Studio Fotografico Kegham: l’archivio perduto di Gaza

Una lezione di arte a Gaza nel 1947 foto tratta dall'archivio Kegham
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Un inviato dall’Egitto

17 aprile 2021 Al-Monitor

Il nipote di Kegham Djeghalian, superstite del genocidio armeno del 1915 e fondatore del primo studio fotografico di Gaza, ha recentemente organizzato una mostra con i negativi trovati tre anni fa.

Nel 2018 l’artista e studioso Kegham Djeghalian trovò tre piccole scatole rosse lasciate dal padre in un armadio del suo appartamento al Cairo. Ciascuna scatola conteneva una raccolta, apparentemente senza un filo logico comune, di negativi diversi, dagli anni Quaranta fino ai Settanta. Le foto erano state scattate da suo nonno – che si chiamava anche lui Kegham Djeghalian. Dai racconti sentiti da quando era ragazzo sapeva che era stato il più importante fotografo della Striscia di Gaza, ma non aveva mai visto le sue fotografie. Djeghalian decise di portarsi i 1.100 negativi a Parigi, dove vive, e incominciò a scansionarli e stamparli.

Lo scorso marzo Djeghalian ha curato una mostra dedicata al lascito del nonno, il primo fotografo professionista di Gaza. Il suo obiettivo era esplorare la storia visiva della Striscia di Gaza. La mostra si è svolta nell’ambito della Settimana Fotografica del Cairo, una kermesse fotografica tenutasi nel centro del Cairo.

“Questo progetto mi ha ossessionato per quasi dodici anni. Ho fatto due passi avanti e poi ne ho fatti dieci indietro,” ha raccontato Djeghalian ad Al-Monitor. “L’interesse che mi ha mosso è stato studiare Kegham senza impegnarmi in [un vero e proprio] lavoro di archivio – perché non c’è un archivio, c’è un retaggio,” ha detto.

Giovane sopravvissuto al genocidio armeno del 1915, Kegham crebbe in diverse città del Medio Oriente e quando divenne maggiorenne si trasferì in Palestina. Lì fece diversi lavori prima di sposarsi a Giaffa e di decidere di stabilirsi con la moglie a Gaza, dove fondò il suo primo studio fotografico – Foto Kegham – nel 1944. Come sottolinea Djeghalian durante la mostra, lo studio si trasformò in un’istituzione fondamentale nella società di Gaza, dove Kegham finì con l’essere comunemente riconosciuto come il padre della fotografia. Kegham morì nel 1981, dopo avere segnato la storia fotografica di Gaza per quasi quarant’anni.

“L’importanza di mio nonno – oltre ad essere stato il primo fotografo di Gaza e colui che più l’ha documentata – [è che] godeva della fiducia delle persone di Gaza. … Lo facevano entrare nelle loro case, [partecipare] ai loro matrimoni e funerali. Era diventato l’emblema del fotografo di una città,” afferma Djeghalian. “Gaza è molto chiusa. Non ci sono molti stranieri. Non è come Gerusalemme, crocevia di ogni tipo di viaggiatori e abitanti. E così, che un armeno arrivi e venga accettato così profondamente e sinceramente … vuol davvero dire molto.”“E l’aspetto interessante riguardante il periodo temporale è che lui stava lì prima del 1948. Israele non esisteva. Parliamo di Gaza sotto il mandato britannico. [Ha visto] la Gaza del 1948, la Nakba [la catastrofe, il termine con cui i palestinesi indicano la pulizia etnica ad opera dei sionisti, ndtr.] e la guerra. Poi c’è stata la fondazione di Israele. e Gaza è passata sotto il controllo egiziano. Nel 1956 Gaza venne invasa per sei mesi da Israele. Di questo c’è ampia documentazione. Poi l’Egitto. E infine nel 1967 Gaza venne occupata,” dice. “Questi sono i punti più critici nella storia moderna di Gaza, e lui li ha vissuti tutti.”

I millecento negativi che Djeghalian trovò in quelle scatole al Cairo sono soprattutto di foto degli anni ’50 e ’60, qualcuna degli anni ’40, pochissime degli anni ’70. Dapprima si accostò alle foto con una procedura da lavoro archivistico formale, prendendo i negativi per scansionarli, catalogarli, datarli, esaminando e raggruppando il materiale. Ma ben presto abbandonò l’idea di diventare il curatore di un piccolo archivio familiare.

Da quel momento, spiega Djeghalian, scelse di impegnarsi in una contrapposizione dura con le foto, in una lettura “dirompente” che ritiene generatrice di un’ambiguità che preserva l’affettivo e il nostalgico e al contempo prende atto della narrazione e del contesto disgregati in cui erano immersi Kegham e le sue foto. Decise inoltre di non restaurare i negativi al fine di mantenere un degrado che ritiene sia “bello e poetico.”

“In quanto sopravvissuto al genocidio armeno, [Kegham passò dalla] perdita di una continuità armena alla perdita della Palestina. La perdita di Gaza. La perdita dell’archivio. E la perdita dei materiali fotografici, perché i negativi si stanno deteriorando,” dice Djeghalian. “L’ambiguità conferisce qualche senso di rivelazione al [suo] lavoro e potrebbe rischiare di essere destabilizzante, e questo sentimento è costruttivo. In certo qual modo è costruttivo, e tuttavia destabilizzante,” aggiunge.

Djeghalian dice che si è rivelato impossibile ottenere accesso all’archivio di Gaza. Spiega che alla morte di Kegham la sua famiglia offrì lo studio all’apprendista Maurice, che ne preservò l’eredità finché non scomparve anche lui. Il fratello di Maurice, che non aveva alcun interesse per la fotografia, rilevò lo studio, di cui non si occupò mai, e l’archivio, che ha completamente monopolizzato e trascurato da allora, secondo Djeghalian.

Nella mostra del Cairo le opere di Kegham erano suddivise in quattro aree tematiche. Le prime due si incentravano sulla pratica professionale e l’impegno socio-politico, mostrando prima l’attività dello studio e mappandone poi le attività di documentazione fotografica di Gaza, inclusi paesaggi, matrimoni, feste, governanti egiziani, scuole e campi profughi. La terza era dedicata all’album familiare, che secondo Djeghalian può servire anche come una specie di lettura socio-geografica della Gaza del tempo. L’ultima mostrava alcune delle foto più significative di Kegham mediante una zumata fra Djeghalian al Cairo e l’attuale proprietario di buona parte dell’archivio di Kegham, a Gaza.

Come ha detto ad Al-Monitor Alia Rady, assistente curatrice della mostra, “La Striscia di Gaza non è stata documentata al pari di altre zone della Palestina. Per un certo periodo Kegham è stato il primo e l’unico fotografo di Gaza ed il suo archivio è in assoluto il più grande che abbiamo a tutt’oggi. Credo che questo archivio sia [il] racconto di un luogo che non esiste più E’ la documentazione di luoghi e persone che non esistono quasi più, ed è l’illustrazione visiva delle storie che abbiamo sentito sulla Gaza che non abbiamo mai visto.”

Rady prosegue: “L’archivio Kegham abbracciava ogni aspetto di Gaza: fotoritratti in interno, vita quotidiana, escursioni, gite al mare, picnic, paesaggi, politici, militari, campi profughi. Qualsiasi cosa accadesse a Gaza, Kegham la catturava con il suo obiettivo.”

Come riassume Djeghalian, “Questa è la storia visiva di un [luogo] che viene scarsamente documentato, e pertanto è problematico. È la storia di un Paese contestato, storia molto dirompente, problematica e contestata. In Egitto la percezione di Gaza si è costruita attraverso i dati, gli elementi visivi, le storie che ci arrivano. [Gaza] è diventata un punto nero nel Medio Oriente e nei Territori Palestinesi. L’aspetto impressionante della mostra è stato vedere che quasi tutti i visitatori sono rimasti turbati da questo impatto con la storia di un [luogo] che viene costruita in modo così negativo, perlomeno nella loro immaginazione.”

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)