Lo scandalo Shin Bet di Netanyahu: chi detiene il potere?

Benjamin Netanyahu. Foto: SAUL LOEB/AFP
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Ramzy Baroud

8 aprile 2025 – Middle East Monitor

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha nominato Eli Sharvit nuovo capo dello Shin Bet, agenzia di sicurezza interna di Israele, solo per revocare velocemente la nomina nel giro di 24 ore. Questo episodio mette in luce la mancanza di coerenza nella leadership di Netanyahu, rafforzando la percezione che le decisioni al più alto livello del governo siano prese d’impulso e senza un chiaro piano.

È anche una prova ulteriore che Netanyahu è facilmente manipolabile, non solo dai suoi alleati di estrema destra nella coalizione, ma anche da forze esterne, governi stranieri e addirittura, da quanto riferiscono media israeliani, da sua moglie Sara.

Questo caotico processo decisionale aiuta a spiegare la profonda mancanza di fiducia che gli israeliani hanno nella loro leadership. Recenti sondaggi della pubblica opinione mostrano che una significativa percentuale di israeliani non ha fiducia nel proprio governo e chiede nuove elezioni o le dimissioni di Netanyahu. Questa sfiducia è stata attribuita all’incapacità di Netanyahu di impedire gli attacchi del 7 ottobre e di vincere la guerra trasformatasi in genocidio a Gaza.

Ma la questione va oltre questi fallimenti. Gli israeliani hanno perso fiducia in Netanyahu perché non lo considerano un leader che agisce nell’interesse nazionale. È diventato così aggrappato al potere che intende provocare una guerra civile in Israele solo per mantenere la propria posizione. Non deve quindi sorprendere che Netanyahu voglia anche sacrificare la vita di oltre 15.000 bambini a Gaza, insieme a decine di migliaia di altri civili innocenti solo per mantenersi più a lungo al potere.

Tuttavia lo scandalo dello Shin Bet è il più chiaro esempio finora della corruzione e scarso giudizio di Netanyahu.

I politici israeliani sono notoriamente in bilico e le coalizioni raramente durano a lungo. In un simile contesto il frammentato governo di Netanyahu potrebbe essere visto come un riflesso della storia israeliana di instabilità politica.

Il conflitto in atto tra il governo e l’esercito, pur inusuale, può anche intendersi come parte di una crescente tendenza in cui la destra israeliana cerca di controllare tutte le istituzioni, compreso l’esercito, che storicamente è stato considerato separato dalla politica.

Gli eventi del 7 ottobre e la fallimentare guerra che ne è seguita –entrambi ora oggetto di indagini critiche – hanno spezzato il fragile equilibrio che consentiva a Netanyahu e alla sua coalizione di destra di mantenere il potere senza provocare un dissenso di massa. La pressione dell’opinione pubblica israeliana si è dimostrata essere un fattore chiave in questo equilibrismo. Per esempio la protesta popolare ha costretto Netanyahu a ridare il suo incarico all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant nell’aprile 2023 (per poi dimissionarlo nuovamente nel novembre dell’anno scorso).

Tuttavia 18 mesi di guerra a Gaza, in Libano e ora in Siria hanno dato a Netanyahu il modo di usare lo stato di emergenza come strumento per schiacciare l’opposizione, reprimere il dissenso e ignorare le richieste di por fine alla guerra per raggiungere un accordo finale. Adesso ha trasformato la guerra in una piattaforma per perseguire un programma politico interno che non era riuscito ad attuare negli anni precedenti al 7 ottobre. Però lo Shin Bet è completamente un’altra faccenda.

Istituito nel 1949 dal Primo Ministro di Israele, David Ben-Gurion, lo Shin Bet è stato per molto tempo il cardine della sicurezza interna di Israele. Se il compito primario dell’agenzia è l’antiterrorismo, la raccolta di informazioni di intelligence e la garanzia della sicurezza dei dirigenti israeliani, il suo ruolo riveste un significato molto maggiore per la stabilità dello Stato.

Uno dei principali obiettivi dello Shin Bet è impedire lo spionaggio e le attività sovversive interne. Dati i fallimenti dell’intelligence palesati dagli eventi del 7 ottobre, qualunque significativa riorganizzazione di un’agenzia così cruciale potrebbe essere disastrosa per Israele.

Benché il capo dello Shin Bet riferisca direttamente al Primo Ministro, è stato sempre chiaro che la posizione debba rimanere al di sopra delle lotte politiche interne. Perciò la decisione di Netanyahu di licenziare Ronen Bar il 2 marzo ha sollevato violenta reazione da parte della società israeliana, addirittura maggiore della sua decisione di licenziare l’ex capo di stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi o il Ministro della Difesa Gallant.

Le azioni del Primo Ministro hanno infranto un annoso tabù, esacerbando ulteriormente la crisi interna di Israele, già senza precedenti.

L’ex capo dello Shin Bet Naday Argaman ha persino minacciato di rivelare informazioni segrete, indicando che l’agenzia è pronta ad impegnarsi in questa lotta di potere interna, che qualcuno teme possa svilupparsi in una guerra civile.

Tuttavia l’annullamento della nomina di Sharvit come sostituto di Bar è forse l’aspetto più rivelatore di questa crisi. Sottolinea l’imprevedibilità del processo decisionale di Netanyahu e rafforza i suoi oppositori, impazienti di farlo cadere. Come ha detto il leader dell’opposizione Yair Lapid, Netanyahu è diventato “una minaccia esistenziale per Israele.”

Alcuni analisti hanno suggerito che il dietrofront di Netanyahu fosse dovuto alle pressioni degli USA, soprattutto da quando Sharvit ha scritto un articolo critico verso il presidente Donald Trump. Mentre qualcuno vede in questo una prova che l’agenda di Netanyahu sia ampiamente dettata dagli USA, questa conclusione è semplicistica. Anche se gli USA esercitano una significativa influenza, le decisioni di Netanyahu sono plasmate da una complessa gamma di fattori.

Tende a presentare l’annullamento della nomina di Sharvit non come un indice di subordinazione politica, ma piuttosto come una concessione o un’apertura strategica verso Trump. Il suo scopo è ottenere un pieno appoggio costante per il suo programma di guerra a Gaza e in tutto il Medio Oriente.

In ultima analisi, questa agenda di guerra perpetua non è sorretta da alcuna ideologia politica coerente. L’unico interesse di Netanyahu rimane quello di conservare unita la sua coalizione politica e di assicurare la propria sopravvivenza politica, niente di più e niente di meno.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)