Il fallimento della soluzione a due Stati spinge Israele a proporre nuove opzioni

Commemorazione a Gaza del 74 anniversario della Nakba. Foto: Mustafa Hassona - Anadolu Agency]
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Adnan Abu Amer

7 giugno 2022 – Middle East Monitor

La mancanza di un orizzonte politico tra palestinesi e israeliani a causa delle politiche di colonizzazione sta provocando il fallimento della soluzione a due Stati, che è stata alla base del processo di pace fin dalla conferenza di Madrid del 1991. L’attuale dibattito la descrive come una soluzione impraticabile, che deve essere sostituita da un modello a Stato unico dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo]. Il principale argomento è la mancanza di una possibilità concreta di attuare una divisione fisica dei territori palestinesi attualmente occupati. Ciò si deve agli sviluppi sul terreno relativi alle frontiere della Linea Verde e ai confini dell’armistizio tra Israele e i suoi vicini fissati in seguito alle guerre del 1948 e del 1967.

Israele non ha esitato ad annettere grandi aree della Cisgiordania. Ciò ha incentivato i progetti di colonizzazione, accelerando la spinta verso l’idea di uno Stato unico e scartando la soluzione a due Stati. Tuttavia questa idea richiede ancora un’analisi approfondita e solleva dubbi riguardo a quanto il quadro della soluzione di uno Stato unico sia realmente praticabile.

Negli ultimi anni gli israeliani hanno discusso dei possibili modelli per risolvere il conflitto con i palestinesi. Questi modelli includono uno Stato unificato che comprenda tutta la regione geografica senza frontiere interne, uno Stato autogovernato su terra palestinese indipendente e uno Stato unico federale diviso in province ebraiche e palestinesi con ampi poteri, oppure una confederazione. Nel modello confederale c’è una divisione tra due Stati – palestinese ed ebreo – con frontiere aperte precise, con un governo a livello confederale che riunisca elementi israeliani e palestinesi e prenda decisioni su questioni come sicurezza e commercio.

Questi modelli si basano su una prospettiva centrata sugli interessi di Israele. A questo fine si sono esaminati alcuni indicatori riguardo a ogni modello o alternativa: la divisione territoriale; lo status delle colonie; lo status di Gerusalemme; le questioni della nazionalità e della residenza; le autorità di governo e amministrazione; la libertà di movimento; la questione dei rifugiati; le preoccupazioni riguardanti la sicurezza, sociali, economiche e civili; la salvaguardia dell’identità ebraica dello Stato; le ripercussioni sui palestinesi del 1948 e l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e lo status della Striscia di Gaza. L’analisi di questi parametri solleva questioni sulle possibilità di successo di ciascun modello come soluzione permanente al conflitto.

Alla luce di questa analisi si può concludere che non pare ci sia alcuna concreta possibilità di dar vita a una soluzione permanente e stabile del conflitto israelo-palestinese con uno dei modelli proposti. La ragione principale è che tutti i modelli prospettano contrasti tra palestinesi e israeliani. I palestinesi e gli israeliani continuano con le ostilità a lungo termine per fattori religiosi, culturali, sociali ed economici. Gli israeliani sono seriamente preoccupati che questi contrasti continui provochino instabilità in Israele e lo scoppio di continue ondate di dissenso e conflitto.

L’idea che lo Stato non abbia un’identità ebraica non è accettata dalla grande maggioranza degli israeliani. Perciò quasi tutti i sostenitori della soluzione a uno Stato si riferiscono a uno Stato unico che conservi tale identità, nonostante le difficoltà nel realizzarlo dovute alle dimensioni demografiche. Soprattutto perché l’allargamento della frontiera dello Stato a includere la Cisgiordania vi aggiungerebbe molti palestinesi a detrimento del numero di israeliani [ebrei, ndt.].

La maggior parte delle proposte israeliane di fondare lo Stato unico precisano che la Striscia di Gaza non sarebbe inclusa perché vi vivono due milioni di palestinesi ed è una zona povera e poco sviluppata che richiederebbe molti investimenti. Oltretutto, a differenza della Cisgiordania, non ha un valore né ideologico né strategico per Israele ed è controllata da gruppi palestinesi che non sono disposti a negoziare. Di conseguenza la sua annessione alle terre del futuro Stato richiederebbe la ripresa del controllo con la forza, e senza una soluzione per la Striscia di Gaza non ci sarebbe una soluzione completa del conflitto.

Nel contempo il modello di uno Stato ufficialmente unitario provoca preoccupazioni riguardo alla stabilità di Israele. C’è da aspettarsi che i palestinesi si opporrebbero a far parte di uno Stato ebraico; è nata quindi l’idea di creare una divisione all’interno dello stesso Stato per consentire ai palestinesi un certo livello di autonomia secondo diversi modelli, il primo dei quali è quello dell’autogoverno. In questo caso all’interno dello Stato ci sarebbe una terra palestinese indipendente. Il secondo è il modello federale, in cui ci sarebbe una divisione dello Stato in zone palestinesi ed ebraiche e si affiderebbero le diverse zone all’autorità di governo a livello regionale. Il terzo è il modello confederale, in cui ci sono due Stati, palestinese ed ebraico, con frontiere aperte e un governo confederale che prenderebbe certe decisioni sul territorio.

Allo stesso tempo la destra israeliana propone un’altra alternativa alla soluzione a due Stati. Essa consiste nell’annessione di parti della Cisgiordania, soprattutto dell’Area C, che include più del 60% della Cisgiordania, comprese tutte le colonie e la maggior parte delle zone aperte abitate da circa 100.000 palestinesi. Quest’area avrebbe uno statuto autonomo, o uno Stato con poteri limitati, sempre che Israele continui a controllare le aree circostanti, lo spazio aereo e quello elettromagnetico. Inoltre Israele continuerebbe ad esercitare il controllo sulla sicurezza in caso di necessità, anche se in questa zona si troverebbe la maggioranza delle aree economiche palestinesi.

Riguardo alla cittadinanza e alla residenza, in tutti i modelli proposti come alternativa alla soluzione a due Stati, con l’eccezione di quello confederale, tutti i palestinesi diventerebbero residenti permanenti di Israele. Nel modello confederale ci sarebbe una certa corrispondenza tra cittadinanza e residenza. I palestinesi sarebbero cittadini del loro Stato, pur vivendo sempre in Israele, mentre gli ebrei sarebbero cittadini di Israele, anche se fossero residenti permanenti dello Stato palestinese.

La sicurezza esterna e delle frontiere con l’estero continuerebbero ad essere controllate da Israele. Tuttavia nella federazione ci sarebbe spazio per integrare, per lo meno gradualmente, le forze palestinesi perché collaborino nelle decisioni riguardanti la sicurezza. Le forze di sicurezza israeliane potrebbero operare anche nei territori sotto controllo palestinese per affrontare le minacce alla sicurezza interna. Tuttavia, nel caso dell’autonomia, sarebbe necessario stabilire la distribuzione delle competenze tra le forze di entrambe le parti. In altri casi le operazioni delle forze di sicurezza israeliane nello Stato palestinese si potrebbero limitare a circostanze eccezionali e venire gradualmente eliminate.

Il fatto di proporre questi modelli alternativi alla soluzione a due Stati rivela la preoccupazione israeliana riguardo a una crescente ostilità di entrambe le parti nei confronti di ogni situazione in cui i palestinesi entrino a far parte di uno Stato con un’identità ebraica senza ottenere una propria identità nazionale. Di conseguenza privare i palestinesi dei pieni diritti nello Stato promesso inasprirebbe la sensazione di discriminazione e l’animosità, il che potrebbe portare allo scoppio della violenza e a una guerra civile all’interno dello Stato unico alternativo alla soluzione a due Stati, un avvertimento sollevato recentemente in molti contesti israeliani.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)