Come gli attivisti stanno interrompendo la catena di fornitura di armi a Israele

La manifestazione a Copenaghen contro la compagnia di navigazione Maersk
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Nora Barrows-Friedman
11 marzo 2025-The Electronic Intifada

Il 24 febbraio a Copenaghen, Danimarca, gli attivisti per i diritti della Palestina hanno protestato presso la sede centrale della compagnia di navigazione transnazionale Maersk per chiedere di fermare la consegna di armi a Israele.

Oggi a Copenaghen 800 persone provenienti da tutta Europa hanno bloccato la sede centrale principale della Maersk per un giorno con lo slogan C come parte del Campo CRAC [Collective Resistance and Care].

La polizia era in inferiorità numerica ma piuttosto brutale con coloro che partecipavano all’azione.

La polizia di Copenaghen ha arrestato 20 attivisti e ha represso violentemente i manifestanti usando gas lacrimogeni e manganelli.

La nota attivista ambientalista e pacifista Greta Thunberg era tra i manifestanti a Copenaghen.

La Maersk, da parte sua, ha affermato che il carico nel suo attracco di Copenaghen non conteneva “armi o munizioni”, ma piuttosto “equipaggiamento militare”, aggiungendo che “proviene dalla politica statunitense nell’ambito del programma di cooperazione per la sicurezza USA-Israele. Il carico è stato esaminato ed è conforme alle leggi in vigore”.

Ma, come spiega Jeanine Hourani del Palestinian Youth Movement [movimento giovanile palestinese] e della campagna Mask Off Maersk al podcast di The Electronic Intifada, la società “trasporta calci per fucili, pallottole [senza bossolo, n.d.t.], veicoli militari, compresi i veicoli da cui vengono lanciati i razzi, quindi trasporta tutto questo carico militare, ma non le munizioni vere e proprie. Ed è per questo che continua a negare il fatto di essere complice di favoreggiamento dei crimini di guerra”.

Gli attivisti si stanno preparando per una giornata internazionale di azione il 18 marzo in concomitanza con l’assemblea generale annuale della Maersk Corporation, durante la quale dirigenti e azionisti voteranno due risoluzioni per porre fine al trasporto di carichi militari verso Israele.

“Questo è un momento critico per noi per far sapere a Maersk che la loro complicità nei crimini di guerra non passerà inosservata”, afferma la campagna. “Ora riteniamo sia il momento di indicarli come responsabili. Ora è il momento di agire”.

A fine dicembre abbiamo avuto membri della campagna Mask Off Maersk in diretta su internet per parlare di come Israele non potrebbe perpetrare le sue continue guerre di sterminio in Palestina senza una catena di fornitura globale che importa armi e altro materiale.

Jeanine Hourani e Aisha Nizar sono membri del comitato direttivo della campagna Mask Off Maersk e le abbiamo invitate a darci un aggiornamento sulla campagna e sulla più recente ricerca sui voli cargo militari regolari dalla Spagna a Israele.

Questi voli violano la politica dichiarata della Spagna contro il traffico di armi verso Israele.

Il rapporto è stato co-redatto dal Palestinian Youth Movement insieme a Progressive International e all’American Friends Service Committee.

Dal loro punto di vista di attivisti del Palestinian Youth Movement, Hourani aggiunge: “quando diciamo embargo sulle armi, intendiamo un embargo completo e totale di tutti i beni militari destinati a Israele. E lo consideriamo il minimo indispensabile”.

Ci sono “alcune distinte strategie per incolpare le aziende e i governi di aver aiutato questo genocidio”, dice Nizar al podcast di The Electronic Intifada.

“E in realtà quello che abbiamo fatto è stato iniziare a guardare agli Stati Uniti perché sapevamo che la maggior parte delle armi che andavano all’entità sionista provenivano dagli Stati Uniti, o erano montate negli Stati Uniti”.

La campagna è stata in grado di identificare questi produttori di armi, dice Nizar, “e poi esaminare linee di trasporto specifiche che erano state segretate dal Dipartimento della Difesa”.

La campagna Mask Off Maersk ha anche recentemente presentato un rapporto alle Nazioni Unite in risposta a un appello di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, per produrre prove di complicità da parte di aziende private nel genocidio israeliano a Gaza.

Hourani spiega che, in quanto palestinesi, era fondamentale “mettere in luce il fatto che la cosiddetta comunità internazionale ha abbandonato il nostro popolo, e il fallimento del mondo nell’intervenire mentre decine se non centinaia di migliaia di persone sono state massacrate, affamate, rapite, dovrebbe suonare come una condanna dell’ordine mondiale liberale”.

Era importante presentare il rapporto, aggiunge, “non perché pensiamo che l’ONU sarà il liberatore della Palestina, ma perché ci consente di denunciare ulteriormente questa ipocrisia e anche di rendere note le prove che la nostra gente a Gaza ha prodotto per mettere le cose in chiaro e per mostrare al mondo cosa è successo negli ultimi 15 mesi e diffonderlo efficacemente su scala globale”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)