La Corte Penale Internazionale non rappresenta una “minaccia strategica” per Israele

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Ramona Wadi

19 maggio 2020. MiddleEastMonitor

Da quando la Corte Penale Internazionale (CPI) ha stabilito che la Palestina è uno Stato in cui svolgere indagini sui crimini di guerra commessi da Israele contro civili palestinesi, una nuova serie di minacce è stata mossa contro l’istituzione. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha messo in guardia dalle conseguenze di ciò che il suo governo ritiene costituisca uno Stato palestinese. “Gli Stati Uniti ribadiscono la loro continua obiezione a qualsiasi illegittima indagine della CPI. Se la Corte continuerà per la strada presa ne trarremo le dovute conseguenze” ha detto Pompeo.

L’opposizione degli Stati Uniti a uno Stato palestinese è stata ulteriormente ribadita dal cosiddetto “accordo del secolo”, che finge di sostenere uno Stato palestinese dando invece priorità all’agenda coloniale di Israele – in cui non cè spazio per la formazione di uno Stato palestinese. L’opposizione degli Stati Uniti alle indagini della CPI, dunque, è continua e convinta.

Intanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha bollato le possibili inchieste sui crimini di guerra come “minaccia strategica”. Intervenendo durante la prima riunione del governo e sostenendo di usare raramente l’aggettivo “strategico” che invece è la normale definizione quando si tratti dell’Iran o del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), Netanyahu ha dichiarato: “Questa è una minaccia strategica per lo Stato di Israele – ai soldati dell’esercito, ai comandanti, ai ministri, ai governi, a tutto.”

Israele ha a lungo approfittato delle eccezioni per mantenere la sua colonizzazione della Palestina e rafforzare ulteriormente la sua occupazione militare. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha beneficiato Israele di unimpunità senza precedenti e dell’accettazione delle violazioni del diritto internazionale, al punto che, rafforzato anche dal tacito silenzio della comunità internazionale, Israele sta politicizzando le indagini della CPI allo scopo di mantenere lo stato di eccezione.

Le imminenti indagini sui crimini di guerra di Israele contro il popolo palestinese non sono una minaccia strategica, ma una risposta tardiva che potrebbe offuscare temporaneamente l’immagine di Israele. La collusione fra Israele e la comunità internazionale è un grave ostacolo: non bisogna dimenticare che a livello internazionale Israele gode di un tacito sostegno che gli permette di costituire lui stesso una minaccia strategica per i palestinesi.

La retorica di Netanyahu è un diversivo. Israele non è perseguitato dalla CPI; è possibile che i suoi funzionari siano perseguiti per crimini di guerra, che è la procedura standard. La violenza di Israele ne sostiene la politica coloniale – l’una non può esistere senza l’altra. I palestinesi hanno subìto questa minaccia strategica per decenni. Il tentativo di invertire i ruoli nonostante le prove dei crimini di guerra è una manovra politica che dovrebbe ritorcersi contro Israele se solo la comunità internazionale rimuovesse la sua faziosità pro-Israele e prendesse posizione a favore della decolonizzazione.

Mentre Netanyahu tenta di stringere alleanze contro la CPI, che cosa farà la comunità internazionale? Se la CPI ha stabilito che Israele ha commesso crimini di guerra, il minimo che la comunità internazionale possa fare è sbarazzarsi della retorica dei “presunti crimini di guerra” per sostenere il diritto internazionale e decostruire l’impunità che ha protetto Israele. Se ritenere prioritarie le richieste coloniali di Israele viene prima della legislazione che regola ciò che costituisce i crimini di guerra, la comunità internazionale renderà possibili ulteriori violazioni come nuovi piani di annessione e le prossime indagini saranno eclissate da una nuova ondata di impunità tale per cui ci potrebbero volere decenni prima che siano sottoposte ad attenzione giuridica.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)