17 dicembre 2019 – Al Jazeera
Due donne palestinesi arrestate la scorsa settimana dall’esercito israeliano sono state sottoposte a detenzione amministrativa, una forma di internamento in cui un prigioniero è detenuto indefinitamente senza accusa né processo.
Bushra al-Tawil, 26 anni, è stata arrestata nel corso di un’incursione israeliana nella sua casa di al-Bireh, città della Cisgiordania sotto occupazione, giorni dopo la scarcerazione di suo padre da una prigione israeliana.
La Palestinian Prisoner Society (PPS) [organizzazione umanitaria palestinese che si occupa del rispetto dei diritti umani dei detenuti palestinesi] ha affermato che al-Tawil è attualmente detenuta nella prigione di Hasharon, nel nord di Israele.
Impegnata nella difesa dei diritti dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, al-Tawil è stata arrestata più volte dalle forze israeliane. Secondo i media locali, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione.
Al-Tawil è stata arrestata per la prima volta a 18 anni. Ha scontato cinque mesi della sua condanna a 18 mesi prima di essere rilasciata nel 2011 nel quadro di un accordo di scambio di prigionieri.
Tuttavia, è stata nuovamente arrestata nel 2014 e ha trascorso in stato di detenzione i restanti 11 mesi della sua pena. Nel 2017, è stata ancora arrestata e ha trascorso otto mesi in prigione.
Suo padre, Jamal al-Tawil, è un ex leader della municipalità di al-Bireh. È stato rilasciato il 5 dicembre dopo due anni di detenzione amministrativa.
Gli studenti sono un bersaglio dell’esercito israeliano
Anche Shatha Hassan, una studentessa di 20 anni e coordinatrice del consiglio studentesco della Università di Birzeit, è stata arrestata la scorsa settimana a Ramallah nella sua casa di famiglia.
Il PPS ha riferito che martedì è stata sottoposta ad una detenzione amministrativa di tre mesi.
Il 12 dicembre, con un raid prima dell’alba, un grosso contingente di veicoli militari israeliani ha circondato la sua casa nel quartiere di Ain Misbah.
I video diffusi sui social media mostrano sua madre che grida: “Dio sia con te” a cui Shatha risponde: “Prega per me!” prima di essere spinta dai soldati su di una jeep israeliana.
I media locali hanno riferito che l’esercito israeliano ha improvvisato un checkpoint sulla strada che porta all’Università Birzeit nella Cisgiordania centrale per verificare l’identità degli studenti che transitavano in vista di una conferenza organizzata dal braccio studentesco del movimento di Hamas.
Prima dell’arresto della Hassan è stato diffuso dall’esercito israeliano un video in cui si afferma che l’Università Birzeit sia un “centro di reclutamento per terrorismo e di incitamento alla violenza”.
Ghassan Khatib, un docente universitario, ha dichiarato ad Al Jazeera: “Dalla nostra lunga esperienza sull’occupazione israeliana, ogni volta che loro lanciano una campagna di disinformazione sull’università significa che si stanno preparando ad una campagna di oppressione e ad un’accentuazione della repressione sull’ organizzazione educativa nei territori palestinesi.”
L’ Università Birzeit è stata a lungo un bersaglio da parte dell’esercito israeliano. Nel marzo 2018 l’allora presidente del consiglio studentesco Omar Kiswani è stato arrestato durante un raid nell’università da parte di militari israeliani sotto copertura.
Secondo la campagna sul diritto all’istruzione, più di 80 studenti sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane, dei quali 20 ancora senza processo.
La campagna spiega sul suo sito web: “Queste detenzioni e misure non sono altro che una spaventosa violazione della libertà di parola e di espressione”.
Il PPS ha riferito che il numero di donne detenute nelle carceri israeliane è arrivato a 42, di cui 38 nella prigione di Damoon, mentre le restanti quattro, inclusa Tawil, sono imprigionate nel centro di detenzione di Hasharon.
Secondo i dati ufficiali palestinesi, più di 5.500 palestinesi stanno attualmente languendo nelle carceri israeliane, con 450 [di loro] in [stato di] detenzione amministrativa.
52 anni di privazione delle libertà fondamentali
Indipendentemente da questo, martedì scorso Human Rights Watch (HRW), con sede a New York, ha pubblicato un rapporto in cui si chiede a Israele di concedere ai palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata, come minimo, le stesse garanzie di legge dei cittadini israeliani.
Il rapporto di 92 pagine – intitolato Nato senza diritti civili: l’utilizzo israeliano delle draconiane direttive militari per la repressione dei palestinesi in Cisgiordania – evidenzia l’uso da parte di Israele di norme militari che criminalizzano l’attività politica non violenta.
“La legge militare israeliana in vigore da 52 anni – ha detto Sarah Leah Whitson, direttrice esecutiva degli uffici del HRW attivi nel Medio Oriente e nel Nord Africa – esclude i palestinesi in Cisgiordania da libertà fondamentali come [poter] sventolare bandiere, protestare pacificamente contro l’occupazione, aderire a tutti i principali movimenti politici e pubblicare materiale politico”.
“Questi direttive danno carta bianca all’esercito per perseguire chiunque organizzi politicamente, parli pubblicamente o addirittura riferisca le notizie con modalità non gradite all’esercito”.
Citando esempi di ordinanze militari israeliane definite in modo generico, secondo il rapporto tra il 1 luglio 2014 e il 30 giugno 2019 l’esercito israeliano ha perseguito 358 palestinesi per “istigazione”, 1.704 per “appartenenza e attività in un’associazione illegale” e 4.590 palestinesi per essere entrati in una “zona militare vietata” – un termine che l’esercito usa frequentemente per i luoghi in cui si svolgono le proteste.
Il rapporto fa anche cenno ad una condanna a 10 anni che può essere inflitta ai palestinesi che partecipino ad un raduno di oltre 10 persone senza un permesso militare per qualsiasi problema “che potrebbe essere interpretata come politico”, o nel caso in cui espongano “bandiere o simboli politici” senza l’approvazione dell’esercito.
Whitson ha affermato che, dato il controllo di lunga data di Israele sui palestinesi, il governo “dovrebbe almeno consentire loro di esercitare gli stessi diritti che garantisce ai propri cittadini, indipendentemente dagli accordi politici in vigore”.
(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta