“La nuova Nakba”: quello che un giornalista palestinese ha visto mentre informava sull’invasione di Jenin

Un 'immagine dell'abbandono delle abitazioni di 500 famiglie su imposizione dell'esercito. Foto Getty Images
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Mohammed Abed

4 luglio 2023 – Mondoweiss

Quello che ho visto a Jenin è una nuova Nakba. Siamo stati riportati indietro al 1948, al 1967 e al 2002 quando il campo profughi di Jenin venne raso al suolo. Questa è stata la sorte della gente del campo nelle ultime 24 ore.

All’incirca verso l’1:30 della notte del 3 luglio i droni dell’esercito di occupazione hanno lanciato un attacco aereo su una delle sedi della resistenza palestinese nel campo profughi di Jenin.

Ho subito indossato il mio gilet con la scritta “Stampa” e mi sono diretto al campo dove erano avvenuti gli attacchi aerei. Lungo il percorso di 5 km per arrivare al campo hanno iniziato a giungerci notizie secondo cui le forze militari dell’occupazione avevano lasciato le basi dell’esercito che si trovano ai posti di controllo di Dotan, Jalameh e Salem che circondano Jenin. Stavano per entrare in città.

In quel momento mi sono reso conto che l’invasione era iniziata.

Carri armati in marcia verso Jenin FOTO: ATEF SAFADI/EFE VIA ZUMA PRESS/APA IMAGES)

Quando sono arrivato al campo l’esercito era già là, schierato fuori dall’ingresso occidentale presso la rotonda di Awda. Sono affluite decine di veicoli blindati che poi si sono sparpagliate per accerchiare il perimetro del campo.

Abbiamo iniziato a informare dell’invasione mentre l’esercito entrava a forza. Questa volta sembrava diverso dalle precedenti incursioni, l’esercito faceva ampio uso dei droni militari per lanciare attacchi aerei su vari luoghi all’interno del campo, qualcosa che non si era più visto dalla Seconda Intifada. Le esplosioni sono continuate per parecchie ore, mentre l’esercito continuava a martellare il campo dall’alto. Dopo un po’ le esplosioni sono diventate meno frequenti, sostituite da un suono diverso, più familiare, di ordigni artigianali fatti esplodere.

Abbiamo tentato di entrare per continuare il nostro lavoro, ma l’esercito ci ha impedito di avanzare. Ha impedito anche alle ambulanze e al personale medico di entrare per curare i feriti.

Un mezzo blindato dell’esercito israeliano blocca l’ingresso del campo di Jenin. Foto:MOHAMMED NASSER/APA IMAGES)

Siamo andati all’ospedale Ibn Sina di Jenin e abbiamo assistito all’afflusso graduale di persone, molte delle quali ferite o che cercavano un rifugio. Abbiamo notato che altri veicoli militari continuavano a passare nei pressi dell’ospedale, almeno cinque convogli, tra cui quattro bulldozer militari, diretti al campo.

Sono passate ore e dal campo proveniva il suono delle esplosioni. Abbiamo cominciato a documentare i casi di persone ferite e uccise che hanno iniziato a raggiungere l’ospedale. Dopo che le forze di occupazione avevano impedito loro di curare i feriti, sul posto sono arrivate ambulanze.

Di primo mattino i bulldozer si sono messi a disselciare le vie di Jenin, scavando trincee profonde un metro nel terreno. È stata la prima volta in vent’anni che abbiamo visto queste scavatrici in azione.

Le conseguenze del feroce attacco con bulldozer che ha sventrato il manto stradale e schiacciato una macchina . Foto: NASSER ISHTAYEH/SOPA IMAGES VIA ZUMA PRESS WIRE/APAIMAGES)

Quando è sorto il sole abbiamo visto i droni dell’esercito coprire il cielo su di noi, mettendo in chiaro che l’invasione sarebbe probabilmente continuata per un certo tempo. Durante il giorno ci siamo avviati verso vari luoghi in cui era schierato l’esercito. Il primo è stato in via Haifa, dove stazionavano vari veicoli militari. Il secondo è stato la rotonda del ministero dell’Interno, dove un convoglio di blindati stava formando un cordone attorno alla zona per chiudere le strade di accesso al campo. Il terzo luogo è stato presso il cinema Circle, nel centro di Jenin, dove si stava svolgendo uno scontro armato tra l’esercito e i combattenti della resistenza. Miliziani erano schierati ai lati delle strade e scambiavano colpi di armi da fuoco con l’esercito. Improvvisamente a un certo punto della sparatoria un nutrito gruppo di combattenti ha iniziato ad avanzare verso il centro della strada e ha continuato a sparare contro i blindati. Mentre filmavamo uno dei miei colleghi si è girato verso di me e mi ha detto che ciò gli ricordava le violente battaglie di strada della Seconda Intifada.

Queste scene di scontri armati erano già state documentate dall’inizio degli ultimi avvenimenti nel campo profughi di Jenin, ma le incursioni dell’anno scorso non hanno niente a che vedere con quello che abbiamo visto con i nostri occhi. Abbiamo assistito all’audacia e allo stoicismo dei combattenti della resistenza mentre affrontavano l’occupazione, dimostrando una tenace determinazione da far rabbrividire.

Infine, il quarto luogo è stato l’ingresso principale del campo profughi di Jenin, dove lo scontro era più feroce. Pneumatici in fiamme riempivano le strade, così come il fumo nero che saliva in colonne che servivano come temporanea cortina fumogena intesa a proteggere i combattenti. Poco dopo un attacco aereo nel campo si potevano sentire le ambulanze che portavano via decine di feriti all’Ibn Sina, dove si era riunita una folla per aiutare il personale medico nel trasporto dei feriti. È così che la gente del campo affronta queste condizioni, offrendosi aiuto reciproco indipendentemente dalla competenza specifica. Quello che vogliono fare è dare una mano in ogni modo possibile.

Il soccorso ai feriti all’ingresso del Campo Profughi. Foto:MOHAMMED NASSER/APA IMAGES

Dopo poco tempo è entrata un’altra ambulanza che portava un gruppo di giornalisti evacuati dal campo. Stavano informando sugli avvenimenti in loco quando l’esercito li ha presi di mira con proiettili veri. Nessuno è stato direttamente colpito, ma alcuni sono tornati senza il loro equipaggiamento in quanto l’esercito ha deliberatamente sparato contro le telecamere che stavano trasmettendo gli eventi dal vivo.

Ho parlato con uno dei giornalisti, Issam Rimawi:

Io e altri colleghi — Hisham Abu Shaqrah, Amid Shehadeh, Rabie Munir, and Abdulrahman Younis — ci trovavamo all’interno del campo prima che le forze di occupazione lo invadessero. Improvvisamente le forze di occupazione sono arrivate in mezzo al campo durante il nostro lavoro, non ci hanno consentito di andarcene e anzi hanno aperto il fuoco contro di noi. Ci siamo rifugiati in una delle case finché siamo stati portati via da un’ambulanza. È stato uno spettacolo terrificante.”

È così che si sono svolti i fatti a Jenin finché è scesa la notte, quando l’esercito ha obbligato migliaia di persone a lasciare il campo. Quelle famiglie sono scappate perché gli è stato detto che la loro casa sarebbe stata bombardata, ma molti sono rimasti nella propria abitazione.

Questo è ciò che significa essere profugo. Questa è la Nakba, rinata dai crimini dell’occupazione. Siamo stati riportati indietro al 1948, al 1967 e al 2002, quando il campo profughi di Jenin venne raso al suolo.

Abbiamo parlato alle famiglie del campo. Ci hanno detto che le ambulanze sono arrivate e hanno detto loro che dovevano andarsene dalle loro case perché l’occupazione intendeva bombardare molte delle loro abitazioni. Una delle persone ha descritto il livello di distruzione a cui ha assistito:

Quando abbiamo lasciato le nostre case le strade erano completamente distrutte. Ovunque nel campo c’erano segni di devastazione e abbiamo camminato sulle macerie causate dagli attacchi aerei e dai bulldozer. Nel campo niente è rimasto come prima. Tutto è stato distrutto.”

Questa è stata la sorte delle persone del campo nelle ultime 24 ore e forse è la stessa sorte che li attende nelle prossime 24 ore. Gli attacchi aerei continuano e i combattimenti si intensificano. Possiamo sentire altre esplosioni, ed è quasi certo che continueranno.

Mohammed Abed

Mohammed Abed è un giornalista palestinese che risiede a Jenin.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

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