precipitano negli ospedali per vedere se tra le vittime figurano i loro figli e se sono vivi.

I feriti arrivano uno dopo l’altro, lasciando i medici esausti nel tentativo di salvare i feriti gravi. Le loro voci si sentono echeggiare in tutto l’ospedale, mentre invocano donazioni di sangue o chiedono agli infermieri di trasferire i feriti nelle sale operatorie o nelle unità di terapia intensiva.

“I parenti dei feriti aspettano al pronto soccorso senza sapere se i loro padri, fratelli o figli sopravviveranno. Ma la scena più dura che ho vissuto è stata quando ho confortato la madre di un giovane gravemente ferito, dicendole che sarebbe sopravvissuto, per poi apprendere, dieci minuti più tardi, che era morto”, ricorda Anboussi.

Sono solo pochi attimi tra la speranza di sopravvivere e la paura della perdita.”

L’anno scorso Anboussi ha preso parte alla cerimonia funebre della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh dopo il suo assassinio da parte delle forze israeliane, un’esperienza che ancora non riesce a credere di aver vissuto.

Ero rimasta scioccata da quello che è successo, e mentre la stavo avvolgendo con il sudario, non riuscivo ancora a crederci. Tutti quelli che mi hanno visto quel giorno mi hanno detto che sembrava che fossi malata.”

Dopo ogni raid militare e il ritiro delle forze speciali i medici continuano a fare del loro meglio per salvare i feriti, mentre i morti vengono pianti e seppelliti.

L’intera città di solito cade in uno stato di profondo dolore e i negozi chiudono mentre la maggior parte delle città della Cisgiordania rispetta uno sciopero generale.

Per i combattenti della resistenza uccisi durante gli scontri con le forze israeliane si tengono funerali militari per onorare la loro lotta contro l’occupazione, e decine di residenti scendono in piazza per partecipare ai funerali, cantando per la Palestina e le vittime e minacciando ritorsioni contro l’occupazione israeliana.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)