Mustafa Barghouti riflette sul futuro della lotta palestinese in un periodo di genocidio e pulizia etnica

Mustafa Barghouti Segretario Generale del Palestine National Initiative. Foto: YOUSSEF ABU WATFA/APA IMAGES
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Redazione

7 ottobre 2024 – Mondoweiss

In un’intervista con Mondoweiss, il Segretario generale del Palestinian National Initiative, il dott. Mustafa Barghouti riflette sull’importanza dell’unità nazionale palestinese, sulle sfide che la lotta palestinese deve affrontare e sul diritto di resistere.

Il dott. Mustafa Barghouti è un medico e politico palestinese, segretario generale del Palestinian National Initiative [partito politico socialdemocratico, ndt.], da lui fondato nel 2002. Barghouti è anche noto per aver fondato nel 1979 la Palestinian Medical Relief Society, che fornisce servizi medici ai palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. Nell’anno trascorso dopo il 7 ottobre 2023 ha avuto uno spazio rilevante sia nei media in lingua inglese che in quelli in lingua araba come importante sostenitore dell’unità nazionale palestinese e dell’organizzazione di immediate elezioni democratiche come requisito urgente per affrontare la minaccia di genocidio e pulizia etnica a cui sono sottoposti i palestinesi. Nel corso dell’anno trascorso ha sostenuto con forza i diritti dei palestinesi a resistere all’occupazione e all’apartheid, a Gaza e ovunque. Mondoweiss ha discusso con il dott. Barghouti il ​​2 ottobre 2024, per riflettere sul genocidio in corso iniziato un anno fa e su cosa ha significato per la lotta palestinese.

Mondoweiss: È passato un anno intero da quando è iniziato il genocidio israeliano a Gaza e ora si è esteso a una guerra regionale che coinvolge Hezbollah e, ​​potenzialmente, l’Iran. Cosa ha pensato quando un anno fa Hamas ha lanciato il suo attacco a sorpresa? Si aspettava che la risposta israeliana sarebbe stata un genocidio come quello di cui è stato testimone?

Mustafa Barghouti: Nessuno si aspettava che il comando della seconda brigata israeliana per forza e dimensioni, [la Brigata di Gaza dell’esercito israeliano] avrebbe ceduto in quel modo. Ciò ha portato a molti fatti che, secondo me, non erano mai stati pianificati, come la cattura di civili. C’è stato un certo livello di caos. Non sapevo, ovviamente, che ci sarebbe stato un attacco del genere, ma mi aspettavo una sorta di esplosione [da Gaza], perché Israele stava ignorando qualsiasi richiesta di porre fine a questo stato di assedio. Abbiamo assistito a una situazione caratterizzata da 57 anni di continua occupazione israeliana. La pulizia etnica durava da 76 anni. L’assedio di Gaza stava diventando insopportabile. Stiamo parlando di 17 anni di assedio a Gaza che hanno portato a una situazione in cui le persone erano private quasi del tutto dell’energia elettrica, solo poche ore al giorno, il 24 percento dell’acqua era inquinata o salata, l’80 percento dei giovani laureati era disoccupato e non c’era solo un completo disastro economico ma una totale perdita di speranza. Penso che quando siamo arrivati ​​a quel momento, il 7 ottobre, sia diventato chiaro a tutti i palestinesi che Israele non aveva alcun piano per una risoluzione pacifica di questa situazione.

Il nuovo governo israeliano è un governo fascista con persone come [il ministro delle Finanze Bezalel] Smotrich e [il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar] Ben-Gvir, che sono loro stessi coloni e sono stati precedentemente accusati dal sistema giudiziario israeliano di essere membri di gruppi terroristici. Hanno dichiarato chiaramente che il piano israeliano è di riempire la Cisgiordania di coloni e insediamenti coloniali in modo che i palestinesi perdano ogni speranza di avere un proprio Stato e debbano scegliere tra andarsene, che equivale ad una pulizia etnica, vivere in uno stato di sottomissione, cioè di apartheid, o morire, il che costituisce genocidio. In realtà, questa è una politica israeliana dichiarata ufficialmente. Quindi, naturalmente, le persone si aspettavano una sorta di reazione rivolta a tirarci fuori da una situazione terribile in cui Israele stava letteralmente distruggendo la causa palestinese. Netanyahu è stato molto chiaro sui suoi piani. Ha dichiarato che l’obiettivo della normalizzazione con i Paesi arabi sarebbe stato quello di liquidare la causa palestinese.

E se ciò non bastasse, appena due settimane prima del 7 ottobre Netanyahu è comparso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e ha mostrato una mappa di Israele che includeva tutta la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le alture del Golan e una mappa del nuovo Medio Oriente, che sta cercando di costruire, come ha detto, per i prossimi 50 anni.

Facciamo un balzo in avanti fino a oggi. Israele ha annunciato di aver lanciato un’invasione terrestre “limitata” del Libano meridionale. Allo stesso tempo i combattimenti a Gaza per ora hanno rallentato, ma gli attacchi aerei e i massacri contro la popolazione civile continuano regolarmente e la probabilità di un cessate il fuoco sembra ora più lontana che mai. Come pensa si evolverà la situazione, sia a Gaza che in termini di escalation regionale?

Innanzitutto, bisogna capire che Israele in realtà non ha ridotto le sue operazioni a Gaza. Continua, forse in misura minore rispetto a prima, ma hanno già distrutto quasi l’80 percento di tutte le case di Gaza, parzialmente o completamente. Hanno distrutto tutte le università. Hanno distrutto la maggior parte delle scuole. Hanno distrutto 34 ospedali su 36. Hanno stipato più di 1,7 milioni di persone in un’area che non supera i 31 Km quadrati. In media vediamo uccidere 50-100 persone ogni giorno.

E contemporaneamente stanno invadendo il Libano. Non credo a quello che dicono, che Israele effettuerà un’operazione limitata in Libano. Secondo me, cercheranno di condurre un’operazione militare di terra che seguirà due direttrici; una verso il fiume Litani, nel tentativo di spingere tutti dalla sponda meridionale a quella a nord del fiume, e forse oltre, e allo stesso tempo un’altra ala della missione militare israeliana andrà nella valle della Beqaa, nel tentativo di tagliare fuori ogni contatto tra Siria e Libano.

Secondo me Israele sta pianificando di occupare completamente il sud del Libano, e forse di più, per molto tempo e in maniera definitiva. L’unica cosa che li potrebbe fermare sarebbe l’ammontare delle perdite che potrebbero subire in seguito ai combattimenti con Hezbollah. Nient’altro li fermerà.

Questo solleva la questione: quando Biden, il Presidente francese, e altri leader occidentali si azzardano a dire che Israele ha il diritto di difendersi, significa che il diritto all’autodifesa include l’invasione di altri Paesi, il bombardamento di altre capitali e l’occupazione di terre di altri popoli? E se Israele ha il diritto di difendersi, anche i palestinesi, dato che sono sotto occupazione, hanno il diritto di difendersi? Ciò che vediamo qui è un orribile doppio standard. È scioccante vedere la Francia dichiarare di aver partecipato alla difesa di Israele dai razzi iraniani insieme agli Stati Uniti e ad alcuni altri Paesi della regione. Qualcuno di loro ha mai preso in considerazione di partecipare alla protezione di civili palestinesi innocenti quando 51.000 di loro sono già stati uccisi, compresi i 10.000 ancora dispersi sotto le macerie? Il numero di palestinesi uccisi dopo questa guerra a Gaza probabilmente supererà i 100.000 se includiamo coloro che moriranno di malattie e i feriti che moriranno per mancanza di cure mediche.

L’Iran ha già lanciato contro Israele un attacco missilistico senza precedenti, ma ha attaccato solo installazioni militari. Ciò che è interessante qui è che sia Hezbollah che Hamas stanno attaccando solo installazioni militari, mentre Israele sta bombardando una popolazione civile.

E pensa, quindi, che questa situazione potrebbe degenerare in una guerra regionale nel caso Israele non fosse disposto a ritirarsi dal Libano meridionale, se effettivamente lo occuperà?

Assolutamente. Penso che sia esattamente ciò che Netanyahu vuole. Vuole trascinare la regione in una guerra. Vuole trascinare gli Stati Uniti, o forse ha già un piano congiunto con gli Stati Uniti, perché non penso che Biden abbia bisogno di essere trascinato. C’è già dentro. È complice di questo genocidio. Penso che stia cercando di portare gli Stati Uniti in guerra in modo che attacchino o partecipino all’attacco dell’Iran. Penso che questo sia uno dei suoi obiettivi principali, distruggere le capacità nucleari dell’Iran.

E quindi che ruolo ha Gaza in tutto questo?

A mio parere, il piano originale di Netanyahu era di ripulire etnicamente Gaza. E non lo ha nascosto. Lo ha detto il secondo giorno di guerra, l’8 ottobre. Il suo portavoce militare, Richard Hecht, ha dichiarato che tutti i gazawi avrebbero dovuto essere sfrattati nel Sinai. Hanno fallito. Hanno fallito a causa della fermezza e dell’eroismo del popolo palestinese a Gaza, ma anche perché l’Egitto non ha collaborato. L’Egitto si è reso conto che se i palestinesi fossero stati spinti nel Sinai, sarebbe stato un enorme disastro per la sicurezza dell’Egitto e una minaccia per la sicurezza nazionale. Dal momento che Netanyahu non è riuscito a condurre una pulizia etnica completa, sta conducendo un genocidio a Gaza.

Ma penso che il suo obiettivo finale una volta che avrà finito con il Libano, sarà quello di cercare di sfrattare tutti dalla parte nord di Gaza e di annetterla a Israele. Questo sarebbe il piano B per una completa annessione della Striscia o la totale pulizia etnica della popolazione di Gaza. Ma ciò non significa necessariamente che avrà successo.

E in quel caso il resto di Gaza continuerebbe ad assistere a una guerra “a bassa intensità“?

Andrà avanti. Netanyahu ha già dichiarato che continuerà l’occupazione israeliana di Gaza. Vuole creare una sorta di struttura civile di collaborazionisti che lavoreranno sotto l’occupazione israeliana, come cercarono di fare con le Leghe dei villaggi in Cisgiordania durante gli anni ’80 [sotto la totale giurisdizione militare israeliana, ndt.].

Facciamo un passo indietro. I palestinesi soffrono di una profonda frammentazione politica, forse oggi più che mai. Più di recente a Pechino ci sono stati colloqui sul raggiungimento di un’unità nazionale. Qual è il significato di questi colloqui e pensa che ci sarà qualche risultato?

Ci sarà qualche risultato se l’Autorità Nazionale Palestinese accetterà di applicarne i contenuti. Finora non è successo.

Naturalmente questi colloqui sono stati significativi, sia a Mosca che a Pechino. Ho personalmente redatto entrambi gli accordi in collaborazione con altri. L‘accordo a Pechino era più chiaro, più specifico. Includeva tre passaggi molto specifici [verso l’unità nazionale]. Il primo è la formazione di un governo di consenso nazionale unificato, che sarebbe responsabile sia della Cisgiordania che di Gaza, garantendone l’unità e impedendo il piano di Netanyahu di separare le due entità l’una dall’altra. Il secondo passaggio richiederebbe un incontro della cosiddetta leadership palestinese ad interim, o leadership unificata, secondo il nostro precedente accordo al Cairo nel 2011. E il terzo passaggio comporterebbe l’incontro di tutti i leader delle fazioni palestinesi per redigere un piano di attuazione di tutte queste decisioni.

L’accordo afferma che il presidente dovrebbe avviare consultazioni immediate per formare un governo di consenso nazionale, ma sfortunatamente non lo ha fatto. Finora, l’Autorità Nazionale Palestinese non si è mossa in quella direzione. Finché non lo farà, questo accordo rimarrà sulla carta.

Lei ha sostenuto pubblicamente, in tutte le sedi, la resistenza a Gaza e in tutta la Palestina, e il ruolo che ha svolto sui media nell’ultimo anno è stato quello di sviluppare un discorso che sostenga la resistenza. Durante il genocidio a Gaza è stato sottolineato dall’Autorità Nazionale Palestinese e dai suoi sostenitori che la resistenza, in particolare la resistenza armata, porterebbe solo alla nostra distruzione e servirebbe come scusa da parte di Israele per [portare avanti] il genocidio e la pulizia etnica. Come risponde a questo?

Coloro che si oppongono alla resistenza armata si oppongono a qualsiasi forma di resistenza, non solo a quella armata. Si oppongono anche alla resistenza pacifica e non violenta. Mi conosce, sono stato un sostenitore e un attivista della resistenza non violenta per tutta la vita. Ma dico ciò che dice il diritto internazionale. Sto difendendo il diritto delle persone sotto occupazione a resistere in tutte le forme. Il diritto internazionale afferma che le persone sotto occupazione militare, ovunque si trovino, hanno il diritto di resistere all’occupazione in tutte le forme, comprese quelle militari, purché rispettino il diritto umanitario internazionale.

Israele non sta solo arrestando le persone impegnate nella resistenza armata. Sta arrestando anche le persone che si impegnano nella resistenza con discorsi e scritti e in altri tipi di resistenza pacifica.

E a proposito, Hamas ha mantenuto la resistenza non violenta per almeno cinque anni, tra il 2014 e il 2019. La risposta israeliana è consistita in dure violenze contro le marce pacifiche organizzate a Gaza e in Cisgiordania.

È molto importante, soprattutto per i nostri giovani, capire che l’oppressore, il colonizzatore, l’aggressore, cerca sempre di impedire alle persone sotto oppressione di esercitare il loro diritto di resistere all’ingiustizia. Frantz Fanon ha parlato del diritto delle persone oppresse di praticare violenza contro la violenza dell’oppressore, ma ciò che vediamo qui è una situazione ancora peggiore, in cui l’oppressore sta cercando di impedire ai palestinesi di resistere in qualsiasi forma. Se ti impegni nella resistenza militare, ti accusano di terrorismo. Se fai resistenza pacifica, ti accusano di violenza. Se fai resistenza con scritti e discorsi, ti accusano di provocazione o istigazione. Se sei uno straniero che sostiene la causa palestinese sei accusato di antisemitismo e se sei un ebreo che sostiene i diritti dei palestinesi, sei definito un ebreo che odia se stesso.

È un’intera serie di slogan ideologici e tattici utilizzati dall’establishment israeliano per negare al popolo il diritto di resistere. È solo un altro modo per disumanizzare i palestinesi. Il 7 ottobre la prima mossa israeliana è stata quella di disumanizzare Hamas e disumanizzare immediatamente i palestinesi in generale. Ecco perché Gallant ci ha chiamato animali umani. E l’obiettivo è giustificare l’uccisione di civili e di bambini. Perché, per loro, non siamo esseri umani.

Quindi la sua risposta ad alcune delle critiche da parte di palestinesi è che Israele non ha bisogno di una scusa per portare a termine ciò che sta facendo.

Ovviamente no. Il crimine peggiore al mondo è dare la colpa alla vittima. È assolutamente inaccettabile incolpare la vittima per ciò che l’aggressore le sta facendo.

E riguardo alla questione dell’unità nazionale: diciamo che domani l’Autorità Nazionale Palestinese accetti una sorta di governo di unità. Cosa significa quel governo di unità quando c’è un disaccordo fondamentale non solo su come resistere all’occupazione israeliana, ma anche se resisterle o meno?

Beh, certo, questo è un problema importante. Ma secondo me le due cause principali della divisione interna palestinese sono le seguenti:

In primo luogo, il disaccordo sul programma. L’Autorità Nazionale Palestinese e, in larga misura, i rappresentanti del Comitato Esecutivo dell’OLP, hanno creduto ad Oslo, non solo come accordo ma come approccio, il che significa che credono che il problema possa essere risolto attraverso negoziati con la parte israeliana anche quando abbiamo uno squilibrio di potere gravemente distorto a vantaggio degli interessi di Israele. Quella linea si basava su due illusioni: la prima illusione era che il movimento sionista e Israele come establishment fossero pronti per un compromesso con i palestinesi (la realtà ha dimostrato che non sono pronti per questo, come è stato dimostrato quando la Knesset israeliana ha deciso di non consentire uno Stato palestinese) e, in secondo luogo, penso che l’intera idea di un compromesso sia stata demolita quando la Knesset israeliana ha approvato la legge sullo Stato-nazione, che afferma che l’autodeterminazione nella terra della Palestina storica è esclusiva del popolo ebraico.

Quindi la linea di Oslo è fallita e Israele l’ha uccisa. E l’approccio, che faceva affidamento su un compromesso, è fallito. L’altra illusione su cui si basava questo approccio era che gli Stati Uniti potessero mediare tra palestinesi e Israele. Anche ciò è fallito perché gli Stati Uniti sono totalmente dalla parte di Israele.

Poiché questa linea è fallita, l’elemento programmatico della divisione interna è crollato. È scomparso.

Il secondo elemento della divisione interna era legato all’esistenza di una competizione per l’autorità tra Fatah e Hamas. Siamo onesti e ammettiamolo. Hamas gestiva Gaza. Fatah gestiva la Cisgiordania. Oggi non c’è più alcuna Autorità. Gaza è occupata e la Cisgiordania è completamente occupata. Quindi non c’è motivo di competizione per un’Autorità che non esiste: è un’Autorità senza autorità.

Ma c’è ancora un disaccordo fondamentale sulla strategia. Nemmeno sulla resistenza, ma sull’idea di resistenza.

Assolutamente, perché alcune persone sono ancora bloccate nel credere a Oslo e sognano ancora di recuperare ciò che è stato perso. Ma ora sono una minoranza molto piccola. Ecco perché diciamo che la strada verso l’unità inizia attraverso due fasi. La fase intermedia è trovare un modo per scendere a compromessi e creare una sorta di leadership unificata provvisoria, perché la crisi in cui ci troviamo non può aspettare e i rischi che corriamo sono troppo grandi. E la seconda fase è portare a elezioni libere e democratiche che includano i palestinesi in Palestina e fuori dalla Palestina. Solo allora la gente deciderà quale strategia adottare democraticamente.

Ovviamente, devo dirle che se avessimo avuto le elezioni nel 2021 forse non avremmo avuto questa guerra.

Si riferisce a quando il presidente in carica dell’Autorità Nazionale Palestinese ha annullato le elezioni usando Gerusalemme come scusa? La scusa era che ai palestinesi di Gerusalemme non sarebbe stato permesso dagli israeliani di partecipare perché avevano documenti di residenza permanente israeliani, corretto?

Esatto. Era una scusa, perché quando ci siamo incontrati in Egitto con tutte le fazioni palestinesi avevamo un piano per aggirare la questione, e tutti erano d’accordo con questo piano. Avremmo tenuto le elezioni a Gerusalemme senza il permesso israeliano, senza dare a Israele il potere di veto sulle nostre elezioni, e il nostro piano era di distribuire 150 urne in tutta Gerusalemme, e poi di utilizzare 20 telecamere per monitorare ogni urna. E lasciare che Israele provasse a fermarci. Sono sicuro che se avessimo adottato quel sistema il numero di giovani palestinesi che avrebbero votato a Gerusalemme sarebbe stato molto più alto del numero di palestinesi che avrebbero votato in conformità con gli accordi di Oslo, perché sarebbe stato un atto di sfida e resistenza contro le autorità israeliane. Ma sfortunatamente, le elezioni sono state annullate. Se avessimo tenuto le elezioni nessun partito avrebbe avuto la maggioranza assoluta. E a proposito, questo vale per la situazione odierna, secondo tutti i sondaggi.

Perché ora abbiamo un sistema completamente proporzionale. Se avessimo avuto un governo pluralistico, un sistema pluralistico, allora penso che questo avrebbe creato una situazione in cui il blocco o l’assedio di Gaza probabilmente avrebbero potuto essere spezzati. E forse non avremmo avuto questa guerra.

Molti hanno detto che la Cisgiordania non ha avuto un ruolo importante nel sostenere Gaza e nel resistere all’occupazione. La gente di Gaza sperava che ci sarebbe stata un’intifada popolare che avrebbe creato un fronte comune nella guerra. Qual è la sua valutazione sul ruolo della Cisgiordania e cosa pensa che le impedisca di avere un ruolo più attivo nella resistenza?

Non sono mai stato d’accordo, e non mi piace affatto nessun approccio che separi la Cisgiordania da Gaza e Gerusalemme dalla Cisgiordania. Guardi, c’è stato un tempo in cui la maggior parte delle attività di resistenza si svolgevano qui in Cisgiordania. E la gente urlava: “Dov’è Gaza? Perché Gaza non fa nulla?” C’è stato un tempo nel 2021 in cui il fulcro prevalente della lotta palestinese era a Gerusalemme, finché Gaza non è intervenuta. Quindi non sono d’accordo con questo tipo di separazione. Penso che dal 2015 la Cisgiordania stia vivendo una nuova forma di Intifada.

Le persone sono obbligate a resistere a causa dell’espansione degli insediamenti israeliani, a causa di ciò che Israele sta cercando di fare. E sfido coloro che dicono che la Cisgiordania non stia partecipando, perché l’esercito israeliano non può entrare in nessuna città, nessun villaggio, nessun centro abitato, nessun campo senza affrontare una crescente resistenza popolare. Ma in Cisgiordania le condizioni sono diverse, in termini di presenza dell’esercito israeliano e in termini di numero di persone arrestate. Stiamo parlando di circa 11.000 persone finora. E ciò ha anche a che fare con il comportamento passivo, negativo e non costruttivo dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Dobbiamo capire che gli obiettivi della lotta sono molti. In questo senso, il primo obiettivo della lotta palestinese oggi è rimanere in Palestina, essere risoluti e rimanere. Il fatto che il numero di palestinesi rimasti in Palestina anche dopo la cacciata del 70% del popolo palestinese [nella Nakba, ndt.] sia ora maggiore del numero di ebrei israeliani, è il più grande problema e il più importante punto debole del movimento sionista. Ed è per questo che credo che la questione del rimanere in Palestina sia del tutto essenziale.

E non si tratta solo di restare. Le persone qui, la presenza demografica, non sarebbero state così efficaci se non avessimo resistito. Quindi il primo traguardo è che le persone restino. Il secondo è che resistano all’ingiustizia, all’occupazione e all’apartheid. Ed è per questo che non biasimo i palestinesi del 1948 [quelli rimasti in Palestina dopo fondazione di Israele e la Nakba ndt.] se non sono così attivi sotto il regime fascista. Finché vivono in Palestina e vi rimangono.

Dopo Gaza la Cisgiordania sarà la prossima?

La Cisgiordania è l’obiettivo principale prima di Gaza. Ciò che accade a Gaza è a causa della Cisgiordania. Netanyahu vuole annettere la Cisgiordania. E non solo Netanyahu e il suo governo, ma l’establishment sionista nel suo complesso. Ma non possono annettere la Cisgiordania con tutte queste persone al suo interno. Ecco perché stanno combinando l’espansione degli insediamenti coloniali e l’annessione graduale con lo spostamento dei palestinesi, sia con la forza che creando difficili condizioni sociali ed economiche. Ed è per questo che dobbiamo capire che l’obiettivo principale di tutto questo attacco è la Cisgiordania, inclusa, ovviamente, Gerusalemme.

Netanyahu dice apertamente che sta correggendo l’errore di Ben-Gurion, ovvero il fatto che non abbia cacciato i palestinesi rimasti nel 1948 e occupato la Cisgiordania e Gaza espellendone la popolazione.

Netanyahu pensa anche di correggere l’errore di Rabin, che prese in considerazione la possibilità, o il potenziale, di un qualche tipo limitato di autogoverno palestinese.

E in terzo luogo, pensa di correggere l’errore di Sharon, che ha dovuto ritirarsi da Gaza [nel 2005]. Questa è la mentalità di Netanyahu: Si considera il più grande leader sionista dopo Jabotinsky. Il suo obiettivo principale è l’annessione totale di tutta la Palestina, e oltre. Ha sentito cosa ha detto Trump; ha appena scoperto che Israele è molto piccolo e deve espandersi.

Pensa che ci sia spazio per la speranza in mezzo a questa disperazione?

, c’è molta speranza. C’è speranza nella resilienza delle persone. C’è speranza nella resistenza delle persone. Credo nella generazione più giovane in Palestina. Penso che stiano mostrando fantastici esempi di resilienza e resistenza. Non parlo solo di resistenza militare o anche di resistenza civile. Parlo anche di questo fantastico movimento che attraversa la generazione palestinese più giovane in tutto il mondo, specialmente in Paesi come gli Stati Uniti e l’Europa, dove c’è un’intera nuova generazione di palestinesi che si è rigenerata e rimotivata.

Penso che il 7 ottobre abbia restituito motivazione ad un’intera generazione palestinese ovunque. E penso che questo apra la strada a un nuovo tipo di unità palestinese attorno a un progetto unificato che include tutti i palestinesi ovunque vivano, sia in Palestina che fuori dalla Palestina.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)