Il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia non aprirà finché non verrà raggiunto un cessate il fuoco, affermano un’artista israeliana e le curatrici

Un soldato sorveglia il padiglione israeliano della Biennale. Foto: Colleen Barry / AP
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Naama Riba e Rachel Fink

16 aprile 2024 – Haaretz

Nel contesto di appelli per l’esclusione di Israele dall’evento artistico internazionale e timori di atti di vandalismo, l’artista Ruth Patir e le curatrici della sua esposizione hanno chiesto il cessate il fuoco a Gaza e un accordo per la liberazione degli ostaggi e hanno affermato che “il padiglione israeliano aprirà quando queste cose verranno raggiunte.” A quanto pare il governo israeliano non sarebbe stato informato di questa protesta.

Il padiglione israeliano alla Biennale di Venezia, che avrebbe dovuto aprire alla fine della settimana, rimarrà chiuso al pubblico “finché non verranno raggiunti un cessate il fuoco e un accordo per la liberazione degli ostaggi” tra Israele ed Hamas, secondo un comunicato dell’artista israeliana Ruth Patir e delle curatrici della mostra, Mira Lapidot e Tamar Margalit.

I tre lavori di videoarte dell’artista Ruth Patir che compongono l’esposizione (M)otherland saranno riprodotti nel padiglione e i passanti potranno vederli attraverso i vetri delle finestre.

Il padiglione è curato da Mira Lapidot, curatrice del Museo d’Arte di Tel Aviv, e Tamar Margalit, curatrice del Centro di Arte Contemporanea. Lapidot ha detto ad Haaretz che sono “molto orgogliose della mostra. Abbiamo discusso fino all’ultimo minuto su cosa fare.”

Lapidot ha spiegato le due ragioni che hanno portato alla decisione di non aprire il padiglione, affermando: “L’arte ha bisogno di un cuore aperto, che ora non esiste, quindi è meglio rimanere chiusi. Ma, cosa più importante, come esseri umani, donne e cittadine, non possiamo stare qui mentre niente cambia nella situazione degli ostaggi. Fino all’ultimo minuto abbiamo pensato che stavamo dirigendoci verso una direzione diversa e che c’è un accordo sul tavolo.”

“Abbiamo messo un cartello affermando che apriremo il padiglione quando sarà raggiunto un cessate il fuoco e un accordo per gli ostaggi, e speriamo che ciò avvenga durante i sette mesi della Biennale,” ha continuato. Margalit, la seconda curatrice, ha detto al New York Times che il governo israeliano non è stato informato in anticipo della protesta dall’artista e dalle curatrici. Il ministero della Cultura ha scelto l’artista ed è il principale finanziatore dell’esposizione.

Lapidot ha sottolineato che il padiglione non verrà completamente chiuso. “A differenza di quello russo, questo non verrà chiuso. Rimarrà illuminato e pronto ad aprire. I video verranno proiettati.”

La decisione di non aprire il padiglione giunge contestualmente ad appelli per il boicottaggio di Israele e la sua esclusione dalla Biennale di Venezia da parte di un’organizzazione di artisti e attivisti, ANGA, che sta per “Art Not Genocide Alliance”[Alleanza per l’Arte e non per il Genocidio]. La petizione dell’ANGA è stata firmata da decine di migliaia di persone. La Biennale in febbraio ha risposto alla lettera con un comunicato ufficiale in cui afferma che ogni Paese riconosciuto dal governo italiano è invitato ad esporre alla mostra internazionale e che appelli o petizioni per escludere la partecipazione di un Paese non saranno accolti.

Nell’esibizione generale della Biennale curata da Adriano Pedrosa verranno esposti i lavori di vari artisti palestinesi, alcuni direttamente legati alla guerra a Gaza. Inoltre uno degli eventi collaterali della Biennale, South West Bank [Sud della Cisgiordania], è stato iniziato da un collettivo di artisti palestinesi che mostreranno il proprio lavoro. Nel Centro della Cultura Europea a Palazzo Mora verrà esposta anche una mostra del Museo Americano Palestinese.

L’esposizione nel padiglione israeliano ruota attorno alla fertilità. Patir, che ha meno di 40 anni, ha creato una serie di video riguardo all’argomento da un punto di vista personale e israeliano. Quando aveva 35 anni ha scoperto di essere portatrice (come la curatrice Lapidot) del gene BRCA2 che, se muta, aumenta notevolmente le possibilità di sviluppare un cancro al seno o alle ovaie.

A causa del discutibile privilegio di essere portatrice del gene, Patir, che non è sposata e non ha figli, ha ottenuto dallo Stato una cura gratuita per la preservazione della fertilità.

Il video artistico presentato nell’esposizione mostra l’artista mentre attraversa l’umiliante mondo della medicina istituzionale dominata dai maschi. I video si basano sulla sua auto-documentazione durante tre sedute di congelamento degli ovuli, mentre parla con ginecologi e medici, tecnici, membri della famiglia e con il suo compagno dell’epoca.

Nei video è interpretata da una figurina archeologica che muove il proprio corpo in risposta ai movimenti di Patir attraverso sensori (l’artista non compare nei video e si può sentire solo la sua voce).

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)