Neve Gordon
3 settembre 2018, Al Jazeera
Tagliando i finanziamenti all’UNRWA, Trump vuole eliminare la richiesta palestinese del diritto al ritorno
Il presidente Donald Trump sembra divertirsi a fare esperimenti sugli esseri umani.
Prima è arrivata la separazione di bambini dai loro genitori. Nel maggio 2018 Trump ha ordinato alla “United States Immigration and Customs Enforcement Agency” [“Agenzia USA per il Controllo dell’Immigrazione e le Dogane”] (ICE) di incarcerare nelle prigioni federali tutti gli adulti catturati mentre cercavano di attraversare il confine, trasferendo i loro figli a famiglie affidatarie o in centri di detenzione. La maggior parte di questi bambini è stata tenuta in quelle che sono sostanzialmente delle gabbie, e ad alcuni sono stati somministrati persino psicofarmaci senza il consenso dei genitori.
Il presupposto è che dolore, angoscia e sofferenza modificano il comportamento umano e che traumatizzare un gran numero di bambini e di loro genitori serve a scoraggiare altre persone, persino quelle che fuggono da zone di conflitto in cui la loro vita è in pericolo, dal cercare di entrare negli USA. Il punto di vista etico è che il fine giustifica i mezzi, anche se i mezzi includono politiche crudeli e disumane.
Ora ecco l’ultimo esperimento di Trump, questa volta con l’istruzione, le cure mediche e la fame. Adottando un discorso distorto, questo esperimento è presentato come parte di un innovativo piano di pace israelo-palestinese.
L’idea è di interrompere qualunque finanziamento alla United Nations Relief Works Agency [Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione, ndtr.] (UNRWA), che negli ultimi 70 anni ha fornito un aiuto indispensabile a più di cinque milioni di rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania, in Libano, in Siria e in Giordania.
Il portavoce dell’UNRWA, Chris Gunness, ha chiaramente precisato le ripercussioni di simili iniziative: “A scanso di equivoci,” ha affermato, “questa decisione probabilmente avrà un impatto devastante sulla vita di 526.000 minori che ricevono quotidianamente un’istruzione dall’UNRWA; su 3,5 milioni di malati che si recano alle nostre strutture mediche per ricevere cure; a 1,7 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare che ricevono assistenza da noi, e decine di migliaia di donne, bambini e disabili rifugiati in condizioni di vulnerabilità che si rivolgono a noi.”
Certamente, se la riduzione dei finanziamenti non verrà coperta da altri Paesi, la decisione di Trump avrà effetti devastanti sulle vite di milioni di palestinesi.
Questo esperimento sembra avere due diversi – anche se in relazione uno con l’altro – obiettivi.
Primo, a quanto pare Trump vuole verificare se una politica di distruzione e un intervento antiumanitario possono essere utilizzati come strumento di pacificazione in questo annoso conflitto.
Ciò rappresenta un’inversione delle parti rispetto al paradigma di Oslo, in cui l’Unione Europea e altri attori internazionali hanno deciso di investire centinaia di milioni di dollari ogni anno sui progetti di costruzione di uno Stato palestinese. Benché l’obiettivo di Oslo possa non essere mai stato la creazione di uno Stato palestinese indipendente, si pensava ancora che la vita dei palestinesi avesse un certo valore.
A quanto pare, l’idea che caratterizzava gli accordi di pace del 1993 era di trasferire il controllo di un certo numero di istituzioni e politiche – come quelle relative all’educazione, alla salute e alla sicurezza alimentare – ai palestinesi per liberare Israele dalla responsabilità di gestire la vita quotidiana della popolazione che aveva colonizzato. E, mentre Israele abbandonava le proprie responsabilità sul popolo palestinese, continuava a conservare il controllo sulla maggior parte della sua terra.
Al contrario l’attuale idea di Trump è semplicemente di imporre un “processo di pace” distruggendo tutte le istituzioni che gli Stati moderni utilizzano per gestire la propria popolazione, portando al contempo gli abitanti sull’orlo della morte sociale.
Pertanto non è un caso che nello stesso momento in cui Trump taglia ogni finanziamento all’UNRWA, egli abbia anche deciso di ridurre l’aiuto all’Autorità Nazionale Palestinese. La strategia è chiara: i palestinesi devono essere prima ridotti a quello che il politologo italiano Giorgio Agamben ha definito “nuda vita” per obbligarli ad accettare il “grande accordo” che il presidente Trump intende offrire loro.
Il secondo obiettivo dell’esperimento è cancellare la condizione di rifugiati dei palestinesi.
È importante ricordare che l’UNRWA è stata costituita per assistere i 700.000 rifugiati palestinesi dopo la creazione di Israele nel 1948. Che questi palestinesi fossero fuggiti o fossero stati espulsi con la forza dalle loro città e villaggi può essere un punto in discussione, ma non c’è alcun dubbio che, dopo che la guerra era finita, Israele abbia rifiutato di consentire ai palestinesi di tornare alle loro case, violando quindi l’articolo 11 della risoluzione 194 delle Nazioni Unite. È così che Israele ha creato il problema dei rifugiati.
Oggi i discendenti di quei rifugiati sono oltre 5 milioni e si è sempre dato per scontato che il loro status sarebbe stato risolto con la creazione di uno Stato palestinese. Dato che è estremamente improbabile che uno Stato palestinese vitale sia una componente dell’”accordo di pace” di Trump, la strategia ora si adopera per eliminare la grande maggioranza dei rifugiati palestinesi come dato storico e contemporaneo.
Ripetendo l’accusa del primo ministro Benjamin Netanyahu di “falsi” rifugiati palestinesi che minacciano lo Stato di Israele perpetuando il diritto al ritorno, Trump sta attualmente affermando che solo le persone nate e che hanno effettivamente vissuto nella Palestina mandataria [cioè governata dagli inglesi, ndtr.] prima della guerra del 1948 – gente che ora ha più di 70 anni – possono essere considerate rifugiate. I loro figli e nipoti no.
Anche qui la logica è chiara. Se viene bloccato il finanziamento all’agenzia che si occupa di milioni di rifugiati, allora essi non saranno più considerati tali, spianando così la strada ad un accordo nei termini decisi da Israele. Bloccare i finanziamenti USA, in altri termini, intende semplicemente avvalorare la folle realtà della post-verità che è diventata il marchio di fabbrica di Trump: in questo caso, che i rifugiati non siano rifugiati.
Mentre nel mondo degli affari di Trump il concetto che i diritti di proprietà possano essere abrogati dopo una generazione sembrerebbe una maledizione, in realtà, attaccare crudelmente gli oppressi collima perfettamente con il suo modus operandi. La sua visione del mondo forse viene espressa al meglio in un recente tweet postato dal suo alleato Netanyahu:
“I deboli crollano, vengono massacrati e cancellati dalla storia mentre i forti, nel bene o nel male, sopravvivono. I forti sono rispettati, ci si allea con i forti, e alla fine con i forti si fa la pace.”
Dalla Cambogia alla Cina e fino all’Europa, il XX^ secolo ha mostrato la sua parte di esperimenti sugli esseri umani, tutti con conseguenze atroci. Sfortunatamente, Trump non ha studiato la storia. Ce la sta mettendo tutta per presentare la sua introduzione di nuovi esperimenti come la ricerca di un accordo di pace, ma, come ha scritto recentemente Gideon Levy su “Haaretz” [giornale israeliano di centro sinistra, ndtr.], in realtà si tratta di una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Al Jazeera.
Sull’autore:
Neve Gordon ha conseguito una borsa di studio “Marie Curie” ed è professore di Diritto Internazionale alla Queen Mary University di Londra.
(Traduzione di Amedeo Rossi)