Il punto di vista di un epidemiologo sul COVID-19 in Palestina

Gaza Gli aiuti dell'Unrwa per i rifugiati durante l'attuale pandemia Photo by Ashraf Amra
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Rob Lipton

2 aprile 2020 Mondoweiss

In deroga al mio solito focus su Muzzlewatch sui tentativi di censurare il BDS e su altri punti di vista “pro-palestinesi” e anti-sionisti, indosso le vesti del mio lavoro quotidiano come epidemiologo socio- territoriale per parlare di alcuni aspetti della pandemia COVID-19, in via di diffusione in Paestina e Israele. Questo nell’ambito di un ciclo di interventi che seguirà gli effetti della pandemia in Israele e Palestina. Chiaramente, questo evento mondiale avrà ripercussioni di vasta portata e molto imprevedibili.

La prima cosa da capire è che ci troviamo nei primissimi giorni della pandemia. Al momento della stesura di questo articolo, ci sono 6.360 casi in Israele con 33 morti, mentre in Palestina 155 casi e 1 morto. Queste [cifre] cresceranno rapidamente su entrambi i lati della linea verde. Ovviamente la Cisgiordania, prosciugata delle sue risorse, e Gaza, prigione a cielo aperto, sono a gravissimo rischio, come in questa sede è stato a lungo ribadito – ma, come è ovvio, i confini non sono qualcosa che il COVID-19 riconosca.

Il problema più importante riguarda la capacità di assistenza sanitaria, e la Palestina semplicemente non ha le risorse per affrontare alcun genere di forte impennata nelle cure di emergenza, le cure intensive e le cure post ricovero. Al momento della stesura di questo articolo la maggior parte dei casi gravi e dei decessi riguardano la popolazione più anziana e, a questo proposito, la piramide delle età in Cisgiordania e Gaza potrebbe essere effettivamente favorevole. Rispetto all’età della popolazione israeliana possiamo rilevare che ci sono molti più giovani in Palestina. Al momento, le persone anziane sono più a rischio di malattie gravi e decessi rispetto alle più giovani (anche se sembra che, negli Stati Uniti, anche gli adulti relativamente più giovani, di età compresa tra 25 e 44 anni, siano a rischio di ricovero). D’altra parte, sebbene i giovani possano contrarre una malattia lieve o essere asintomatici, queste persone risultano comunque contagiose. Non sappiamo con precisione cosa questo implicherà col procedere della pandemia.

Il problema più consistente, tuttavia, riguarda i confini artificiali e il controllo micro-territoriale dei movimenti dei palestinesi. L’impossibilità per i palestinesi, già abbastanza grave in tempi “normali”, di suddividere le risorse sanitarie in base alle necessità, di organizzare correttamente la popolazione in base alle esigenze di distanziamento sociale e di una razionale quarantena e di tracciare e testare correttamente le persone, prevedibilmente comporterà molti più casi di malattie gravi e di morti, al di là di ciò che potrebbe accadere in uno scenario meno ad ostacoli. Se Israele imporrà un duro coprifuoco / quarantena alla Palestina, simile a quello del 2002 durante la seconda Intifada, diventerà estremamente difficile rispondere alla pandemia in crescita, fino al punto di vietare la libertà di movimento di ambulanze e operatori di Pronto Soccorso.

Una popolazione segregata, che sia per la porosità dei confini della Cisgiordania che per il contesto carcerario di Gaza, fa sì che il coronavirus sarà molto più grave per i palestinesi e lo stesso per gli israeliani, perché ci sarà un enorme serbatoio di infezione facilmente travasabile tra popolazioni contigue. La struttura a patchwork della Cisgiordania implica che sarà davvero difficile mantenere un effettivo isolamento in quanto palestinesi e israeliani vivono essenzialmente fianco a fianco. Questa situazione sarà aggravata dalla mancanza, in Palestina, di risorse sanitarie disponibili. Le malattie gravi dei palestinesi sono spesso curate in Israele e possiamo facilmente immaginare una situazione di quarantena “stretta” che impedisca tale assistenza sanitaria. Inoltre, se il sistema sanitario israeliano risultasse sovraccarico, ci sarebbero ancora minori possibilità per tutte le persone in Israele e in Palestina.

Rob Lipton è membro di lunga data di Jewish Voice for Peace, ha scritto per il Muzzlewatch di JVP, è stato membro dell’ISM [Movimento Internazionale di Solidarietà, ONG impegnata nel sostegno della causa palestinese, ndtr.] ed è stato il direttore di FAIR [organizzazione che monitora le notizie dei media degli Stati Uniti per “inesattezza, pregiudizi, e la censura”, ndtr.] di Los Angeles durante la prima guerra del Golfo. È poeta laureato a Richmond, California e epidemiologo territoriale.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)