Tom Suarez
29 giugno 2023 – Mondoweiss
Il Coro palestinese Amwaj ha intrapreso un ambizioso tour di otto tappe in Italia che prevede l’esecuzione dell’opera Amal – Oltre il Muro basata sul testo dello scrittore palestinese in carcere Walid Daqqah.
Questo mese per tre settimane la Palestina e l’Italia si incontrano faccia a faccia.
Il Coro Amwaj della Palestina ha intrapreso un ambizioso tour italiano di otto tappe, eseguendo tre differenti programmi a Vicenza, Brescia, Avesa, Torino, Genova, Roma, Castelnuovo di Porto e Supino. L’opera lirica Amal — Oltre il Muro si alterna a due programmi di concerti: “Dialogo Corale” e “Onde Corali”.
Il Coro Amwaj è un programma educativo indipendente per bambini e giovani istituito nel 2015, con sede nelle città palestinesi di Betlemme e Hebron. Guidato da un team di educatori francesi e palestinesi e sotto la direzione della fondatrice Mathilde Vittu, docente di musica al Conservatorio di Parigi, Amwaj offre lezioni di musica di alto livello attraverso un programma pedagogico intensivo basato sul canto collettivo. Oggi Amwaj conta 60 ragazze e ragazzi dagli 8 ai 18 anni provenienti da città, campi profughi e aree rurali nelle regioni di Betlemme e Hebron in Cisgiordania.
La visione sociale di Amwaj è inclusiva, promuove l’uguaglianza di genere, la non appartenenza a uno specifico contesto sociale, religioso o politico e si concentra sugli scambi culturali e sul dialogo interculturale. La collaborazione con altri artisti e pedagoghi in Palestina e all’estero è fondamentale per il progetto. Il repertorio del coro è ampio, dalle riscoperte medievali alle anteprime contemporanee, dalla musica araba ad altra musica non occidentale. La tournée italiana del coro segue a tre tour di grande successo in Francia, compresa una residenza presso la prestigiosa Philharmonie di Parigi.
Ho parlato con la direttrice Vittu, che mi ha spiegato:
“Scoprire il mondo attraverso la musica è uno degli obiettivi del Coro Amwaj: fin dall’inizio, 8 anni fa, i bambini hanno avuto l’opportunità di cantare in più di 30 lingue. Questo permette loro di affrontare la chiusura imposta ‘viaggiando’ con le canzoni. Quando il viaggio diventa reale, nonostante le 36 ore per raggiungere l’Europa – perché in quanto palestinesi devono passare per Amman – tutte le loro energie vengono spese per mostrare la bellezza della Palestina e della sua cultura. Arrivare in Italia, essere ospitati in famiglie locali e condividere il palco con musicisti e cantanti italiani permette un dialogo, un incontro unico che ispira tutti a credere nel futuro.”
L’occasione di ascoltare questo coro palestinese senza dover passare la “sicurezza” israeliana all’aeroporto Ben-Gurion o all’Allenby Bridge mi è sembrata troppo bella per resistere. Ho preso un volo per Venezia e ho trovato un buon posto in sala nella piccola splendida città settentrionale di Vicenza, sala al completo e in attesa della loro prima performance: l’opera Amal — Oltre il Muro.
Non credo che l’arte possa (o debba) essere mai scollegata dalla società, ma per persone sotto apartheid militare l’arte è, per definizione, politica. Amal lo è apertamente, poiché è basata sul romanzo The Oil’s Secret Tale [Il racconto segreto dell’olio], scritto in carcere dal prigioniero palestinese Walid Daqqah. Israele ha emesso una condanna a trentasette anni a Daqqah nel 1986, all’età di 23 anni, per il suo ruolo in un’operazione di resistenza in cui è stato ucciso un soldato israeliano. Questo adattamento operistico per bambini del suo romanzo è il frutto di una commissione del 2020 del coro Amwaj alla compositrice Camille van Lunen e alla librettista Cornelia Köhler, per un ensemble strumentale di archi, percussioni e kanoun [strumento arabo a corde suonato solo o come parte di un ensemble, ndt.]. L’originale inglese dell’opera è stato tradotto in italiano per il tour.
Nell’opera – come nella vita reale – un grande muro divide la terra, oscura il cielo e separa le persone, gli animali e gli alberi l’uno dall’altro.
Un ulivo secolare, uno dei protagonisti della storia, spiega:
Duemila anni, un tempo molto lungo.
– Un tempo pieno di storia. Che storia, la storia di chi? Duemila anni. Waq’t taweel k’teer – per molto tempo ho vissuto in pace e libertà, in tempo di guerra e di sconvolgimenti.
– Duemila anni — un tempo molto lungo.
– Ho incontrato ebrei e greci e romani e arabi, crociati e soldati, contadini e mandriani.
– Ho incontrato ragazze e ragazzi, saggi e sciocchi, coraggiosi e forti, felici e tristi.
– Ho incontrato uomini e donne che lavorano, si amano, si baciano, combattono e lottano per la vita.
– Duemila anni – una vita molto lunga.
– Ma non avevo mai visto un muro prima…
Quando il muro impedisce ad Amal e ai suoi fratelli di far visita al padre in prigione oltre il muro, gli animali si uniscono per aiutarli. Idee e tentativi si alternano: scavare un tunnel sotto il muro? Volarci sopra? Ingannare le guardie? I loro migliori sforzi falliscono, ma un ulteriore complice offre aiuto: l’ulivo secolare.
“Bambini”, dice, “ho sentito la vostra storia e ho visto le vostre lacrime. Vi aiuterò. L’olio dei miei frutti è magico. Raccogliete le mie olive e ungetevi con il loro olio. Vi renderà invisibili e vi permetterà di intrufolarvi nella prigione e incontrare vostro padre. Insieme a lui libererete il prigioniero più anziano”. Amal chiede: “Chi è il prigioniero più anziano?” Ma l’albero risponde solo: “Dovete scoprirlo”.
Il piano funziona. L’olio magico dell’antico albero consente loro di raggiungere l’altro lato del muro, entrare nella prigione e trovare il padre. Per tutto il tempo, si chiedono se sia lui il prigioniero più anziano da liberare. Ma non è lui. Scoprono che il prigioniero più antico ed estremo dell’ingiustizia è il futuro.
Attraverso la loro perseveranza, libereranno il futuro.
L’autore Walid Daqqah ha sposato Salameh dopo tredici anni di prigione e, facendo infuriare i suoi carcerieri, ha generato la figlia Milad facendo arrivare lo sperma fuori dalla prigione. Ora sta morendo di cancro avanzato al midollo.
Il coro e i musicisti hanno tutti le proprie storie di vita sotto il fascismo sionista. Limitandoci agli esempi di pochi membri adulti, nel 2021 i soldati israeliani hanno arrestato la contrabbassista palestinese Mariam Afifi e l’hanno trascinata via per i capelli per aver resistito alla pulizia etnica di Sheikh Jarrah. Quando nel 2015 la violinista e mezzosoprano palestinese Aleen Masoud si recò negli Stati Uniti con il giornalista Gideon Levy per un talk + performance a Westchester (area di New York), la mobilitazione sionista spinse la polizia a tentare di far naufragare l’evento ma grazie a WESPAC [società multinazionale australiana con sede a Sydney, ndt.] riuscì solo a interromperlo. Il violista Omar Saad, uno di quattro fratelli nativi della Galilea tra i musicisti del tour, è stato imprigionato nel 2014 per essersi rifiutato di prestare servizio nell’esercito israeliano.
L’oppressione israeliana è studiata per soffocare tutti gli aspetti della normale vita quotidiana, compresa la cultura. Una rete di colonie israeliane e attività dell’esercito si estende tra Betlemme e Hebron, città originarie del Coro, e l’apartheid israeliano costringe i palestinesi che viaggiano all’estero a volare dalla Giordania, il che a sua volta richiede un’uscita onerosa e laboriosa attraverso il controllo e il taglieggiamento di Israele [che richiede una tassa di 55 $, ndt.] al confine tra Palestina e Giordania.
Ma successi come quelli del Coro Amwaj sono una sfida e una prova che settantacinque anni di campagna israeliana per cancellare la civiltà palestinese sono inutili.
Thomas Suárez è un ricercatore e storico che vive a Londra, ed è anche violinista e compositore professionale formatosi alla Juilliard School. Ex residente in Cisgiordania, i suoi libri includono tre opere sulla storia della cartografia e quattro sulla Palestina, il più recente dei quali Palestine Hijacked – how Zionism forged an apartheid state from river to sea [Il sequestro della Palestina– come il sionismo ha forgiato uno Stato di apartheid dal fiume al mare].
Leggi anche The remarkable rise of the Amwaj Children’s Choir of Palestine, Mondoweiss, 2018
(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)